C’è un’atmosfera molto specifica che si respira solo nella stanza di uno studente fuori sede, un mix di adolescenza trascinata, disordine, libertà e terrore. Chiunque si sia trovato a vivere in una casa che non era la propria, trasformando una camera singola o doppia in un rifugio atomico per tutti i dubbi e le montagne russe che si accumulano in quel momento della vita in cui hai finito la scuola, hai lasciato il nido, ti atteggi ad adulto navigato ma sei ancora un teenager completamente sprovveduto, conosce bene quello di cui sto parlando. Nella stanza di un fuori sede, impregnata dalla puzza dei piatti sporchi con gli spaghetti al pesto del discount e i mozziconi di sigaretta sulla tastiera del computer, si consuma il piccolo dramma dentro cui ci ritroviamo tutti quando siamo troppo giovani per capire davvero come funziona la vita e troppo grandi per tornare in lacrime dai genitori, farci fare la lavatrice e preparare la cena. Questa particolare sensazione, questi pensieri e questo modo di sentirsi al mondo sono la prima cosa che ho sentito quando mi sono ritrovata davanti una striscia disegnata da una delle fumettiste italiane più promettenti degli ultimi anni, Josephine Yole Signorelli e i suoi Fumettibrutti su Instagram e Facebook. Una sensazione sinestetica che mi ha confermato essere centrale nelle sue storie anche la stessa autrice, la quale però, terminati gli anni degli studi a Bologna, si sente più come una “cittadina del mondo”.
Fumettibrutti è composto di tanti elementi interessanti, sia per quanto riguarda i fattori esterni che hanno reso possibile il progetto – dalla storia dell’autrice alla vicenda editoriale stessa del fumetto – sia per quanto riguarda i suoi contenuti e i suoi disegni. Partendo dalle contingenze esogene di questo progetto, il primo aspetto centrale è il mezzo attraverso cui si è diffuso, conseguenza dell’arrivo di internet in praticamente tutte le forme di arte e della sua rivoluzione, sia in termini di composizione che di fruizione. Fumettibrutti nasce infatti come fenomeno di webcomics, un genere che negli ultimi anni spopola – basti pensare al famoso Labadessa o a Maicol e Mirco – e non è difficile capire perché: non tutte le forme di rappresentazione sono compatibili con la dimensione da scrolling dei social, tant’è che non verrebbe in mente a nessuno di pubblicare un romanzo su Instagram; i fumetti, nella loro forma di striscia o di unica tavola, sono invece perfetti per essere guardati anche dallo schermo di uno smartphone, per essere condivisi sui social e per diventare virali. Proprio nella loro sintesi tra immagine e testo, i fumetti hanno il grande vantaggio di condensare un messaggio anche breve ma emblematico, proprio ciò che richiedono piattaforme come Twitter.
In questo contesto, Fumettibrutti si inserisce alla perfezione e dal 2017 circa le tavole di Yole Josephine Signorelli sono diventate portavoce di sentimenti e stati d’animo che se già sul web trovavano spazio, in quella forma di auto-narrazione da diario segreto 2.0, con l’aggiunta di immagini e testi diventano molto più tridimensionali, incisivi, relatable. L’autrice mi conferma nuovamente questa sensazione quando le domando del suo rapporto con i social in cui è nata e si è fatta conoscere, spiegandomi che in passato ha usato molto di più questi canali, insieme ai fumetti, “Come se fossero il mio diario segreto, a cielo aperto”. E mi spiega anche a cosa le è stato fondamentale Internet: “Mi è servito per raggiungere le persone che provavano quello che provavo io, scoprendo che nel mondo c’erano altre persone che la pensavano come me su molte cose, che non ero ‘matta’. Cose quotidiane che una morale invisibile ci costringe a tenere nell’ombra. Nonostante la censura, gli shadow ban, le difficoltà, è molto bello sapere che non siamo soli. Avrei pregato per trovare Fumettibrutti su Instagram quando avevo 15 anni”.
Internet ha le sue gigantesche zone d’ombra e i suoi aspetti morbosi e inquietanti, ma esclusi i casi in cui sono le aziende stesse a creare fenomeni in modo artificiale, esistono ancora persone che sfruttano la sua libertà per ritagliarsi uno spazio in una scena che probabilmente in altri tempi sarebbe stata molto più inaccessibile. Fumettibrutti, da questo punto di vista, ne è un ottimo esempio: proprio grazie alla viralità delle sue immagini, al modo in cui riescono a essere incisive, tristi e al contempo ironiche – un mix perfetto di cultura internettiana e drammi esistenziali – ha saputo sfruttare bene i vantaggi di piattaforme come Facebook o Instagram per diventare di fatto un nome di riferimento con un discreto seguito, che supera ormai i 100mila follower su Instagram. E proprio le censure, i ban, gli insulti che riceve sotto ai suoi disegni sono in realtà un elemento che arricchisce le sue creazioni, connotandole ancora di più di una loro personalità specifica, come se che il fastidio che crea vedere la vignetta di un corpo nudo diventasse ancora più incisivo nel momento in cui è sottolineata dal segno di una proibizione, in questo caso una manciata di pixel sopra un capezzolo. Fumettibrutti, dunque, non solo nasce su internet ma si nutre dei suoi linguaggi e delle sue forme – alcuni testi sembrano quasi dei meme, come quando la protagonista dice “spoiler” – spostando su un piano più denso e simbolico un mondo nel quale siamo tutti immersi, motivo per cui riesce a essere un racconto molto personale ma con forti tonalità empatiche, di immedesimazione e comprensione.
Il legame tra i disegni di Signorelli e il web, dunque, è imprescindibile – nonostante abbia pubblicato comunque due romanzi “fisici” per Feltrinelli – ma non è il solo: anche lei stessa, infatti, la sua immagine e il suo modo di utilizzare i social si interseca con la narrazione delle sue opere. Il corpo, manifestato attraverso la sessualità e i rapporti sentimentali, non solo è al centro del racconto di Fumettibrutti ma è anche una sorta di mezzo di comunicazione per l’autrice stessa che, in diverse interviste, spiega in modo molto logico e sensato l’annosa questione della visibilità su internet e della facile etichetta da “troia” che si pone sopra le donne che ne fanno uso. La superficialità non è un concetto negativo, lo diventa nel momento in cui si usa come strumento per declassare la donna e il suo corpo, negandole il diritto all’esposizione della propria immagine anche attraverso canali ritenuti poco elevati come un post su Instagram. A proposito di chi giudica in modo negativo chi usa i social – le donne in particolare – anche per esporre la propria immagine, etichettando come amorale qualsiasi forma di esibizionismo, l’autrice spiega che “Troppo spesso la superficialità è associata alla cattiveria o all’insicurezza, mentre a volte si tratta solo di un tratto caratteriale che spicca maggiormente su persone semplici o particolarmente passionali: che male ci sarebbe?”. Non è una colpa né una vergogna sentirsi desiderabili, e di questo Josephine Yole Signorelli non solo è consapevole, ma rivendica anche la legittimità, perché proprio in quei corpi nudi e nella sessualità che gli esseri umani trovano una dimensione pura, tutt’altro che sporca come invece una certa morale bigotta vorrebbe insegnarci da millenni.
Un altro aspetto interessante di questo racconto di una vita, quella di Yole, che si fa disegno, è quello della raffigurazione del dolore, della tristezza, dell’alienazione. La depressione, l’apatia, e soprattutto le relazioni sbagliate, come quella con il suo ex che racconta in Romanzo Esplicito, sono tutti elementi protagonisti del suo universo. Ma anche la mancanza di soldi e le difficoltà del doversi mantenere, temi centrali nella vita di molti studenti e giovani che a volte arrivano al punto di rinunciare alle proprie ambizioni. “Per questa società dobbiamo tutti essere sempre pronti, laurearci in tempo”, dice Signorelli. “Se non hai genitori che possano supportarti, la vita da studente fuorisede può essere complicata, anche quando c’è a disposizione una borsa di studio. Infatti, se gran parte del proprio tempo va dedicata allo studio, ci sono comunque le bollette, l’affitto e la spesa a cui pensare. Trovare un lavoro sottopagato che ti lasci il tempo per studiare sembra a volte l’unica soluzione. Ci vorrebbe più tempo per fare tutto, per fare in modo essere pagati di più, per ritagliarsi momenti di svago, ma tutto contrasta con il sistema del capitalismo”.
Una cosa che ho apprezzato molto ascoltando e leggendo Josephine Yole Signorelli è stato il suo sottolineare anche il merito della sofferenza. Non per giustificare chi fa del male, né per sostenere che le cose stiano bene così come sono, ma per tenere a mente che anche il dolore è vita, anche le esperienze negative sono utili a formarci, e che tutto questo non può essere censurato, così come non dovrebbe essere censurato un corpo: “Dico sempre come sia il dolore l’altra metà dell’amore, e non l’odio come spesso si tende a raccontare,” mi spiega l’autrice. “Nei fumetti parlo spesso di sofferenza, di situazioni difficili o dei miei problemi, perché capita che le cose di cui si smette di parlare ricapitino nel tempo, vedi la nuova ondata di fascismo o l’elevato numero di femminicidi. Ci sono cose di cui dovremmo parlare sempre”. Anche la droga, un elemento che fa parte della vita di molti ma che ancora nel discorso comune rimane incasellato in uno schematismo da pubblicità progresso, assume un ruolo nei suoi racconti, e sul tema l’autrice mi spiega il perché di questa scelta. Dal suo punto di vista, esistono due tipi di droga: quelle usate per divertimento (naturali o leggere) e quelle “di sentimento”, più pesanti, incisive e determinanti nella vita di chi ne fa uso. “Nei sentimenti, la droga ha così tanta presa perché si sente l’esigenza di colmare una mancanza, un’insoddisfazione, o perché si pensa di non essere abbastanza. Io l’ho usata, insieme a molte altre cose, per spegnere quella voce nel cervello che mi diceva che facevo schifo. Quel pensiero a volte mi si presenta ancora, ma è annegato nel disegno, nelle parole, nei racconti, e arrivata a 28 anni penso di poter affermare che non serva proprio a nulla. Risulta invece molto più complicato e richiede una maggior maturità riflettere sul tipo di società che vorremmo e sui motivi per cui non dovremmo più usare certe sostanze: è un percorso ancora lungo, non dobbiamo mai smettere di parlarne e di confrontarci, perché se non riconosciamo e cambiamo la direzione in cui vanno gli affetti, il lavoro, i diritti o le questioni di genere, il distacco dalla realtà sarà sempre una scelta facile e preferibile”.
Solo all’ultimo poi, come collante a tutta la sua narrazione monocromatica in cui ogni colore rappresenta uno stato d’animo che fa da sfondo alla storia, si palesa anche un altro elemento legato al corpo di chi racconta, un fattore determinante per tanti aspetti del suo modo di essere ma anche il raggiungimento di una maturità e di una consapevolezza individuale. Yole Signorelli, infatti, è una donna transessuale, e la storia di ciò che è stato prima, il suo percorso nella ricerca della propria identità, è al centro del suo secondo romanzo P. la mia adolescenza trans, una sorta di manuale di sopravvivenza che l’autrice avrebbe voluto dare alla se stessa quindicenne. Il coming out è arrivato solo in un secondo momento, ed è poi diventato centrale nel suo secondo romanzo, ma nonostante si tratti di un tema molto complesso e difficile da trattare senza retorica, in Fumettibrutti non sconfina mai in sentimentalismi o del vittimismi. A questo proposito, vista la centralità del tema ma anche il modo molto poco “spettacolare” con cui ha deciso di affrontarlo, l’autrice mi spiega che secondo lei “Il mondo sarà libero quando il coming out non servirà a nulla, ma al momento lo ritengo necessario. Non giudico chi non lo fa, ma la spinta è stata per me l’idea di fare un dono senza ricevere nulla in cambio, o quasi, e questo mondo ha bisogno di carità. All’inizio, comunque, pensavo a quanto fosse importante per me avere un minimo di successo prima ancora di fare coming out, perché non volevo che l’attenzione si concentrasse su quell’elemento; oggi ho capito che neanche questo sarebbe stato un problema”.
Quando ti trovi in una di quelle stanze da studente puoi sentirti molto solo, triste, anche inutile; ci sono alcune cose però che possono farti stare meglio nonostante tu sia scappato dalla città in cui sei nato, nonostante tu possa ancora non avere idea di chi sei e di chi diventerai. Fumettibrutti, nella sua semplicità divertente e malinconica allo stesso tempo, regala quel senso di sicurezza e di compagnia di cui hai bisogno in quei momenti in cui sembra che niente vada bene; e ti ricorda che sì, niente va bene, ma è normale così, a tutti capita una giornata gialla, una giornata viola o una giornata blu.