Nel 1988 Philip Kaufman girò L’insostenibile leggerezza dell’essere, adattando liberamente l’omonimo romanzo scritto nel 1982, e pubblicato per la prima volta in Francia nel 1984, da Milan Kundera – il famoso scrittore ceco rifugiato in Francia in seguito all’invasione russa dell’allora Cecoslovacchia, avvenuta il 20 agosto del 1968. Kundera ebbe un rapporto travagliato e discontinuo con il Partito Comunista Ceco, finché non venne esiliato a causa del suo sostegno di quella che è passata alla storia come la Primavera di Praga. Tanto che, anche dopo la rivoluzione di velluto avvenuta nel 1989 e la caduta del Comunismo, passarono più di quindici anni prima che il suo grande romanzo fosse pubblicato in Repubblica Ceca.
Come ha detto lo stesso Kundera: “Durante gli anni Sessanta, molto tempo prima della Primavera di Praga, il realismo socialista e tutta l’ideologia ufficiale erano già morti, avevano ormai solo una funzione di facciata che nessuno prendeva più sul serio. […] Nel 1968 [però] l’invasione russa instaurò di nuovo uno stalinismo antidiluviano e intellettualmente oppressivo”. Fu allora che i suoi libri sparirono dalle biblioteche e dalle librerie, ma trovarono per una positiva congiunzione del destino fortuna in Francia, anche grazie al poeta e scrittore Louis Aragon, che allora mostrava grande solidarietà nei confronti degli intellettuali dei Paesi comunisti che si opponevano ai loro regimi. Così, Lo scherzo, uscì per Gallimard solo tre settimane dopo l’invasione russa della Cecoslovacchia, attirando l’attenzione di tutta la stampa francese. Ciononostante, Kundera sostiene che la sua sfida non sia mai stata politica, bensì esclusivamente estetica: si era posto come obiettivo di cogliere il contenuto esistenziale inedito di una situazione storica inedita. La storia, infatti, racconta della vita e delle vicende di artisti e intellettuali a partire dalla famosa Primavera di Praga, interrotta brutalmente dall’invasione sovietica col proposito di “correggere fraternamente il deviazionismo” che aveva contagiato l’intera nazione e riportarla “sulla buona strada socialista”. Da qual momento in poi la trama si sviluppa durante gli anni del dominio sovietico, che rappresentarono il periodo più buio del Comunismo ceco.
La trama si sviluppa intorno a un quartetto: Tomáš (interpretato nel film dal grande Daniel Day-Lewis), facoltoso neurochirurgo, nonché dongiovanni impunito; Sabina (la superba attrice svedese Lena Olin, che tanto collaborò con Bergman), grande amica e amante di Tomáš, pittrice anticonformista, sensuale e dallo spirito libero, amante di Franz (Derek de Lint), attivista politico e professore universitario di Ginevra, che per stare con lei lascerà moglie e figli; e ultima ma non ultima Tereza (Juliette Binoche), cameriera di provincia con il sogno di trasferirsi nella capitale per diventare fotografa, di cui Tomáš sembra innamorarsi perdutamente. Tomáš chiede allora a Sabina di aiutare Tereza a trovare un lavoro a Praga, ma proprio in quei giorni i carri armati sovietici fanno irruzione nella città. Nella confusione totale, Tereza riesce a scattare delle foto e, in seguito, a venderne le pellicole in cambio della fuga in Occidente. Così, Tomáš, Tereza e Sabina si trasferiscono in Svizzera.
Qui Sabina rifiuterà la proposta di convivenza di Franz, per non rischiare di perdere la sua indipendenza ed emigrare poi senza dirgli una parola negli Stati Uniti, lasciandolo solo e abbandonato. Tereza invece scopre che Tomáš, pur amandola, non ha mai smesso di tradirla e di avere rapporti occasionali con altre donne. Decide allora di lasciarlo, tornando in patria. Tomáš decide comunque di seguirla, sapendo che il prezzo è quello di vedersi confiscare il passaporto e restare intrappolato. A causa di un suo vecchio articolo satirico contestato dalla nuova dirigenza filo-sovietica gli sarà inoltre impedito di proseguire la sua professione di neurochirurgo, finendo così a fare il lavavetri. Dopo mille problemi economici e un fallito tentativo di suicidio da parte di Tereza, la coppia decide di lasciare Praga e di andare a vivere in campagna. Lavorando la terra, i due vivono una breve parentesi di felicità, a distanza dagli intrighi politici e dalle difficoltà urbane. Un banale incidente stradale metterà fine alle loro vite. Franz, invece, ossessionato dal ricordo di Sabina, andrà incontro alla morte. Questo epilogo non può non ricordare quello di un altro grande romanzo del Novecento, Tenera è la notte, di Francis Scott Fitzgerald, in cui il protagonista, Dick Diver, segue una parabola molto simile a quella di Tomáš. Un uomo inizialmente affermato piano piano, girone dopo girone, cade in decadenza e scompare dal mondo.
Nel quartetto di Kundera ciascun personaggio è interconnesso agli altri tre, attraverso conflitti e similitudini. Da una parte, per quanto riguarda la visione del mondo e l’attitudine nei confronti della vita ci sono Tomáš e Sabina, libertini e fuori dagli schemi, dall’altra Tereza e Franz, impegnati e monogami. A questo si aggiunge il livello di lettura formato dalle coppie composte a chiasmo: Tomáš e Tereza, Sabina e Franz, che finiscono per mescolare e far scontrare forze, sogni e sentimenti validi e conflittuali. Ci sono poi alcuni parallelismi che portano a esiti differenti. Ad esempio, Franz inseguendo il ricordo di Sabina troverà la morte; così Tomáš, inseguendo Tereza, perderà la libertà e la sua stessa carriera, eppure, con questo gesto estremo di coraggio, a differenza di Sabina, compirà una trasformazione e scoprirà una qualità dell’esistenza che probabilmente altrimenti non avrebbe mai vissuto. Mentre Tereza piano piano, così come Franz cade nel vortice della disperazione.
I quattro personaggi sembrano danzare intorno all’autore-spettatore, che ne segue con attenzione i gesti e i movimenti, mossi dal caso e dalla storia, dalle loro idee e dalle loro nevrosi, mescolando una libertà sessuale che si impone come un’arma di rivoluzione, ma anche come una difesa dei propri sentimenti, e l’amore più travolgente, fatto di quella compassione che è “la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia delle emozioni”. Nella cappa imposta dal regime l’eros sembra l’unico ambito in cui è ancora possibile esistere in maniera autentica. Tomáš, Sabina, Tereza e Franz sembrano collegati da fili metafisici e al tempo stesso fisiologici, pulsionali, soggettivi e collettivi, come marionette ingarbugliate nell’atelier di un burattinaio (non a caso Praga ha un’enorme trazione in questo campo). Eppure i loro volti sono destinati piano piano a sbiadirsi e a scomparire, travolti dalla Grande Marcia verso l’avvenire, che appare nel non detto come un’enorme bieca illusione. Tutto si gioca sul confine tra esistente e inesistente, fisico e mentale, eterno ritorno e unicità dell’esperienza, ed è proprio in queste coppie di opposti che risiede la grande potenza e il fascino di questo libro.
Diventato un vero e proprio cult generazionale, ne L’insostenibile leggerezza dell’essere Milan Kundera segue le vicende dei quattro protagonisti, la loro intimità e la loro psicologia, oscillando com’è solito fare tra letteratura e riflessioni filosofiche, con quello che è diventato il suo stile inconfondibile e tanto amato. Anche per questa struttura particolare si potrebbe pensare che i suoi libri siano poco adatti alla trasposizione cinematografica, ma non è affatto così (non a caso lo stesso Kundera passo dalla facoltà di Lettere alla Scuola di Cinema). Nel caso della pellicola di Kaufman, poi, lo scrittore fece da consulente attivo durante tutta la realizzazione del film. La poesia che Tomáš bisbiglia all’orecchio di Tereza mentre dorme, infatti, fu scritta appositamente da lui per quella scena. È semplice, quasi leziosa, eppure così rassicurante, ipnotica: “Ora puoi dormire / come un uccellino / come una monetina / tra le monetine di un piccolo salvadanaio / come un pappagallino / come un sussurro / come una canzoncina / una canzoncina cantata da un usignolo nella foresta / mille, mille anni fa”.
Italo Calvino, nelle sue Lezioni americane, prese non a caso questa storia come esempio di quelle opere che, nascondendosi dietro a un discorso in merito alla leggerezza, ha come vera essenza la constatazione dell’ineluttabile pesantezza del vivere. Più che di leggerezza, allora, si potrebbe parlare di levità, termine caro alla cultura dell’est, basti pensare alla famosa poesia di Arsenij Aleksandrovič Tarkovskij, padre del famoso regista, “Morire in levità”, che si sente recitata in Nostalgia, film uscito un anno dopo la scrittura del romanzo di Kundera e un anno prima della sua pubblicazione, nel 1983: “Nella festa, candela, mi sono consumato / all’alba raccogliete la mia disciolta cera / e lì leggete chi piangere, di cosa andar superbi / come donando l’ultima porzione di letizia / morire in levità e al riparo di un tetto di fortuna / accendersi postumi, come una parola”.
Lo choc della rivoluzione comunista risvegliò in Kundera la curiosità esistenziale che lo fece diventare un romanziere. “Ma i temi esistenziali,” ha ribadito, “non conoscono frontiere. L’atteggiamento lirico, che io ho visto in tutta la sua mostruosità nella Cecoslovacchia comunista, è presente nella vita umana di tutti i tempi”. Un altro scrittore sfuggito al regime dalla Bulgaria a Parigi, Tzvetan Todorov, non a caso pochi anni fa ci metteva in guardia sul fatto che per milioni di persone, per decenni, il totalitarismo è sembrato più seducente della democrazia, e questo perché contiene una promessa di pienezza, di vita armoniosa e di felicità. Ogni totalitarismo, anche il più rozzo, ha sempre dentro una componente “soteriologica”: io ti salverò, tu ti salverai, la nostra società sì, che sarà salva. Allora è chiaro che nell’epoca della post-verità e dell’emergenza climatica che proietta un’incertezza profonda sulle nostre vite, rischia di allungarsi questa ombra inquietante.
Come dice Tomáš: “Se avessi due vite nella prima inviterei Tereza a restare a casa mia, e nella seconda la sbatterei fuori, così potrei fare un paragone e decidere come comportarmi. Ma si vive una volta sola, la vita è così leggera… è come uno schema che non si può mai riempire, né correggere, né migliorare: è spaventoso”. Vivere è spaventoso, è un continuo fare i conti con infinite, singole possibilità, che ci mostrano costantemente il baratro del non sapere. In pochi sono disposti e hanno il coraggio di stare a guardare quella voragine, perché rischia di attrarci o di farci rompere in mille pezzi, come se la nostra mente si sentisse sopraffatta da quell’immensità e da quel rischio. Per questo è facile scappare (come fa Sabina, negli Stati Uniti), o cercare di distrarsi, cercare significati più semplici, altrove, già dati, soprattutto quando ci sentiamo stanchi, insoddisfatti e impauriti.
Kundera stesso ribadisce che l’adesione al Comunismo non aveva nulla a che vedere con Marx e le sue teorie. Semplicemente, il periodo storico aveva instillato nelle persone la necessità di soddisfare i più diversi bisogni psicologici: quello di mostrarsi non conformisti o in parallelo quello di ubbidire a qualcuno per non dover scegliere; il bisogno di punire i malvagi o di rendersi utili; il bisogno di procedere insieme verso il futuro, di far parte di qualcosa; il bisogno di avere intorno a sé una grande famiglia. È interessante notare come in queste voglie non ci sia apparentemente nulla di strano, riprovevole o sbagliato, anzi, chi più chi meno ne condividerà almeno una. Così, con una distanza saggia e ironica al tempo, Kundera sostiene che le persone abbiano abbandonato il Comunismo non perché fossero cambiate le loro convinzioni o fossero state profondamente deluse le loro aspettative, ma solo perché il Comunismo non offriva più l’opportunità di dare un significato all’esistenza e una forma alle tensioni psichiche e ai desideri. Anche l’ideologia quindi finisce per apparire non più come un credo ma come un semplice strumento di soddisfazione egoica, e questo per certi aspetti nell’orizzonte del tardo capitalismo la rende ancora più cieca, acefala e spaventosa.
Ancora una volta la parola, usata come trappola dai regimi, appare al contempo come l’unico possibile strumento di catarsi individuale e collettiva. Grazie alla narrazione si possono condividere i propri mostri più intimi e in parallelo i fantasmi che nel corso delle epoche si ricorrono all’interno delle strutture sociali e politiche, magari ridimensionandoli. Alla luce dei fatti che oggi vediamo avverarsi con un ritmo incalzante nel mondo politico, allora, ci si augura che i sogni legati alla nostra salvezza vengano affidati alla letteratura e non a forze che tendono senza alcun pudore al totalitarismo. Per questo è tanto importante frequentare i libri e farci accompagnare dalle storie che ci tramandano, perché attraverso la loro voce forse sono gli unici strumenti in grado di svegliarci dall’ipnosi di alcuni sentimenti dominanti che finiscono per vivere di vita propria, travolgendoci e portando intere generazioni alla deriva.