
Viviamo in un’epoca in cui il cambiamento è diventato una costante, ma non sempre riusciamo a percepirlo come qualcosa di positivo. Spesso lo subiamo, lo temiamo, lo associamo alla perdita di punti fermi. Eppure, quando la tecnologia evolve con intelligenza e consapevolezza può fare molto più che innovare: può emozionare, ispirare, dare forma nuova al nostro modo di abitare il mondo. Può, in una parola, smuoverci. Non solo letteralmente da un punto A a un punto B, ma anche all’interno, nel profondo. Il design, in questo orizzonte, non è solo funzione e risoluzione di problemi e bisogno, è linguaggio, visione, responsabilità. Ed è in questo spazio di senso che si inserisce Audi, con un approccio che fonde estetica e ingegneria, mobilità e cultura, visione e concretezza, raccontato all’interno dell’elegante Portrait Milano, nel cuore del Quadrilatero della moda in occasione della Design Week.
Il design, lo si riesce a intuire in alcuni contesti di questo grande evento internazionale, infatti, non è solo oggetto, linea, forma e funzione, il design, o meglio la progettualità, è uno stile di vita, una forma mentis, una pulsione creativa e risolutiva che respira insieme a noi, fino a trasformarsi in una forza che muove le persone, e non solo in senso fisico. Ma prima di dirigere le proprie energie e intenzioni verso qualcosa è fondamentale sapere dove si sta andando, con che rotta. L’Audi Night è stata esattamente questo: un momento di restituzione di riflessioni fondamentali per rispondere alla sfide del presente, una sospensione tra passato e futuro, tecnica ed emozione, in cui essere presenti a pieno, nel qui ed ora.
Francesco D’Amore, Exterior Designer Audi AG, ha sottolineato l’importanza del contesto: “Presentare […] alla Design Week significa riconoscere l’intelligenza del design italiano, che sa unire rigore e bellezza. Tutto nasce dalle proporzioni. Il design è un gesto politico: racconta da che parte stai”. Dal 2014, infatti, Audi è presente al FuoriSalone con la sua House of Progress, un hub che non si limita a mostrare auto — ma che si propone di raccontare, ogni anno, una visione più ampia della mobilità, del design e dell’innovazione. Quella di quest’anno ha un nome preciso: “flexability”, crasi tra “flessibilità” e “abilità”. Due qualità fondamentali per pensare un nuovo modo di muoversi, produrre e vivere. A raccontare il progetto sono stati Timm Barlet, Direttore Audi Italia; lo stesso D’Amore, e i due fondatori del collettivo artistico Drift, Lonneke Gordijn e Ralph Nauta. Insieme, hanno composto una narrazione potente, capace di fondere l’universo dell’automotive con quello dell’arte, della ricerca e dell’umanesimo tecnologico.
Ma il vero cuore della serata è stata la presentazione della nuova Audi A6 Avant, in anteprima mondiale, e della A6 Avant e-tron, la sua sorella elettrica. Due modelli, due anime, ma un’unica visione e filosofia: quella della flessibilità tecnologica. L’idea, raccontata con orgoglio da Timm Barlet, è semplice ma rivoluzionaria: non esiste un solo modo per affrontare la transizione ecologica, esiste un ventaglio di possibilità che vanno interpretate e adattate. Audi quindi non vuole imporre soluzioni, ma proporre scelte. “Flexability significa avere la capacità di rispondere oggi, con intelligenza e rispetto per la complessità, alle esigenze di mobilità più diverse. Non è un compromesso: è un nuovo equilibrio,” ha dichiarato Barlet. E il design dei nuovi modelli lo riflette: proporzioni eleganti, tensioni morbide, dettagli ricercati, come i gruppi ottici posteriori con tecnologia OLED 2.0, e un linguaggio stilistico che unisce sportività, sobrietà ed efficienza.
A dare una dimensione artistica al concetto di flexability è stata l’installazione “Drift Us” di Drift. Un’opera immersiva, sensoriale e interattiva, che mette in scena il principio naturale dell’adattamento. In quello spazio, le persone non si limitano a osservare, diventano parte del meccanismo: il corpo risponde, il ritmo cambia, si crea un dialogo tra movimento, luce, spazio. Il visitatore è come il vento, l’elemento che modifica la realtà. “Se vuoi andare contro la gravità o piegare la luce,” hanno raccontato gli artisti, Gordijn e Nauta, “devi prima comprendere a fondo le regole della natura. La nostra arte è un atto di adattamento continuo, una ricerca dell’equilibrio. Ed è anche questo che ci lega ad Audi: la volontà di far muovere le persone, anche emotivamente”. D’altronde, l’arte, la tecnologia e la sostenibilità non sono compartimenti stagni, ma linguaggi che, se messi in comunicazione, possono generare, come in questo caso, una visione e una resa potente. Ed è qui che Audi si posiziona: nel racconto di un futuro che non rinuncia all’innovazione, ma nemmeno alla responsabilità.
In un mondo sempre più polarizzato tra nostalgie del passato e utopie irrealistiche, dove da un lato si rimpiange un tempo in cui tutto sembrava più semplice – e spesso più inquinante – e dall’altro si rincorre un futuro ipertecnologico e dissociato, Audi propone una via intermedia, un “giusto mezzo” pragmatico: concreto, ragionato ed esteticamente raffinato. Una posizione che trova nell’equilibrio il suo caposaldo, e così si fa classica. Il futuro, per Audi, non è una corsa alla prossima rivoluzione, ma un processo da abitare con consapevolezza. In questa visione, l’auto non è più solo un mezzo di trasporto, ma diventa un’interfaccia culturale: un’estensione della nostra identità, un luogo mobile in cui convivono tecnologia e piacere, sostenibilità e design.
L’estetica, qui, non è un orpello, un abbellimento inessenziale, ma è una forma di etica. Perché scegliere una linea armoniosa, un dettaglio sensato, un’interazione fluida, significa pensare l’oggetto non come puro consumo, ma come gesto, capace di influenzarci, di tingere le nostre giornate in maniera diversa, dichiarazione di responsabilità verso l’ambiente, verso il tempo e verso gli altri. E così, anche la mobilità smette di essere solo spostamento, logistica, calcolo dei chilometri o delle emissioni: diventa possibilità. La possibilità di muoversi meglio, in modo più intelligente e gentile, armonioso. Di occupare lo spazio senza aggredirlo, di cambiare direzione, anche simbolicamente. Di sentirsi parte di un progresso che non ci chiede di rinunciare alla bellezza, ma di ripensarla come alleata della funzionalità e della sostenibilità.
Milano, nei giorni della Design Week, è un condensato di energia e creatività, ma eventi come l’Audi Night e l’Audi House of Progress ci ricordano che il design migliore non è quello che impressiona, ma quello che suggerisce; non è quello che grida, ma quello che si connette; non è quello che si giustifica, ma quello che mostra tutta la forma di un insieme di valori, di un’idea. Audi sembra sollevare una domanda fondamentale per l’essere umano: come possiamo muoverci, magari in maniera diversa, nuova, inedita, senza perdere l’equilibrio? A volte la risposta sta in un’archeologia sentimentale, nella ricerca di una coreografia di danza, ma a ben vedere è la domanda che ci poniamo – o ci dovremmo porre se riuscissimo davvero a essere “svegli”, interamente presenti a noi stessi, nel qui ed ora – in ogni istante, a ogni passo. E a volte la risposta può trovarsi in qualsiasi sfumatura della realtà, magari proprio lì, davanti a noi, tra le linee di un’auto e il movimento lento di un’installazione luminosa, in quell’istante in cui tecnologia, arte e umano si allineano, e finalmente, si muovono liberamente, consapevolmente insieme.
