Le polemiche tra Trump e Sacha Baron Cohen sono i migliori contenuti extra del nuovo film di Borat - THE VISION

Quando uscì il primo Borat, Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, era il 2006 e il mondo era molto diverso. Il presidente degli Stati Uniti era George W. Bush, i social network non avevano cambiato le nostre vite. Oggi, nonostante siano passati soltanto quattordici anni, quel periodo sembra il Mesozoico. Non a caso abbiamo Donald Trump presidente degli Stati Uniti e tutto quello che un tempo non si osava dire, se non da ubriachi in un diner in Texas trangugiando costolette immerse in salsa barbecue adesso è diventato parte del lessico della Casa Bianca. Così in molti aspettavamo il ritorno di Sacha Baron Cohen nei panni di Borat, nel sequel Seguito di film cinema, uscito nei giorni scorsi in esclusiva su Amazon Prime Video, proprio per capire come avrebbe trattato il trumpismo e le sue deformazioni. L’ha fatto nel miglior modo possibile: scrivendo il suo film più impegnato e abbandonando per certi versi lo stupore suscitato negli spettatori dalla sua comicità grottesca e surreale.

Se, come diceva Terzani, “la fine è il mio inizio”, lo stesso può valere per questo secondo capitolo di Borat, con il fotogramma finale che è più un invito alla resistenza che un ordine. La scritta “Vota adesso, o sarai giustiziato” fa capire allo spettatore che il film non è finito, ma continua fino all’ingresso nelle urne per tutti gli statunitensi, con il resto del mondo ad assistere da spettatore. È stato già speso abbondante inchiostro per parlare della trama di questo mockumentary, ma è bene analizzare le implicazioni politiche, le conseguenze della messa in onda su Amazon Prime Video, le reazioni di Trump e dei repubblicani e, soprattutto, il potere che ancora può avere un film. La domanda se l’è fatta esplicitamente Charles Bramesco sul Guardian con un articolo molto lucido: l’intrattenimento può davvero influenzare un’elezione?

Nel caso di Borat, il giornalista spiega che secondo lui sposterà davvero pochi voti, perché gli elettori di Trump difficilmente dedicheranno il proprio tempo alla visione dell’opera; in generale ne dedicano poco a qualsiasi forma artistica, figuriamoci quando vengono sbandierati esplicitamente pensieri avversi al loro. Questo è un po’ un tema universale che può valere anche per l’Italia: che senso ha scrivere un articolo dove si critica Salvini, quando nessun salviniano lo leggerà? Bramesco li considera “atti di autocompiacimento nascosti sotto le spoglie dell’attivismo”, un modo aulico per dire che certe cose se le caga solo la tua filter bubble, creando un masturbatorium virtuale che non raggiunge le persone a cui un articolo, un film o qualsiasi progetto è in teoria indirizzato. Questo fenomeno accade spesso, è vero, ma per Borat il discorso è diverso perché stiamo parlando di un’opera estremamente pop, che quindi potrebbe raggiungere diversi strati della popolazione e diverse ideologie.

L’articolo di Bramesco si chiude poi con una considerazione: Sacha Baron Cohen è ancora divertente, ma la schermata finale (l’invito a votare) “sminuisce tutto quello che è accaduto prima, inquadrando il tutto come un’esortazione ad andare alle urne”. Ma “Vota adesso” ha un significato più esteso, in quanto valido anche per chi non vive e vota negli Stati Uniti: è sì un’esortazione, ma a rendersi conto che certi politici sono più ridicoli del tizio kazako che nel 2006 ci faceva sogghignare per quel costume buffo. Non a caso, in questo film, Cohen è meno ironico e più cinico, non ha bisogno di metafore o di sketch da interpretare per descrivere la realtà che lo circonda, oggi ormai basta raccontare le cose per come sono. Se nel primo film usava Pamela Anderson per rappresentare l’America, adesso per rappresentare Trump usa direttamente Trump.

Nella pellicola tutti gli uomini del presidente vengono criticati senza usare allegorie, e in certi casi sono loro stessi ad autoridicolizzarsi. Ha fatto scalpore, ad esempio, la scena che ha visto protagonista Rudy Giuliani, ex sindaco di New York, attuale consigliere per la sicurezza informatica della Casa Bianca e avvocato personale di Trump. Intervistato da Maria Bakalova, che interpreta la figlia di Borat e che si finge giornalista, si è dimostrato prima compiacente con la ragazza, per poi seguirla nella camera d’albergo, chiederle il numero di telefono, sdraiarsi sul letto e iniziare uno strano movimento tra mani e pantaloni, che ha giustificato così: “Quando ho tolto il microfono è uscita la camicia, allora mi sono steso per rimetterla nei pantaloni, e loro hanno potuto filmare quell’immagine. Vi assicuro che non stavo facendo altro”. Fraintendimento o meno, Cohen descrive senza fronzoli il modo in cui Trump e i suoi fedeli trattano le donne, sferrando attacchi spietati anche a Melania e alla sua gabbia dorata. Il presidente ha risposto in modo pacato, definendo Cohen “un impostore schifoso”. Cohen ha replicato con più ironia: “Donald, apprezzo la pubblicità gratuita per Borat! Lo ammetto, neanche io ti trovo divertente, eppure il mondo intero ride di te. Cerco sempre persone che interpretino buffoni razzisti e tu avrai bisogno di un lavoro dopo il 20 gennaio. Parliamone!”.

In tutto il film il razzismo viene sbandierato e ridicolizzato, come quando Borat arriva a una convention di repubblicani vestito come un membro del Ku Klux Klan, o quando vengono fatti riferimenti ai messicani in gabbia al confine con gli USA, al suprematismo bianco, all’antisemitismo dell’americano medio, al complottismo legato a temi come l’Olocausto. Rispetto al primo Borat questo sequel è più politico non soltanto negli intenti, ma perché invece di concentrarsi sul ritratto generale di una società decide di indugiare sulla sua classe dirigente. Lo fa in modo crudo, con una comicità veloce che arriva al centro senza tergiversare sulle sfumature di contorno. Lo spettatore del primo Borat si rendeva conto del marcio che c’era dietro; quello del sequel si accorge di quello che è già davanti ai suoi occhi. In molte commedie si ride e poi si riflette, qui si riflette ridendo.

Forse Borat – Seguito di film cinema non sposterà voti per le presidenziali statunitensi, ma era ed è un film necessario come testimonianza per gli anni a venire. Se il film del 2006 è invecchiato bene, mostra l’anticamera di quello che sarebbe successo, ovvero la deriva politica di questi anni; quello del 2020 lo riguarderemo in futuro per capire più in profondità le dinamiche di una società ancorata a un’idea di potere improntata sull’ignorante che smuove le masse, sui pregiudizi e le discriminazioni che fanno da collante per creare un odio condiviso e quindi sdoganato. Più che una commedia-mockumentary è un dissacrante This is America di un’ora e mezza, lo sputtanamento di un sistema che può crollare solo attraverso la mobilitazione diretta – il voto, appunto – e dunque l’invito finale è il senso stesso del film. Il fatto che sia stato girato durante la pandemia rende ancora più efficace il messaggio, come quando viene inquadrato il vicepresidente Mike Pence mentre, mesi fa, affermava che da loro c’erano soltanto quindici casi di Covid-19, e che dunque avevano tutto il tempo per farsi trovare pronti; o come quando sempre Giuliani dichiara che Trump ha salvato un milione di vite, senza spiegare come o perché. I complottisti in piazza che cantano insieme a Borat canzoni contro Obama, la Cina, il virus dei pipistrelli e Fauci non sono altro che quella parte di elettorato a cui il film è indirettamente rivolto. Alcuni non vedranno il film; alcuni magari lo vedranno e non cambieranno idea; altri ancora invece lo vedranno, per sbaglio o per caso, e forse verranno raggiunti da un messaggio. Per tutti gli altri, quelli che non si arrendono alle ingiustizie del mondo e all’ottusità, invece rappresenta un’affermazione forte, un appello. L’arte può avere l’ambizione di contribuire a cambiare il mondo, e questo film sicuramente prova a farlo, e di questi tempi è già moltissimo.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Amazon Prime Video in occasione dell’uscita del secondo film di Sacha Baron Cohen “Borat”, in esclusiva da venerdì 23 ottobre sulla piattaforma. 

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