Perché abbiamo smesso di usare il preservativo?
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I preservativi evitano di farci ammalare, eppure non li usiamo. Lontani ormai dal periodo in cui il sesso era un rischio mortale, oggi i condom hanno smesso di andare di moda – o almeno per il loro scopo originario, visto che l’ultimo trend pare sia quello di inalarli, per tirarseli poi fuori dalla bocca, rischiando il soffocamento. Persino lo stigma cattolico inizia ad alleggerirsi: “Il preservativo? È uno dei metodi per combattere l’Aids,” ha detto Bergoglio qualche anno fa. Eppure in Italia, dal 2007, le vendite di preservativi sono calate del 13%. Rispetto agli altri Paesi europei siamo agli ultimi posti: la spesa pro capite annuale degli italiani in profilattici è di 0,43 euro, contro lo 0,51 della Francia, 0,78 della Germania e l’1,07 del Regno Unito.

Il preservativo – l’unico fra i contraccettivi a proteggere anche dalle malattie sessualmente trasmissibili (MST), con un indice di affidabilità che arriva anche al 97% – è stato il grande protagonista delle campagne sul sesso sicuro negli anni ’80 e ‘90, periodo segnato dal panico e dalle morti per Aids. Oggi la comunicazione istituzionale invece si è praticamente estinta. E si vedono i risultati.

Nei dati sulle vendite che Durex ha messo a disposizione del Corriere della Sera, si legge che solo un italiano su cinque usa il preservativo – e non sempre – e che gli utilizzatori regolari non salgono oltre il 14%, con un “calo dei volumi di vendita di anno in anno” non quantificato, ma “sensibile”. I dati Ims Health e Nielsen dicono invece che nelle farmacie e nelle para-farmacie le confezioni di condom vendute sono scese dagli 11,1 milioni del 2007 ai 9,3 del 2014 (meno 16%). Secondo un’indagine della Società italiana di Ginecologia e Ostetricia, quasi la metà delle ragazze sotto i 25 anni (il 42%) non ha usato nessun contraccettivo durante la prima esperienza sessuale. Il dato ancora più preoccupante è che sono aumentate del 5% rispetto al 2010.

Il preservativo, è risaputo, non piace. Agli uomini, ma non solo: pare infatti che anche molte donne preferiscano farlo senza, il che lascia pensare che spesso il fastidio maschile trovi delle ottime alleate. Si teme riduca la sensibilità e quindi il piacere, anche se in realtà le cause della riluttanza all’uso sono più spesso psicologiche: molti vivono male la perdita di spontaneità e intimità, hanno paura che l’interruzione porti a perdere l’eccitazione. Lo psicoanalista Luca Rousseau, a proposito di queste questioni, ha chiamato in causa anche “il desiderio di fusione con l’altro” sempre presente nel sesso, persino in quello occasionale. Desiderio che si trova unito a qualcosa di più inaspettato, come “la pulsione generativa, cioè la fantasia inconscia, presente in molti uomini, di paternità. Ma anche, e questo soprattutto nei rapporti a pagamento, un brivido adrenalinico simile a quello della roulette russa. Che sembra paradossale, ma fa sentire vivi.” In tutto ciò sicuramente i costi non aiutano, in particolare quando si è molto giovani. Se si può evitare di spendere soldi per qualcosa di ritenuto non indispensabile, perché non farlo?

E la donna spesso non insiste, si adegua, anche perché le ragazze coi condom nella borsa, almeno in Italia, sono ancora viste come promiscue. Nel nostro Paese se ne parla poco e non ci sono molti studi sugli aspetti psicologici legati all’inutilizzo dei preservativi, eppure esiste un repertorio di scuse – raccolte in questa ricerca americana – che gli uomini inventano per evitare di usarlo e che sono universalmente valide. L’indagine pubblicata sul Journal of Sex Research ha mostrato che oltre l’80% dei ragazzi tra i 21 e i 30 anni ammette di aver usato almeno una volta una tattica per risparmiarsi l’uso del preservativo durante il rapporto sessuale; gli intervistati, in generale, hanno ammesso di ricorrere a diversi tipi di scuse (più di tre).

L’odio per il condom arriva addirittura a generare quella che è una vera e propria forma di violenza, lo stealthing, che consiste nello sfilarsi il condom durante il rapporto senza avvisare la (o il) partner. Eppure, anche se non siamo più negli anni ’80, un rapporto sessuale è ancora in grado, se non di rovinare la vita, quantomeno di peggiorarne, e di molto, il tenore. È in atto infatti un vero e proprio boom di malattie veneree. Ovviamente c’è l’Hiv, infezione su cui si è ingiustamente abbassata la guardia, dato che l’epidemia è tutto fuorché rientrata (in Italia non si scende sotto le 3.700 nuove diagnosi l’anno e l’84% di queste è attribuibile a rapporti sessuali non protetti). Seppur non metta più paura come qualche decennio fa, nel nostro Paese le persone che vivono con l’Hiv sono circa 130mila: 15mila di queste non sanno di essere sieropositive, e di quest’ultimo gruppo ben 6mila sono per giunta in fase avanzata.

Per non parlare del resto: fino al 2004, nei centri monitorati dall’Istituto superiore della sanità i casi di infezioni da clamidia, sifilide o gonorrea sono stati mediamente 4mila all’anno. Dal 2005 al 2013 sono aumentati del 31%, e sono oggi più di 5mila, e sono molto diffusi fra gli adolescenti. Anche la gonorrea è molto diffusa, anche se in numeri più o meno stabili: è facilmente curabile con gli antibiotici. La clamidia è abbastanza diffusa e può dare anche sterilità. Nel 46% dei casi gli uomini, e nel 48 le donne, hanno ammesso di non aver usato contraccettivi nei mesi precedenti all’infezione. Solo l’8,8% aveva indossato sempre il profilattico. Gli altri, saltuariamente.

Anche le gravidanze indesiderate tra le ragazze minorenni sono cresciute: l’ospedale milanese San Paolo riferisce un aumento che si aggira attorno al 30%, a testimonianza della lontananza delle nuove generazioni dalla cultura della prevenzione. Il preservativo dovrebbe essere un’abitudine, una normale misura di protezione. Eppure resistono ancora molti tabù, in famiglia come a scuola, che restano praticamente indisturbati e anzi prolificano nell’assenza di campagne di sensibilizzazione. Oggi che facendo sesso non si rischia più la vita – quantomeno sul breve periodo – l’endemica sessuofobia italiana si esprime al meglio: il sesso è una cosa che deve restare nascosta, anche a costo di ammalarsi.

Nelle istituzioni la percezione è che l’argomento sia “vecchio”, il problema già risolto e che l’audience sia, in qualche modo, refrattaria a nuove campagne. Lo dice Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia: “Abbiamo chiesto diversi appuntamenti con il ministero, ma non ci ha mai ricevuti. L’educazione sessuale è un tema che scandalizza e divide. Ancora.” Va così in Italia, mentre nel Regno Unito ci sono ben 847 centri che distribuiscono gratis i condom, perché è considerato fondamentale che anche i ragazzi senza soldi possano amarsi in modo sicuro. In Francia, l’ex ministro all’Istruzione Vincent Peillon aveva proposto di mettere distributori all’ingresso dei licei, nonostante vengano già forniti nelle infermerie scolastiche.

Da noi, invece, l’educazione sessuale è pressoché inesistente: ogni dibattito sul tema genera polemiche e alzate di scudi, più o meno crociati. Non è strano che una cultura adeguata del safe sex manchi nel nostro Paese; tutto è lasciato all’iniziativa personale ma, come abbiamo già detto, a livello individuale e di coppia queste questioni sono spesso motivo più di imbarazzo e diffidenza che di complicità. Il momento del preservativo è gestito in modo meccanico: soprattutto nei rapporti occasionali è molto difficile che ci siano sperimentazione, gioco, o che si riesca a non avere la sensazione di un’intrusione indesiderata. Meglio sarebbe, se possibile, parlarne prima ed evitare di gestire la cosa sul momento, anche per allontanare il rischio di prendere decisioni improvvisate e poco lucide. Ma chi aiuta i ragazzi a capire queste cose? Nessuno.

L’uso del preservativo è uno di quei temi che ci mettono a confronto con la nostra maturità: i condom infatti non migliorano la vita, aiutano a prevenire i problemi. Ricorrervi richiede uno scatto di razionalità e buon senso non scontato. Come tutti gli investimenti sul futuro richiedono solidità emotiva e lungimiranza. Un investimento che le istituzioni dovrebbero incentivare, dato che una prevenzione adeguata alleggerirebbe anche il peso che le malattie a trasmissione sessuale hanno sulla sanità pubblica.

Ci sentiamo tanto evoluti e magari passiamo le nostre giornate a sfottere le mamme pancine, quando poi invece lasciamo che l’irrazionalità domini ancora in parti così importanti della nostra vita. Il sesso potrebbe essere quasi del tutto sano e privo di rischi, ma preferiamo ancora muoverci in quella zona non pienamente conscia, in cui stanno le decisioni e le azioni che ci costano fatica. Lasciamo che prevalga la rimozione del problema, che è poi sempre il modo migliore per decidere senza farlo davvero, ritrovandosi magari, a giorni, mesi o anni di distanza a dover fare i conti con sorprese fatte di esami invasivi, farmaci e spesso molta paura; tutte cose che ci saremmo potuti risparmiare accettando di attraversare un po’ di imbarazzo e scomodità.

Le istituzioni e la politica fanno finta di niente, e noi spesso le assecondiamo facendo altrettanto. Per questo fare del preservativo uno stile di vita è ormai qualcosa che si avvicina alla disobbedienza civile: in un sistema che ha paura di maneggiare il sesso nella sua complessità, e ci abbandona a quel che dev’essere, non possono che essere i gesti dei singoli e la loro reciproca emulazione a far la differenza.

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