Di recente l’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha espresso il suo sgomento ritwittando il commentatore del Guardian David Adler, che si era imbattuto in su una puntata di Ciao Darwin. Capita periodicamente che qualcuno all’estero si accorga delle prodezze dei format Mediaset, e in questo caso il passaggio incriminato riguarda il momento della trasmissione condotta da Paolo Bonolis in cui due concorrenti vengono messi in un cilindro di vetro che si riempie d’acqua ogni volta che si dà una risposta sbagliata. L’autore del tweet è rimasto colpito dal fatto che fosse una donna nera a venire sommersa durante il quiz, senza capire che era la concorrente che aveva perso.
Ciao Darwin è una trasmissione che si può criticare sotto miliardi di punti di vista, sia formali che contenutistici, ma se ci pensiamo è preoccupante che all’estero si possano anche solo dedurre cose tanto gravi – ovvero che in Italia si possano mettere in scena in prima serata l’annegamento di una persona straniera per il divertimento del pubblico. “La tv italiana fa schifo” è una frase che ognuno di noi avrà pensato almeno una volta nella vita, e per molti, moltissimi aspetti, è vero, specialmente la televisione che va in onda su certe reti. Eppure, la tv italiana non è e non è stata sempre e solo disinformazione, marchette e trasmissioni triviali che colgono in fallo politici greci di fama mondiale. Ci sono infatti esempi che vanno ben oltre ogni nostra aspettativa a riguardo, prova del fatto che i media potrebbero essere anche uno strumento utile e benefico per la produzione culturale di un Paese: la tv che per anni ha fatto Serena Dandini, ad esempio, con le sue molteplici trasmissioni satiriche di qualità, ne è la prova.
Non è facile trovare il bene in una realtà che appare come un agglomerato di pessimi contenuti, specialmente se un pregiudizio fondato su decenni di impoverimento culturale viene confermato ogni giorno con gli esempi più disparati. Ciò però non deve indurci a confondere il fine con il mezzo, e la tv, per quanto ormai obsoleta sotto molti punti di vista, è un mezzo che ha ancora un enorme potenziale. Il suo grande merito, infatti, è quello di poter arrivare a un pubblico molto ampio, stratificato e non iper-specifico – cosa che invece succede più spesso sul web – utilizzando una produzione composta da una vera e propria squadra di lavoro. Per quanto YouTube e i social abbiano consentito a piccole realtà di espandersi e diventare punti di riferimento, il fatto che a una trasmissione televisiva possano lavorare tante persone con a disposizione veri e propri studi e mezzi professionali è una caratteristica che ha fatto sì che nel tempo si creassero delle realtà televisive che hanno contribuito attivamente alla nostra eredità culturale.
Serena Dandini in questo ha avuto la grande intuizione di creare una squadra di lavoro composta da persone (uomini e donne) che hanno poi a tutti gli effetti messo in scena la storia della nostra recente comicità, a partire ovviamente dal sodalizio con i Guzzanti, che è forse il più duraturo e fruttuoso, ma anche quello con una serie di attori, autori e registi che non si sono limitati a fare programmi tv d’intrattenimento dozzinale. In quella televisione, infatti, in programmi come Avanzi, La tv delle ragazze, Tunnel o Il Pippo Chennedy Show si mettevano insieme scrittura, scenografia e recitazione con una formula corale che riusciva a combinare divertimento leggero e satira pungente, sia di costume che politica. Il risultato è la prova che vale la pena concedere spazio a prodotti rischiosi, senza crogiolarsi nella sicurezza del già visto e del già fatto, purtroppo però questa pratica sembra oggi essere stata totalmente archiviata nella nostra tv.
Il contesto in cui tutto ciò aveva luogo, infatti, non era semplicemente una rete televisiva di Stato in cui era concessa libertà di sperimentazione, ma un piccolo miracolo mediatico messo in atto dalla direzione di Angelo Guglielmi su Rai 3. Dal 1987 al 1994, infatti, mentre le reti di Silvio Berlusconi si facevano strada tra Non è la Rai e simili, il direttore della terza rete metteva in atto una rivoluzione televisiva che ha fatto sì che la tv di Serena Dandini potesse trovare il suo spazio. Molti dei volti che negli anni sono diventati un riferimento sia per la programmazione alternativa, sia per quella canonica – ma anche critica e dissacrante – di quella della tv privata, hanno mosso i primi passi proprio sotto la direzione di Guglielmi: Fabio Fazio, Michele Santoro, Piero Chiambretti, per esempio, ma anche format come Blob, Un giorno in pretura, Samarcanda, Telefono Giallo, Quelli che il calcio. Ed è infatti nel 1988 che Dandini debutta in tv inizialmente con il ruolo di autrice, e lo fa grazie alla messa in onda di una trasmissione storica che ha anticipato una linea di intrattenimento che oggi diamo per scontato, ossia quella de La tv delle ragazze.
L’idea era quella di proporre un varietà pensato, prodotto e messo in atto solo da donne – esclusa qualche comparsa maschile, come quella di Giorgio Tirabassi – e che prendesse in giro sia il ruolo decorativo e umiliante a cui spesso e volentieri erano relegate le figure femminili in tv, sia la televisione stessa: un primo passo verso la formula di meta-linguaggio che sarà poi una chiave centrale per le produzioni “dandiniane” successive. Il fatto di fare una tv che parla di tv, sbugiardando i suoi meccanismi, parodizzando le sue ipocrisie e utilizzando la scusa dello scarto come occasione per mettere in scena ciò che normalmente non potremmo vedere, infatti, è proprio ciò che ha reso queste trasmissioni divertenti ma anche corrosive, rispetto a un sistema mediatico che faceva, tra le altre cose, anche da supporto a quello politico. Un po’ come Blob – che veniva anche parodizzato indirettamente all’interno di Avanzi con l’imitazione di Enrico Ghezzi fatta da Francesca Reggiani – ha avuto il ruolo di smontare la tv per rimontarla in modo analiticamente paradossale, e per questo rivelatorio, La tv delle ragazze e Avanzi hanno utilizzato la materia prima che avevano a disposizione non per demolire la televisione in modo globale, ma per darne una versione alternativa.
Nella tv delle ragazze le attrici mettevano in scena attraverso un susseguirsi di sketch parodie come quelle delle pubblicità fatte da Angela Finocchiaro – una gag così divertente e ben fatta da ritornare poi anche in Avanzi – tanti spezzoni televisivi satirici, una catena di immagini possibili soprattutto grazie alla bravura delle attrici e delle scrittrici del programma: Cinzia Leone che parodizza Sabrina Salerno, l’icona sexy e pop di quegli anni – che diventa Santina Palermo –, o Francesca Dellera, per esempio, sono un elemento di rottura con la tv tradizionale che oggettifica la donna, certo, ma sono anche un’occasione perfetta per dimostrare che una donna potesse essere molto più divertente di quanto gli standard di allora imponevano. Attrici che non rinunciavano né alla femminilità della loro satira, né al fatto di coprirsi di ridicolo, di essere buffe in modo libero e non limitato dalle imposizioni di costume che invece dominavano l’intrattenimento italiano, con qualche raro esempio di libertà espressiva sudata sul campo, come nel caso di Monica Vitti o Loretta Goggi. Questo assetto sperimentale che metteva al centro il racconto della tv tramite la tv è poi ciò che diventò il fulcro di Avanzi, andata in onda sempre su Rai 3 dal 1991 al 1993, (e poi di Tunnel, nel 1994) consacrando sia Serena Dandini nel ruolo di presentatrice e spalla – una sua grande abilità è stata infatti quella di affiancare i comici con cui ha lavorato, cosa che l’ha addirittura portata a presentare a Mediaset, proprio la rete di chi non la sopportava affatto politicamente parlando, a condurre Comici – sia personaggi come i Guzzanti, Maurizio Crozza o Luciana Littizzetto.
Avanzi, a differenza de La tv delle ragazze, aveva un cast sia maschile che femminile, ma come la trasmissione prima aveva come centro del racconto il fatto di costituire un’alternativa alla tv mainstream. Se la prima era uno spazio fittizio dedicato unicamente al racconto televisivo femminile – che non aveva di certo l’intento di fare satira “in rosa” ma di portare su un livello molto più alto il talento delle comiche – la seconda si proponeva invece come una sorta di discarica mediatica. Con questa scusa, ad esempio, potevano andare in onda le frequenze delle tv private rimaste orfane dopo la Legge Mammì del 1990: ed è così che trovò spazio il capolavoro di Ciprì e Maresco, Cinico Tv, che già era stato trasmesso durante Fuori orario, la storica trasmissione di Ghezzi, e che ora invece si riscopriva canale inventato di una rete sicula inesistente, che trasmetteva grazie a questo riciclaggio di format le sue trasmissioni. Oppure si potevano apprezzare i finti balletti sexy di Alba Parietti – interpretata da Francesca Reggiani – mentre Sabina Guzzanti si inventava una versione alternativa di Moana Pozzi, addetta a una rubrica “piccante”. Le imitazioni erano tante e disparate, le più famose, ovviamente, erano però quelle che riguardavano i personaggi televisivi più in voga dell’epoca, come la celebre parodia di Giovanni Minoli in versione rap o di Vittorio Sgarbi, entrambi personaggi di Corrado Guzzanti, comico di punta della trasmissione. Ma oltre alle imitazioni, erano interessanti anche tutte le versioni alternative di format televisivi come il telegiornale di Pier Francesco Loche, che con il suo telegiornale “fresco” proponeva ai telespettatori notizie non necessariamente verificate ma molto televisive, accompagnate da tormentoni come quello della strage di Ustica che veniva sempre presentata dal giornalista con degli occhiali da sole, giusto per sottolineare certe usanze mediatiche di spettacolarizzazione e ridicolizzazione dei fatti. Ma anche il personaggio del Compagno Antonio che, anticipando la sceneggiatura di Goodbye Lenin!, incarnava un comunista entrato in coma anni prima che si risvegliava nel mondo post-sovietico, rendendosi conto che l’unica cosa a essere rimasta del vecchio mondo erano i Pooh. Per non dimenticare poi anche le parodie sia pubblicitarie che giornalistiche del gruppo comico genovese dei Bronkoviz – dei quali faceva parte anche Maurizio Crozza e Carla Singoris, tra gli altri – e che diedero vita a spot “virali” in un’epoca ante internet e YouTube come quella del caffè Rinko, che utilizzava Pippo Baudo, simbolo della televisione per eccellenza, come padrone di schiavi neri e che usava questa metafora pubblicitaria per parlare del PSI. Fino alle telenovelas surreali di Chico e Paco, insieme ai tantissimi altri personaggi e comici lanciati da Dandini nelle sue trasmissioni di quegli anni – compreso Diego Bianchi, lo Zoro di Propaganda Live.
Gli sketch, i tormentoni, le musiche – sia quelle sotto forma di parodia come la band del personaggio di Guzzanti Rokko e i suoi fratelli, sia quelle vere e proprie, persino i Sonic Youth furono ospiti – e tutto ciò che ruotava attorno a queste realtà televisive che si sono protratte fino ai primi anni del Duemila – con altri nomi, ma con intenti simili – non sono stati un miracolo dettato da chissà quale congiuntura astrale. In una trasmissione come Tunnel, tra l’altro, che andò in onda solo per una stagione nel 1994 ma che raccoglieva l’eredità di Avanzi, non solo c’era tutta la linea comica dei programmi che lo avevano anticipato e che avevano creato quel genere televisivo, ma c’era anche spazio per ospitare gruppi come i Nirvana nella tv italiana, a riprova di quanto potesse funzionare per il pubblico una miscela tra divertimento e contenuti culturali interessanti. La televisione italiana per molti aspetti fa schifo, ma ciò che più la trascina in un baratro di cattivo gusto e umorismo scadente è la mancanza di fiducia, la paura di rischiare, l’idea per cui se Ciao Darwin da vent’anni fa sempre il botto di ascolti allora perché non continuare all’infinito con quello?
Per fortuna, però, non ci sono solo format scadenti ma anche autori e presentatori come Serena Dandini, che negli anni hanno fatto bene il loro mestiere, e hanno trovato lo spazio per farlo, grazie a menti aperte. Non dico che sia necessario guardare indietro con nostalgia, ma conoscere la buona televisione italiana vuol dire apprezzare ciò che è stato fatto e pensare a ciò che si potrà fare. Se nessuno però ha la lungimiranza di capire che è proprio in quelle seconde serate – con quei team pieni di giovani autori e autrici, e di attori e di attrici, anche alle prime armi, ma con idee apparentemente folli – che si genera il potenziale per una tv di qualità, allora non ci possiamo lamentare né se gli ascolti calano vertiginosamente né se uno straniero accende a caso su Canale 5 e trova una trasmissione come Ciao Darwin.