I cinepanettoni e i cinecocomeri sono ormai da decenni in Italia tra i film di maggior successo nell’ambito della commedia, con risultati al botteghino che volenti o nolenti li consegnano alla storia del nostro cinema, al di là di qualsiasi possibile giudizio artistico o personale. Vacanze di Natale, Sapore di mare o Yuppies, per molti sono veri e propri cult, non certo privi di dignità e di rilevanza. Molti italiani frequentano i cinema solo in occasione delle uscite di questi film, anche dopo che le piattaforme on demand sono entrate nella nostra vita di tutti i giorni. Per altri sono quantomeno rappresentativi del nostro Paese: non potrebbero infatti mai essere stati scritti altrove e anche in qualità di questo fatto vanno conosciuti, perché non mostrano il peggio dell’Italia, ma piuttosto il non plus ultra dell’italianità di una certa epoca, gli anni Ottanta, che ancora però sembra protrarsi nell’immaginario di tanti. Il termine che identifica questo genere è un’azzeccata definizione con cui il critico Franco Montini evidenziò il loro essere una costante nel panorama dell’intrattenimento del periodo tra dicembre e gennaio e la loro presenza capillare nelle sale.
Quando si studiano e si analizzano generi e correnti da un punto di vista critico e accademico non si dovrebbe tralasciare nessuna opera. Alcune vengono riscoperte anche a distanza di tempo, come è accaduto ad esempio con la cosiddetta “commedia sexy”, che essendo un riferimento per un regista come Quentin Tarantino lo è diventata anche per una parte del suo pubblico più affezionato. Attori come Lino Banfi, Alvaro Vitali, Edwige Fenech, Barbara Bouchet e Laura Antonelli, cui va aggiunta la presenza di attrici come Zeudi Araya o Florinda Bolkan in chiave esotica o proto-queer, sono irrimediabilmente associati al genere che li ha resi famosi. Vitali, prima di essere Vitali, è per tutti Pierino, e così via e lo stesso accade per Christian De Sica e Massimo Boldi, una delle coppie artistiche più longeve del mondo dello spettacolo, diventate l’emblema del cinepanettone. Anche gli autori di molti loro film erano una coppia, i fratelli Enrico e Carlo Vanzina, come De Sica cresciuti nel cinema e circondati da un ambiente culturale e artistico di altissimo livello. Loro padre, infatti, era Steno, sceneggiatore di Totò, Bud Spencer e di molti altri. Enrico è principalmente sceneggiatore, mentre Carlo, venuto a mancare nel 2018, si era formato con Mario Monicelli e Alberto Sordi ed era regista e produttore.
Molti studiosi hanno individuato delle tematiche classiche e inesauribili che, da Omero a Dallas – come vuole il titolo di un best seller di Florence Dupont – appunto, non smetteranno mai di essere trattate dai narratori e apprezzate dal pubblico, come ad esempio la famiglia, il potere, il denaro. I Vanzina e Neri Parenti, regista apprezzato da Paolo Villaggio che gli chiese di dirigere alcuni film della serie di Fantozzi, però, partendo da questi temi, hanno canonizzato un campionario a base di machismo, doppi sensi, peti e rutti mai eguagliato, tanto da essere diventato oggetto di efficaci parodie di Maccio Capatonda e in Boris, proprio per la loro scarsa originalità.
Alan O’Leary, docente all’Università di Leeds e autore di più saggi in merito, ritiene che questi film non siano stati adeguatamente esplorati e che ciò abbia causato una considerazione lacunosa, perché “il cinepanettone non è una forma didattica e non cerca di essere migliore della società sessista che lo genera. Ma forse la sua stessa ‘volgarità’ offre gli strumenti e i materiali per vedere oltre le disuguaglianze che celebra”. Gaia Giuliani, ricercatrice all’Università di Coimbra e curatrice del volume Il colore della nazione in cui O’Leary si concentra in particolare sulla rappresentazione di mascolinità e “bianchezza”, invita a considerare i cinepanettoni come un documento storico così “come qualsiasi prodotto visivo che rispecchia anche solo parzialmente il sentire comune in un preciso momento storico o meglio ciò che è lecito rappresentare pubblicamente”. Giuliani si concentra su aspetti poco affrontati dalla nostra critica, eppure sempre presenti nei film con Boldi e De Sica: “Il concentrato di sessismo e bodyshaming sia maschile sia femminile, [anche se] specialmente femminile, così come la denigrazione costante delle persone razzizzate, il cui corpo è presente solo come elemento che disturba o che provoca scherno e ilarità, non rispecchiano il sentire di tutti gli italiani, ma ciò che di alcuni è reso ‘norma’ per tutti e tutte le altre”. L’Italia di oggi non sembra essere poi così diversa da quella che veniva rappresentata dai primi cinepanettoni. Tipico del bodyshaming all’italiana di oggi, sostiene sempre Giuliani, c’è anche quello nei confronti dei vecchi uomini, etero e bianchi: brutti, canuti, panzuti e destinati al Viagra. Ecco che allora la nuova versione giovanilistica di sessismo, omofobia, transfobia e razzismo veicolata da questi film non si accompagna più ai protagonisti della passata versione della virilità dell’inetto italico.
Tra gli studiosi che si sono soffermati sul linguaggio utilizzato nei cinepanettoni, c’è anche l’italianista Natasa D. Vucenovic, che l’ha fatto per mostrare come il cosiddetto “italiano dell’uso medio” sia quella varietà della lingua nazionale usata indipendentemente dal luogo, dalla classe sociale, dalla cultura, dal sesso o dall’età, anche per questo motivo il genere è in grado di raggiungere e farsi capire da tutti.
Secondo Vucenovic, tali commedie hanno un modello comune non solo per quanto riguarda la trama trita e ritrita, ma anche per la costruzione del linguaggio che scelgono di utilizzare. Nei dialoghi ricorrono infatti con frequenza gli stessi tratti morfologici. Nel suo saggio la studiosa si è concentrata sulla varietà distratica, diatopica e diafasica e ha fatto riferimento a un testo del linguista Francesco Sabatini, che riferendosi alla lingua parlata aveva proposto nel 1990 la definizione di ““l’italiano dell’uso medio”. L’autrice scrive che tale uso rispecchia sul piano morfologico l’adattamento alle esigenze del parlato colloquiale.” Che la lingua sia un fattore di unione: basti pensare a come ci sentiamo spaesati quando trovandoci in un nuovo contesto non capiamo poco o niente.
Col passare del tempo la popolarità dei cinepanettoni è andata comunque scemando e le settimane di Natale hanno visto avvicendarsi sul podio dei film più visti il canadese James Cameron e il pugliese Checco Zalone, autori senz’altro più creativi, a riprova che il pubblico è disponibile a vedere qualcosa di diverso se solo gli viene proposto. Cameron, infatti, spazia tra i generi senza difficoltà (Terminator, Aliens, Abyss, Titanic, Avatar), mentre Zalone ha beneficiato per un bel po’ della penna di Gennaro Nunziante, già campione di ascolti ai tempi in cui scriveva trasmissioni per alcune seguitissime emittenti del Sud, come Telenorba (anche in questo caso era protagonista una coppia di uomini, Toti e Tata, interpretati da Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo). Nell’ultimo decennio gli incassi dei Vanzina erano sensibilmente calati e contemporaneamente, scrive Paolo Noto, professore associato all’Università di Bologna, “altri hanno avuto soldi e successo da film per cui sono stati additati a responsabili dello sfascio cinematografico nazionale”. Pur apparendo o essendo apparsi in questo genere di film con lo spirito con cui si affronta il Carnevale – ossia immaginandoli come un tempo limitato e sospeso in cui tutto è lecito – poi sono molti gli attori che oggi fanno scelte più impegnate e ponderate. Diversi interpreti hanno preso parte a queste produzioni essenzialmente come strategia per raggiungere un pubblico vasto, essere notati e poi dedicarsi ad altro sotto la direzione di registi la cui autorialità non viene messa in discussione.
Un problema spesso assente dal dibattito su questo filone è quello degli stanziamenti ministeriali per realizzare i cinepanettoni, i cui tanti soldi che fanno guadagnare non sembrano confluire in alcun modo nel sostegno più ampio della qualità del settore e nella diversificazione delle opere che sostiene. C’è una nuova generazione di ottimi autori e registi, che ricevono importanti riconoscimenti all’estero e che qui in Italia sembrano non trovare spazio, risonanza e distribuzione, se non tra gli addetti al lavoro e le nicchie di grandi appassionati. I cinepanettoni rappresenteranno e parleranno anche a una grossa fetta d’Italia, i dati lo dimostrano, ma ci sono tanti altri cineasti che, con molti meno mezzi e a volte anche con uno sguardo ben più originale, sanno raccontare il nostro Paese in maniera ricca e stratificata, unendo all’intrattenimento anche la riflessione. Eppure spesso non vengono sostenuti dal sistema, nessuno scommette su di loro, proprio come avviene in editoria, e per riuscire a dar forma alla loro arte devono costantemente lottare. Forse, come pubblico, è arrivato il momento di rivolgere verso di loro la nostra attenzione, così magari anche le case di produzione saranno più incentivate a investire su di loro. L’Italia è cambiata, e cambierà ulteriormente, è arrivato il momento di fare attenzione a un cinema che non ha paura di osare, invece che riproporre imperterrito gli stessi temi e le stesse battute grette e trite esclusivamente in nome dei guadagni. È vero che il cinema è un’industria, ma è anche un’arte e nessuno dovrebbe dimenticarselo.