Bisognerebbe cominciare come farebbe lui e dire: c’è un uomo, anzi, un ragazzo. Nel Paese in cui è nato e cresciuto, l’Italia, si è ragazzi fino a tardi, fino a quando un segno nel tuo aspetto non dice il contrario, e lui di segni non ne ha. Pizzetto e baffi sono scuri e scuri sono anche i vestiti che porta, come una specie di divisa dark: giacca, polo, pantaloni, tutti neri. Siamo alla fine degli anni Novanta, in radio c’è “My Heart Will Go On” di Celine Dion, al cinema The Truman Show, al governo Prodi e poi D’Alema, e per lavoro, quest’uomo-ragazzo, scrive storie. Sono storie di misteri, di indagini, di omicidi e di solito le inventa, con molto successo: parte da una traccia di realtà e poi dà spazio alla fantasia e crea. È il suo mestiere: è uno scrittore. Di gialli. Ma, fuori dalla pagina, ci sono storie – grandi e piccole, pubbliche e private – che sono vere e rappresentano un enigma dello stesso tipo. Forse lui le conosce perché sono accadute mentre cresceva o poco prima, forse pensa che se nessuno le tramanda si perderanno, e perdere è peggio che dimenticare, fatto sta che comincia a raccontare anche quelle, davanti a una telecamera, in uno studio così piccolo che, mentre parla e il cameraman riprende, puoi enumerare facilmente i pochi pezzi d’arredamento, sempre gli stessi: la scrivania con il pc acceso su un foglio di Microsoft Word, lo specchio, la mensola, la libreria. Più in là, lo scenario si aprirà: compariranno dei cartonati, il computer sparirà e a centro scena ci sarà solo lui. Lui si chiama Carlo Lucarelli, il suo programma è Blu notte e se fossimo in una delle puntate, adesso, accadrebbe qualcosa: un “fattaccio”.
Accade sul serio in realtà, anche se, forse, è un fatto minore, un enigma per spettatori televisivi: Blu notte – all’inizio Mistero in blu e in seguito Lucarelli racconta – è stato il programma televisivo che ha portato sullo schermo l’approfondimento in forma narrativo-documentaristica di casi di cronaca nera e misteri italiani. Trasmesso dalla Rai dal 1998 al 2012, solitamente in seconda serata e nonostante ciò seguitissimo, a un certo punto è stato cancellato per presunte ragioni di budget. Stessa sorte l’ha subita La tredicesima ora, nuovo format che ne raccoglieva il testimone. E per un certo periodo lo stesso Lucarelli è sembrato chiedersi perché.
Le prime tre stagioni, in onda dal 1998 al 2000, erano centrate su fatti di cronaca nera. Nella maggior parte dei casi, 22 puntate su 33, si trattava di storie di donne, femminicidi prima che la parola “femminicidio” – coniata dalla criminologa Diana Russell nel 1992 – diventasse un concetto d’uso comune: a partire da Francesca Alinovi, promettente critica d’arte e giovane insegnante del Dams, a Nada Cella, massacrata nell’ufficio dove lavorava come segretaria, fino ad Antonella Falcidia, ginecologa e docente universitaria la cui vicenda, proprio grazie al lavoro di Lucarelli, vide una svolta, sebbene non risolutiva.
In scena Lucarelli presentava il fatto, ricostruiva con interviste e sopralluoghi la personalità della vittima, segnava i punti salienti dello sviluppo della vicenda e formulava ipotesi, anche perché i delitti erano quasi tutti senza un colpevole manifesto. Per quanto la struttura del programma prevedesse il paragone con un romanzo o un film, con l’occhio di un regista o la penna di uno scrittore – su tutti Giorgio Scerbanenco, forse il preferito di Lucarelli – la frase “Ma questo non è un romanzo, questo non è un film”, era ripetuta ogni volta, come a dire: sì, leggiamo e guardiamo storie che hanno un capo e una coda, anche le peggiori, ma questa è un’altra cosa, questa è la realtà e purtroppo spesso non ha spiegazioni. Ma questo non è sufficiente a smettere di cercare di capire cosa sia successo. Lucarelli e la sua squadra – in video, nelle prime stagioni, compaiono Lorenzo Viganò, Alessandro Riva e l’allora commissario della Polizia Scientifica di Bologna Silio Bozzi – apriva con la sua tecnica narrativa spiragli di conoscenza, raccontando storie vere da un punto di vista emotivo e personale che permetteva agli spettatori di immedesimarsi e porsi domande.
Siamo lontani, però, dalla televisione del dolore. Anche se, come scrive Anna Bisogno nel saggio La tv invadente, “da noi la criminalità costituisce un genere televisivo di successo […] i crimini, cioè, non solo hanno uno spazio quotidiano, ma vengono trattati – e sceneggiati – come una fiction”, il lavoro di Lucarelli non puntava a innescare intenzionalmente la cosiddetta “topica della denuncia” teorizzata dal sociologo Luc Boltanski in cui lo spettatore, al cospetto di una sofferenza lontana da sé, è costretto a indignarsi e cercare, per mezzo delle minuziose e macabre prove fornite, il colpevole da accusare. L’identità della vittima, la sua storia, il suo carattere, le sue scelte, erano al centro della narrazione, vero e proprio focus, così come i luoghi della vicenda, toponimi salvati dalla geografia dell’orrore, esposti però nel loro doppiofondo tra paesaggio, vita quotidiana e storia del Paese, perché nella cronaca nera è possibile leggere anche l’Italia e i suoi mutamenti. Queste storie di donne che sembrano isolate e che sui giornali restano giusto un giorno o due, con Blu notte diventano narrazione sociale.
A partire dal 2001, il racconto si amplia, come il titolo della trasmissione che diventa Blu notte – Misteri italiani. Scrive Lucarelli sulle pagine de L’Unità: “In tre anni di efferati delitti irrisolti, tutti molto importanti ma anche tutti molto ‘privati’, ci eravamo costruiti un pubblico affezionato che nonostante l’ora ci portava anche al 16%. O meglio, per non ragionare in biechi termini di audience, un pubblico che ci scriveva lettere ed e-mail di entusiastica approvazione e che quando riconosceva me, il commissario Bozzi o Alessandro Riva e Lorenzo Viganò, ci fermava per la strada e ci diceva bravi. Ancora di più, un pubblico formato da parenti delle vittime che poi telefonava per ringraziarci per quello che avevamo fatto […]. Passare ad altri delitti, altrettanto efferati e irrisolti ma ‘pubblici’, che effetto avrebbe avuto? […] Sono tante le mail, le lettere o anche solamente le strette di mano e le pacche sulla spalla che ho ricevuto da gente nata prima del 1970. Gente che le cose non le sa, o non le ha capite bene, ma che vuole saperle e vuole capirle”. Arriva, dunque, nella programmazione televisiva il racconto della storia italiana più recente, quella raccontata più dai giornali che dai libri e spesso per questo mancante di prospettiva. Stavolta si tratta di fatti noti ai più – uomini e donne all’epoca sopra i 45 anni e sotto i 60 – ma dietro il nome, a dire “Piazza della Loggia” o “Graziella Campagna”, per moltissimi altri, i più giovani, non c’è niente. Ora sì: dalla strage di Ustica a quella di Bologna, dalla storia delle Brigate Rosse a quella della P2, dal ruolo di Michele Sindona agli omicidi della Uno bianca, dalla scomparsa del giornalista Mauro de Mauro al delitto Pasolini, Lucarelli ricostruisce e delinea il profilo non più di una vittima ma dell’intero Paese.
“È un mistero vecchio, è un mistero degli anni Sessanta, ma è un mistero ancora attualissimo perché per quanto lontane possano sembrare queste storie, sono sempre ricche di spunti attuali, radici di quello che succede adesso”. Questa è l’introduzione alla puntata sulla morte di Enrico Mattei, ma spiega appieno l’approccio di Lucarelli alle varie vicende trattate: anche quando lontane nel tempo, sono importanti per capire il presente. Blu notte diventa strumento d’indagine e divulgazione storica. Siamo lontani dai tempi de La notte della Repubblica di Sergio Zavoli, ma è su quella traccia che si innesta lo specifico storico di Lucarelli: il tentativo di ricostruzione della memoria civile italiana, non più confinata a un certo pubblico colto, ma popolare. E forse è qui che succede qualcosa.
Il 23 aprile 2004 è prevista una puntata dal titolo “La Mattanza, dai silenzi sulla Mafia al silenzio della Mafia”, ma la trasmissione viene interrotta e, senza informare nessuno, rimpiazzata da un film di Clint Eastwood. Lo stesso Lucarelli, il giorno seguente, racconterà l’accaduto dalla pagine de La Repubblica: “Sospeso? Non mi era mai successo, neanche a scuola […]. Mi hanno letto una circolare secondo la quale programmi come il mio violerebbero la legge sulla par condicio […]. Parliamo di politica, e siamo sotto le elezioni. Non è esatto, noi parliamo di mafia, e parlare di mafia non dovrebbe dar fastidio a nessuno, a parte alla mafia, naturalmente”. Al governo, in quel momento, c’è Silvio Berlusconi che, anni dopo, nel novembre 2009, dirà: “Se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo giuro che lo strozzo”.
Ma siamo nel 2004 e, nello stesso momento in cui il programma è in battuta d’arresto – riprenderà a ottobre dello stesso anno – Lucarelli è ormai un personaggio televisivo molto noto, il suo stile è consacrato e apprezzato da critici come Aldo Grasso e si merita una citazione – sempre televisiva – addirittura da una rete concorrente come Italia Uno, a Mai dire Domenica, quando l’attore Fabio De Luigi lo imita e, rivolgendosi al pubblico, chiede: “Paura, eh?”. La parodia è così riuscita che vi partecipa lo stesso Lucarelli e diventa un meme ante litteram. La trasmissione ricomincia e in parallelo si susseguono le repliche nei palinsesti tardoserali della Rai, molte altre diventano dvd – 45 pubblicati da De Agostini, altri 24 dal Corriere – e contenuti on demand per la tv a pagamento. Il programma riceve il Premio Flaiano e, nei primi anni Duemila, vedono la pubblicazione anche i libri pubblicati da Einaudi che riprendono i casi di Blu notte o ne ampliano l’indagine. A settembre 2008, però, c’è un nuovo intoppo. Va in onda la puntata sui fatti del G8 a Genova e il Pdl attacca: è un programma fazioso. “La destra all’attacco di Blu notte” titola l’Unità, ma Lucarelli respinge le accuse di militanza politica. La decima stagione va in onda nel 2009, poi, l’anno seguente, lo scrittore torna su Rai Tre con un nuovo programma che si innesta sulla stessa scia: Lucarelli racconta. Con lo stesso stile narrativo, si apre un nuovo percorso di indagine e ricostruzione di 11 delle più controverse vicende della società italiana: l’ultima puntata, nel 2012, è sulla storia dell’ecomafia. Poi, il nulla.
Fare una cronistoria delle lamentele dei telespettatori per l’interruzione della trasmissione è impossibile perché sono troppe. Mentre le repliche di Blu notte vengono trasmesse ancora oggi su Rai Premium come una sorta di riempitivo notturno – l’orario della programmazione oltrepassa di molto la seconda serata – e su Rai Play sono presenti alcune puntate, gli appassionati si sono organizzati da soli e aumentano sempre di più: online, da Spotify a YouTube. È un fiorire di video di puntate a cui sono state tolte le immagini per farle diventare podcast e il tutto senza contare le continue richieste da parte delle scuole che ne fanno materiale didattico sulla storia dell’Italia contemporanea. Negli anni, Lucarelli, ha trovato altri spazi televisivi e radiofonici, da DeeGiallo a Profondo Nero, e lo scorso agosto è tornato addirittura in Rai per uno speciale sulla strage di Bologna, a 40 anni dalla tragedia – purtroppo sempre trasmesso in un orario in cui di norma la gente dorme – ma quel programma resta un caso unico. A fare un giro sulla pagina Facebook dello scrittore, è un continuo di commenti del tipo: “I ragazzi dovrebbero conoscere la nostra storia, e il miglior narratore è proprio lei”, o ancora, “Ci siamo ascoltati uno dei podcast nel viaggio di andata per le vacanze estive e abbiamo così fatto conoscere un pezzo di storia ai nostri figli. Perché non torni a farlo?”.
Ne Il paese leggero, Fausto Colombo scrive: “Un certo snobismo intellettuale, salutare ma a volte anche autocompiaciuto nella sottolineatura dei vizi nazionali, ci ha spesso raccontato l’Italia come un paese ‘senza’, minato da tare ereditarie insanabili come il familismo, il machiavellismo, un certo rifiuto della serietà […]. Raccontare di nuovo la nostra vicenda, magari a partire proprio dai suoi aspetti e momenti più dolorosi, oltre che da una riconsiderazione di certi trionfalismi, permette non soltanto di comprendere il passato, ma anche di guardare al futuro in un’ottica diversa, senza trascinarsi sulle spalle il fardello di una falsa coscienza storica, un rimpianto per un tempo mitico e inesistente”. In questo senso, Blu notte non ha dato solo un nuovo costrutto narrativo alle vicende italiane, ma ha mostrato chiaramente che c’è una parte di popolazione che vuole sapere e capire, quei telespettatori che sono prima di tutto cittadini. Ed è per questo che oggi più che mai avremmo bisogno che Lucarelli tornasse a raccontare le sue storie di misteri, ora che il mistero stiamo diventando noi.