“Belve” è l’unico format tv dove si fanno ancora domande vere. Per questo ha successo. - THE VISION

Undici anni fa, durante la promozione del suo film Habemus papam, Nanni Moretti è stato ospite del programma di Fabio Fazio Che tempo che fa. Il presentatore stava sistemando alcune carte sulla sua scrivania e Moretti, vedendo quel traffico di fogli, ne ha preso uno per controllare cosa dicessero, perché gli era sembrato ci fosse scritta sopra la parola “Boicottare”. Fazio, che da oltre vent’anni conduce uno dei format di interviste più noti della nostra televisione, se non attualmente il più importante, lo rassicura dicendogli che non si permetterebbe mai di fare una cosa del genere al suo mito. “Ma lo dici a tutti, sono tutti il tuo mito, sei volte a settimana incontri il tuo mito”, risponde Moretti chiaramente infastidito da quella frase ruffiana del presentatore noto per essere tra i più calmi e perbene di sempre. Ciò su cui pone l’attenzione il regista con la sua uscita sarcastica, al di là della scenetta divertente che ne è venuta fuori, non è la piaggeria di Fazio, che negli anni anni è arrivato a intervistare personaggi del calibro di Barack Obama e Papa Francesco e che ormai ricopre un ruolo istituzionale. Il punto, semmai, è che in televisione è raro trovare interviste slegate da logiche promozionali e che non siano marchette organizzate dagli uffici stampa, confinate a una semplice chiacchiera concordata tra conduttori e invitati in cui nessuno dei due dice qualcosa di interessante. Trovare programmi in cui succede qualcosa di diverso è raro, ma non impossibile; Belve di Francesca Fagnani è uno di quelli. 

Criticare in toto questo metodo giornalistico votato alla promozione fine a sé stessa sarebbe ingenuo. Sia la televisione che la radio e internet sono fatti di un flusso costante di contenuti, i compromessi sono necessari per garantire sia la costanza che la quantità, due elementi su cui si fondano tutti i mezzi di comunicazione moderni. Motivo per cui, incrociare la promozione di un libro, di un film o di un disco con un’intervista che dia da un lato materiale al programma e dall’altro visibilità al prodotto non è né assurdo né deprecabile in maniera assoluta. Il problema, però, subentra nel momento in cui questo formato prevale del tutto sul più semplice e spontaneo ciclo di domande e risposte che non per forza necessitano di essere legate a un tema virale. Al contrario, a generare viralità non è quasi mai la rincorsa artificiale alla viralità stessa, ma il fatto che qualcosa o qualcuno esca dal flusso quotidiano della normalità. Se chi intervista non riesce a uscire dal binario asettico di una serie di quesiti accordati e calibrati solo in funzione delle richieste dell’intervistato, temendo di mettersi contro uffici stampa vari e agenti, il risultato non aggiunge nulla a ciò che di fatto diventa uno spot pubblicitario. Ed è qui che subentra l’intuizione del format Belve, nato nel 2018 sul canale NOVE e trasferito poi nel 2021 su Rai 2, in seconda serata, momento televisivo storicamente votato ai contenuti più interessanti e liberi. A Belve non c’è promozione, non c’è un libro da mostrare a fine intervista, un film di cui raccontare la sinossi: c’è semplicemente un ospite, che si adatta alla precisa liturgia del programma.

Francesca Fagnani, mente e corpo della trasmissione insieme a Irene Ghergo – storica autrice televisiva che ha collaborato per anni con Gianni Boncompagni –, non è certo un personaggio venuto fuori dal nulla che si è trovata tra le mani la possibilità di intervistare perlopiù donne con storie forti e ambigue, delle “belve”, appunto. La sua carriera giornalistica affonda le radici nelle inchieste sulla criminalità organizzata, dalla camorra alla malavita romana, oltre ad avere alle spalle collaborazioni con due nomi fondamentali della nostra televisione, Michele Santoro e Giovanni Minoli, due giornalisti che con le interviste dirette e “scomode” hanno fatto scuola. All’interno di Belve, infatti, non è insolito trovare come ospiti anche donne con un passato nella criminalità, come per esempio Cristina Pinto, killer della camorra. La base da cui parte questo format, dunque, è rafforzata dall’esperienza con un ambiente televisivo lontano dall’intrattenimento e dall’atmosfera satura di molti programmi contemporanei, ormai logorati da anni di stasi dovuta a molti fattori, dal calo vertiginoso del pubblico televisivo alla moltiplicazione delle piattaforme.

Cristina Pinto e Francesca Fagnani

Francesca Fagnani, nella crisi del mezzo televisivo, ha così trovato una formula che non si ferma ai convenevoli di un salotto da bene, mescolando un piglio giornalistico diretto, una forte componente ironica e una dose massiccia di cultura pop che, checchè se ne possa pensare, ha un valore narrativo non indifferente, specialmente se viene analizzata con una lente di ingrandimento diversa dal solito. Ogni ospite viene sottoposto a una piccola indagine personale che spinge l’intervista attraverso una serie di domande sempre uguali – i capisaldi del programma, ormai tormentoni, come la frase d’esordio “Lei che belva si sente?” o “Mi dice una sua belvata” – su un livello di dialogo che non teme di risultare insistente o addirittura fastidioso. Anche gli sgabelli, scomode sedute su cui si svolgono i trenta minuti di conversazione tra giornalista e intervistato, contribuiscono a questo clima teso che non indugia volutamente nell’accondiscendenza. La santificazione dei personaggi pubblici, specialmente quelli appartenenti al mondo dello spettacolo, è una pratica che edulcora la realtà e crea falsi miti, anche e soprattutto nel genere femminile ingiustamente catalogato come portatore di purezza e bontà, angeli del focolare senza peccato. L’intento di Belve è proprio quello di far scendere dal piedistallo dorato personaggi che la televisione generalista negli anni ha trasformato in immaginette prive di tridimensionalità, soprattutto donne, schiacciate dalla loro stessa iconografia imbellettata e ipocritamente perfetta. 

Nancy Brilli

La scomodità, tratto distintivo sia della prossemica di Francesca Fagnani e del suo studio, sia del tono cinico e ironico con cui pone le domande, è ciò che rende Belve un programma davvero interessante. Elemento caratteriale e dialettico di Fagnani che, certamente, in alcuni casi si spinge verso un tono un po’ sentenzioso e giudicante, specialmente nei confronti di alcuni ospiti che magari non si aprono come lei avrebbe sperato, un effetto collaterale inevitabile che però, inserito nella visione d’insieme del programma, non pesa quasi mai in modo eccessivo. Anche perché al contrario, proprio questo tono sarcastico che la rende pungente, nella maggior parte dei casi conduce a un livello di dialogo con l’ospite che scavalca le cerimonie e arriva dritta al punto. Non mancano infatti i personaggi che si rifiutano di far pubblicare le loro interviste – Elettra Lamborghini, per esempio – né personaggi con cui si accende uno scontro aperto – J-Ax o Asia Argento, per dirne giusto un paio.

Ma il cambio di prospettiva che questo metodo di indagine di Fagnani ci fornisce, anche nella sua ruvidità, dà una luce completamente nuova a persone che hanno molto da dire e da raccontare, ma che magari fino a quel momento non avevano avuto il posto giusto per farlo. Penso per esempio, in riferimento all’ultima stagione, all’intervista di Floriana Secondi, vincitrice della terza edizione del Grande Fratello, che a Belve esce dalla narrazione becera e volutamente sgraziata del suo personaggio per raccontare una storia di vita vissuta degna di un racconto di Pasolini, dall’infanzia in orfanotrofio alle violenze domestiche, dalla madre prostituta a tutto ciò che è seguito alla sua vittoria di uno dei programmi più famosi di sempre, compresa la caduta da un olimpo che all’epoca la faceva sentire immortale.

Noemi

Adriana Faranda, Nina Moric, Valeria Marini, Ilary Blasi, Bianca Berlinguer, fino addirittura a Giorgia Meloni in tempi non sospetti, nel 2018, ben prima di diventare la favorita alla carica di presidente del Consiglio, tutte donne che apparentemente non condividono nulla, ma che in realtà hanno qualcosa di fondamentale che le lega, ossia il fatto di essere persone in carne e ossa, oltre all’immagine che negli anni hanno voluto dare di loro. Squarciare il velo della televisione è un’operazione difficile, non sempre necessaria o interessante: alcune cose è giusto che rimangano finzione e apparenza. Tuttavia, un programma come Belve, che nella costanza della seconda serata e della gradualità del successo è già diventato un cult, dimostra che non per forza i nostri schermi devono trasmettere solo ciò che è confezionato a modo da eliminare ogni traccia di difetto. Le donne invecchiano, fanno cose cattive, mentono, rubano, in alcuni casi uccidono e dare loro lo spazio che si meritano nel mondo non significa premiare la loro bontà d’animo. Belve restituisce al pubblico la dimensione animalesca e istintiva di chi spesso vive dietro una patina di intoccabilità o perfezione. Senza miti né trattamenti di favore, Francesca Fagnani mette tutti e soprattutto tutte sullo stesso piano, che non è certo un piano confortevole, ma è reale, fuori dalla narrazione femminile scontata e pietista di cui siamo saturi. Perché ciascuna di noi, in cuor suo, sa la risposta  alla domanda: “Che belva si sente?”.

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