“America Latina” dimostra ancora una volta che Elio Germano è il migliore attore italiano - THE VISION

Il termine “allucinazioni” deriva dal latino ālūcinor, cioè fantasticare, vagare con la mente. Sommariamente utilizzato in relazione ad affezioni oculari nel 1574 dal medico e matematico Jean-François Fernel, ottenne una vera e propria definizione solo molto più tardi, nel 1817, quando lo psichiatra francese Jean-Étienne Dominique Esquirol descrisse lo stato di allucinazione come “la convinzione intima di una sensazione attualmente percepita mentre nessun oggetto esteriore adeguato a eccitare questa sensazione è alla portata dei suoi sensi”. Nel caso di Massimo Sisti – interpretato da Elio Germano, protagonista del nuovo film dei Fratelli d’Innocenzo America Latina, al cinema dal 13 gennaio –, la prima volta che si ritrova a credere di soffrire di allucinazioni, in realtà, l’oggetto esteriore necessario a stimolare queste percezioni è però a tutti gli effetti alla sua portata sensoriale.

Massimo Sisti è il titolare di uno studio dentistico che porta il suo nome: ha successo, è professionale e gentile con i propri dipendenti e clienti. Dopo il lavoro beve una o due birre con l’amico di una vita, ha una villa immersa nella quiete e una famiglia che ama e che lo ricambia. La moglie Alessandra (Astrid Casali), la figlia adolescente Laura (Carlotta Gamba) e la più piccola Ilenia (Federica Pala) sono la sua ragione di vita, ricompensa di un’esistenza improntata all’abnegazione e alla correttezza. Sisti verrebbe definito un “maschio beta”, l’antitesi del macho. Una mattina di primavera, scendendo nel seminterrato, si trova davanti all’imprevedibile: legata e imbavagliata a una tubatura c’è una ragazza che non ha mai visto, il volto tumefatto. È una breccia inaspettata che si apre nella sua realtà. Massimo ha vuoti memoria, dubita del suo amico e poi di se stesso, fino a perdere la consapevolezza di che uomo è stato fino a quel momento. Raccontando un uomo costretto a rimettere in discussione la propria identità, America Latina parla non solo delle nostre paure ataviche – emerse con prepotenza a causa dell’indeterminatezza degli ultimi due anni –, ma anche di una società che costantemente ci spinge ad aderire a modelli di successo e a ruoli – in famiglia, tra amici, a lavoro – che schiacciano qualsiasi rapporto. La performance eccellente di ieri non pone al riparo dal possibile fallimento di oggi, la tensione è continua, il movimento senza pausa. Il titolo stesso del film ci riporta da un lato all’America – il come vogliamo apparire, forti e invincibili, il sogno –; dall’altro a Latina, una periferia simbolo di dispersione e squallore.

“Abbiamo scelto di raccontare questa storia perché, semplicemente, era quella che ci metteva più in crisi. In crisi come esseri umani, come narratori, come spettatori. Una storia che sollevava in noi domande alle quali non avevamo (e non abbiamo, nemmeno a film ultimato) risposte che non si contraddicessero l’una con l’altra”, hanno spiegato Fabio e Damiano D’Innocenzo. “America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla”. La fessura da cui si fa strada la luce è una ferita che si allarga nell’identità di Massimo Sisti: se di fronte alle nostre incrinature siamo soliti girare le spalle, lui ci guarda dentro sempre di più, fino a immergervisi completamente. Non può fermare il suo disperato affanno, la furia che accompagna la sua stessa caduta, perché i vuoti nella sua memoria e nella sua esistenza vanno di volta in volta ricuciti – ogni cosa deve essere tentata – per non perdere la propria identità. 

Se i film precedenti dei fratelli D’Innocenzo erano più dialogici e più “scritti”, America Latina è il culmine di un percorso che tende a rarefarsi, in cui anche la parola viene scarnificata. Il cameratismo de La terra dell’abbastanza e la coralità di Favolacce lasciano spazio a un’azione individuale e solitaria, dove la crepa tra Massimo Sisti e la realtà si allarga sempre di più a mano a mano che la comunicazione con il mondo – il lavoro, la moglie e le figlie, il padre crudele e malato – si fa più difficile. Al centro del cinema dei registi c’è sempre la famiglia, ogni volta diversa, – “perché è lì che si formano i problemi e le battaglie che combattiamo giornalmente”, spiegano i registi – e in questo caso c’è una famiglia letteralmente fondata e generata da un amore immenso.

Quello che si dipana sullo schermo è un paesaggio fatto di ansie, fragilità e ossessioni, con una perfezione estetica che è uno dei pregi più evidenti del film. Se la performance di Astrid Casali, Federica Pala e Carlotta Gamba ricorda l’inaccessibilità delle emozioni delle adolescenti de Il giardino delle vergini suicide, di Sofia Coppola, è Elio Germano a portare in scena una delle sue performance migliori. Il suo sguardo è sempre all’erta per cogliere qualcosa che potrebbe accadergli alle spalle – o dentro se stesso –, non è mai sereno; il suo corpo è sempre teso, schiacciato dall’incapacità di trovare una spiegazione a ciò che gli sta accadendo, anche dopo l’atto liberatorio del pianto. Germano sembra assorbire ogni paura e ogni ossessione di Massimo Sisti, padre sensibile e sempre presente; l’esatto opposto del personaggio che interpretava in Favolacce.

In soli tre film, Fabio e Damiano D’Innocenzo, che hanno presentato per la prima volta la pellicola in concorso al Festival di Venezia, oltre all’idea di famiglia hanno anche ribaltato quella del racconto di periferia, passando dalla messa a nudo di un luogo senza compromessi o sentimentalismi alla scarnificazione di una cornice ormai mortifera. Attorno a Massimo Sisti, immobile, c’è la provincia di Latina: paludi, bonifiche, centrali nucleari dismesse, umidità.

Come lui spesso anche noi sentiamo di far fatica a definirci, a mettere insieme le immagini del nostro passato e del nostro futuro, che sembrano scorrere così velocemente da essere costretti a rincorrerle. E, paradossalmente, a volte, più ci sforziamo di raggiungerle più ci allontaniamo dalla realtà, sentendoci sempre più smarriti. Nella mancata condivisione delle nostre paure siamo tutti a rischio di psicosi, perché rischiamo di perdere la consapevolezza di cosa sia vero e cosa esista solo nella nostra testa. È questo il dubbio che riescono a seminare nella mente dello spettatore i Fratelli D’Innocenzo, facendoci tentennare di fronte alla certezza di sapere sul serio chi siamo. 

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