Rimpiangere presunte età dell’oro non ha senso, anche perché non esiste un periodo della storia di un popolo o di un Paese perfetto sotto ogni punto di vista durante il quale almeno qualcuno non dichiarasse insofferenza, delusione, fastidio. Credo però, e su questo penso possiamo essere tutti d’accordo, che esistano momenti particolarmente fortunati per alcuni settori della produzione umana, sia che si tratti di arte o di qualsiasi altro campo. Non è che a un certo punto nel Cinquecento in Italia tutti si sono svegliati grandi pittori e scultori: si è trattato di una concomitanza di fattori sociali ed economici che hanno fatto sì che una determinata espressione culturale fiorisse più del solito. Credo che i mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione nel Ventunesimo secolo siano una lente di ingrandimento molto efficace per osservare l’oscillazione costante di questi fenomeni, motivo per cui mi domando da diverso tempo quale sia lo stato della satira in Italia. Non parlo della comicità in generale, dei nuovi generi come la stand-up, delle miriadi di canali YouTube che intercettano tendenze ironiche e delle infinite pagine di meme che quotidianamente ci regalano risate fugaci da scroll, tutte realtà che hanno ormai acquisito piena dignità e spesso anche ottimi risultati. Penso piuttosto a quella tradizione satirica televisiva, adatta sia a un pubblico generalista che a un’audience ricercata, che trovava sia lo spazio che la legittimità di un genere consolidato e necessario. In altre parole, penso a Corrado Guzzanti e a quanto, in effetti, oggi manchino figure che possano essere paragonate a lui per qualità e varietà; e mi domando anche, cosa forse ancora più centrale, se non esistano al momento per una scelta, un limite, o solo per una di quelle coincidenze astrali di cui sopra.
È interessante notare che in un momento storico così controverso e per certi versi assurdo come quello che stiamo vivendo da quando è cominciata la pandemia – evento che ha sì stravolto tutto, ma anche smosso un bel po’ di polvere che si era accumulata sotto al tappeto da molto tempo – l’unica voce che ha azzardato discorsi complessi e catalogabili come forma di satira siano stati i fumettisti, in primis Zerocalcare. In televisione, di fatto, non c’è stato nessuno in grado di analizzare e destrutturare ciò che stiamo vivendo in modo altrettanto divertente e intelligente, esattamente come un comico che parla a un grande pubblico dovrebbe fare. Immagino dunque non sia una coincidenza il fatto che nella stessa trasmissione, Propaganda Live – unico spazio dove al momento si possono azzardare contenuti del genere – abbia fatto ritorno Corrado Guzzanti per riproporre un suo famoso personaggio, Vulvia, creando non poco entusiasmo in chi da anni ormai si domanda perché nella nostra televisione non ci sia più niente di simile o comunque davvero poco. Non è rimpianto, non è nostalgia, nessun “ai miei tempi qua era tutta campagna”: è il risultato di ciò che ci circonda a livello mediatico, dell’avvento di nuovi mezzi e nuovi contenitori, del modo in cui ci siamo abituati a concepire la comunicazione su tutti i livelli, sia quello politico che quello sociale, tanto carico di paradossi ed edulcorato al punto che forse ci siamo abituati all’idea di non avere più bisogno di comici con un compito narrativo e stimolante preciso. Ma guardando la storia, nemmeno troppo lontana, di un personaggio come Corrado Guzzanti, e traendo spunto anche dalla breve ma piacevole ventata di conforto che ha portato la sua presenza in tv, mi sembra chiaro che non è affatto passato il tempo della satira e che il mondo mediatico non deve per forza essere tutto cabaret e imitazioni bonarie senza nessun tipo di impatto se non quello di ricordare al massimo qualche performance graffiante da Bagaglino.
Con questo non intendo dire che il ruolo della satira sia quello di cambiare la realtà o di ribaltare gli equilibri del mondo – anche se ci sono comici che hanno fatto delle vere e proprie rivoluzioni in termini di rappresentazione – e non è nemmeno ciò che Corrado Guzzanti nei suoi anni di lavoro ha pensato di fare con la sua comicità. Ma l’esistenza di una lente di ingrandimento vivida e precisa generata da un lavoro meticoloso come quello di Guzzanti e di chi lavorava con lui, un racconto che coglieva le contraddizioni della realtà sottolineandone aspetti che magari ai nostri occhi potevano sfuggire, è ancora necessario per sentirsi confortati e allo stesso tempo stimolati. Guardare un qualsiasi sketch di Guzzanti, riconoscere uno dei suoi tanti personaggi o vedere una delle sue imitazioni al contempo ci dà sia un senso di familiarità con l’oggetto della sua raffigurazione e tocca punti che probabilmente da soli non avremmo mai individuato, generando una sensazione di intrattenimento attivo, tutto il contrario della fruizione anestetica che ci regalano trasmissioni del calibro di Ciao Darwin, dove il massimo dell’elaborazione comica a cui si ambisce è una rivisitazione un po’ più articolata di una scivolata sulla buccia di banana con culi e tette sullo sfondo. Il punto è che oggi siamo davanti a una rivoluzione mediatica importante, in cui le generazioni nemmeno troppo lontane si distinguono già per anni luce tra loro in termini di consumi audiovisivi: porta un trentenne su Tik Tok e osservalo mentre gli si fonde il cervello. Il vantaggio della televisione in era ante-internettiana era proprio questa sua omogeneità espressiva che consentiva di avere sulla stessa piattaforma sia contenuti commerciali e piacioni del genere Drive In, sia esperimenti in stile Fuori Orario che, appunto, un Corrado Guzzanti pronto a imitarlo.
La ragione che ha fatto sì che Guzzanti diventasse uno dei comici italiani più importanti di sempre, dunque, potrebbe essere stata proprio la possibilità di avere questo campo più o meno libero entro cui esprimere il suo talento (oltre al teatro), in una dimensione che poteva essere al contempo sia elitaria, per così dire, che di enorme diffusione come un programma tv. Una cosa che oggi invece – pro e contro di internet – è molto più frammentata in realtà settarie, specializzate, dove ognuno gestisce e si costruisce la propria bolla d’interesse a suo gradimento. Guzzanti faceva parte di un insieme di personaggi, un gruppo di colleghi e colleghe, che con la loro televisione e le loro trasmissioni hanno creato in un ventennio un vero e proprio genere di intrattenimento, sperimentando con forme e contenuti che fino a quel momento non avevano precedenti. Non che l’Italia non avesse una sua tradizione comica – basti pensare anche solo a tutto il genere della commedia all’italiana – ma quel tipo di programma ha significato per la nostra televisione generalista un grande momento di satira e di comicità che ancora oggi non ha perso quel valore. Parlo ovviamente di tutte le trasmissioni condotte da Serena Dandini, perfetta coordinatrice di questo esperimento di televisione raffinata ma anche molto comunicativa, non difficile da digerire ma anche complessa nei suoi significati.
In Avanzi, ad esempio, la trasmissione in cui Guzzanti esordisce all’inizio degli anni Novanta condotta da Dandini – reduce dal successo di un altro programma fondamentale per questo genere di televisione, La tv delle ragazze – si mettono in scena gli “scarti”, lo smaltimento dei rifiuti mediatici sotto forma di parodie, personaggi inventati che fungono da maschere sociali, caricature della realtà. Una scusa, quella della spazzatura, che dà modo di inventare e proporre sipari che sono rimasti nella storia della satira televisiva e che hanno fatto da trampolino di lancio per l’enorme talento di Guzzanti nel creare personaggi assurdi che si caratterizzano in modo molto preciso, ma senza la banalità del tormentone ripetuto fino alla nausea. C’erano le imitazioni (quella di Giovanni Minoli, per esempio) e i vari alter-ego del comico in stile Rokko Smitherson o Lorenzo l’adolescente coatto – ma c’erano anche Ciprì e Maresco, il gruppo Broncoviz, Sabina Guzzanti, per citarne solo alcuni.
Per capire la portata di questo tipo di trasmissione – non solo Avanzi ma anche Pippo Chennedy Show o L’Ottavo nano dove Guzzanti faceva un’imitazione di Bossi veramente insuperabile – che fu solo la prima di una serie che lo vide protagonista con le sue decine e decine di imitazioni e caratterizzazioni di personaggi-simbolo di vari aspetti e temi sociali, basta guardare la pagina Wikipedia “Personaggi di Corrado Guzzanti”. La lista è talmente lunga che ci vorrebbero mesi per recuperarli tutti, dal famoso Venditti che si perde sul Grande Raccordo Anulare a Funari, dal Quelo de “La seconda che hai detto” – una delle tante espressioni coniate dal comico e rimaste poi anche nel linguaggio comune come nel caso di “perplimere” – alla bella Vulvia con il suo “‘mbuto”, che proprio di recente è tornata in tv.
Guzzanti attraverso gli anni e attraverso le tante trasmissioni – compresa la parentesi Mediaset con la Gialappa’s, altra realtà comica a cui dobbiamo molto – ha messo in piedi un universo di racconto e smantellamento della realtà che arrivava a pungere sul vivo qualsiasi schieramento, qualsiasi politico, senza però fare mistero della sua appartenenza. Non come un Crozza – che per carità, è anche bravo, ma anche molto leggero, un bravo imitatore che si ferma spesso al grado zero della caricatura – che oggi imita Vincenzo De Luca, un personaggio che è già comico di per sé e che non ha molto senso riportare in tv parodizzato – ma con una cura nella rappresentazione focalizzata su dettagli grotteschi talmente acuta da rimanere anche oggi, a distanza di anni, perfettamente lucida e puntuale. Una satira che ha raggiunto forse il suo apice all’interno della sua trasmissione Il caso Scafroglia, in cui Guzzanti ha avuto il coraggio di dire in modo aperto – ed estremamente serio – quale fosse l’errore centrale dell’opposizione a Berlusconi, il fatto di prenderlo in giro “per la verdura sui denti” mentre il presidente del Consiglio faceva quello che gli pareva sotto la luce del sole. Un’osservazione sull’operato dell’allora Premier che mi ha fatto molto riflettere sullo stato delle cose attuali rispetto agli errori e alle contraddizioni della politica odierna: ancora una volta sembra molto più facile prendere in giro Salvini per una foto con il pane e la Nutella piuttosto che colpire direttamente alla sostanza delle sue azioni politiche; e la stessa identica cosa succede nei confronti del Movimento Cinque Stelle e dei suoi esponenti, che si prestano tutti a perculate piuttosto facili ma anche molto superficiali.
Se la domanda è semplice, “Perché non abbiamo un nuovo Corrado Guzzanti in tv?”, o anche un Guzzanti stesso che per sue scelte professionali negli ultimi dieci anni è stato sempre meno presente – gli ultimi lavori sono stati Fascisti su Marte, poi la sua parte cult in Boris e la sua serie del 2016 Dov’è Mario? – la risposta non lo è per nulla. Tantissimi fattori incidono sulla possibilità di avere in televisione, ma anche su internet – se solo queste due realtà cominciassero a essere molto più coese di quanto non lo siano ora (magari tra una decina di anni lo capiranno davvero anche alla Rai e a Mediaset quanto sia fondamentale intendere il web e la tv come vasi comunicanti) – una satira che abbia la forza e l’incisività di un genere come quello creato da Guzzanti e al mondo comico attorno a lui. Non è perché la politica, la società e l’universo mediatico e ipersimbolico in cui siamo immersi siano già talmente esagerati e comici di per sé che non abbiamo più bisogno di una comicità capace di sottolinearne le storture, che si diffonda in larga scala. Corrado Guzzanti – e con lui Sabina Guzzanti, Neri Marcorè e Serena Dandini, insieme a molti altri – ha avuto sia la capacità e soprattutto la possibilità di utilizzare un contenitore tanto versatile e immediato come la tv per dare spazio alle caricature, reali o inventate, precise e divertenti dell’Italia che viveva. Rimpiangere la sua presenza non serve a nulla, ma pretendere che ci sia ancora spazio per messaggi tanto complessi quanto immediati che facciano ridere in modo catartico e dissacrante – nulla a che vedere con le compagnie anestetiche e prive di qualsiasi critica in stile Made in Sud o simili – e che la televisione e il mondo dei media ce lo debba è il minimo, perché “pubblico generalista” non vuol dire pubblico di serie B.
Foto in copertina di Damiano