Il 22 marzo si è celebrata, in sordina, la giornata mondiale dell’acqua. Ma c’è poco da festeggiare: l’Italia ha infatti un record negativo dello spreco idrico, con un prelievo per il consumo potabile al primo posto nell’Unione europea. Proprio in occasione del 22 marzo è tornata ad affrontare il tema un’inchiesta del Venerdì di Repubblica, in cui un gruppo di esperti e i dati dell’Istat hanno confermato che il motivo è dovuto agli sprechi. Si tratta di un problema enorme, soprattutto in vista dei crescenti rischi di approvvigionamento idrico e siccità che si prospettano nel prossimo futuro. Da anni continuiamo a parlare di una rete idrica nazionale con tubature insicure e danneggiate, ma l’elevato investimento necessario per il loro ammodernamento viene sempre accantonato per questioni più urgenti. Almeno fino alla prossima estate, quando la siccità tornerà a farci parlare di scarsità idrica.
Il prelievo per il consumo d’acqua potabile pro capite italiano, tra i 156 e i 160 metri cubi annui, dato in crescita, è ben più alto dei 90 francesi e addirittura 60 tedeschi, e non perché beviamo di più – anzi, siamo in cima alla classifica mondiale anche per acquisto di acqua in bottiglia. Come spiega il giornalista Emanuele Bompan su Venerdì, a pesare a livello locale è il problema dell’inquinamento – dagli scarti di lavorazione come nel caso dei Pfas in Veneto, alla contaminazione da idrocarburi in Basilicata. Sul piano nazionale sono invece le infrastrutture la principale criticità. Per esempio, circa sei milioni di persone non usufruiscono dei depuratori, smaltendo direttamente in mare o nei fiumi. Ma uno dei responsabili del fabbisogno (e dello spreco) di acqua italiano è anche il settore agricolo, a cui è destinato più del 50% del volume utilizzato in Italia, anche perché ampia parte del territorio non è naturalmente predisposto alle colture e quindi richiede molta acqua.
Nel complesso, la dispersione idrica ammonta a circa il 42% del prelievo totale, un dato ben al di sopra della media europea (15%) e molto diversificato a seconda delle regioni. In alcuni casi, come a Cosenza, si arriva al 70%, ma questa quota è persino superata dal 7,5% dei comuni italiani – tra cui Frosinone, dove la rete disperde il 75% dell’acqua –, mentre anche città più “virtuose” come Milano (20%) restano sopra la media europea. Le maggiori differenze tra la quantità di acqua prelevata e quella che arriva effettivamente all’utenza si hanno dove la risorsa idrica deve subire un processo di potabilizzazione e dove è più ampia la distanza tra il punto di prelievo (la fonte) e quello di consegna. Molto spesso, infatti, le fonti di approvvigionamento sono lontane dai luoghi in cui l’acqua serve e questa fa quindi un viaggio attraverso chilometri di tubazioni, nel quale possono generarsi perdite in adduzione, cioè tra il punto di prelievo e il serbatoio, o in distribuzione.
L’acqua viene prima trasportata attraverso grandi tubi di trasmissione verso i serbatoi di accumulo, da cui si dirama in tubi progressivamente più piccoli fino a essere distribuita in micro zone (come le singole strade) per arrivare agli utenti finali. Nel lungo viaggio sono numerose le perdite, a causa di infrastrutture obsolete e quindi deteriorate: se una parte delle dispersioni è fisiologica e legata all’estensione della rete e al numero degli allacci, in buona parte deriva invece da rotture nelle condotte dovute all’età degli impianti. Il motivo è che il 60-70% della rete idrica italiana ha più di 30 anni e il 25% supera i 50. Le condotte migliori per robustezza e igiene sarebbero quelle romane, in cotto, mentre le altre iniziano a usurarsi dopo 50-60 anni. Non sempre è possibile individuare le perdite, che invece emergono chiaramente quando si verificano smottamenti che fanno rompere una condotta poco sotto il livello stradale.
Vito Felice Uricchio, dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr (Irsa), sottolinea che la manutenzione strutturale andrebbe fatta ogni anno, con rilevazioni continue e costanti. Il problema è che per le aziende di distribuzione – l’80% delle cui entrate arriva dalla tariffa pagata dai cittadini e soltanto il 20% dai contributi pubblici – la manutenzione riduce i margini di utile e quindi i ricavi. Le bollette più basse dell’Europa occidentale (circa 1,87 euro per metro cubo, quasi la metà della Francia e poco più di un terzo della Germania) rendono difficile investire nell’efficientamento della rete. Servirebbero tra i 3 e i 3,6 miliardi di euro per le opere di manutenzione per allinearsi alla media europea dello spreco, mentre per avvicinarsi a Slovenia, Svizzera e Norvegia, i Paesi che in tutta Europa gestiscono meglio la propria rete, la spesa necessaria supererebbe i 12 miliardi. La frammentazione della gestione comunale della rete idrica contribuisce a complicare ancora le cose. E siccome aggiustare una tubatura danneggiata implica un disagio – con il blocco delle strade coinvolte, per esempio – spesso il gestore preferisce aumentare la pressione dell’acqua per non doverlo affrontare.
Un capitolo a parte è rappresentato dalle acque reflue, che troppo spesso in Italia sono trattate come rifiuti. Come evidenziato dal report del 2017 dell’Onu Le acque reflue: una risorsa inesplorata, servono processi mirati di gestione e di riciclo dell’acqua impiegata nelle abitazioni, nelle fabbriche e nei campi, perché le acque reflue, una volta trattate, sono una risorsa fondamentale per rispondere al crescente fabbisogno di acqua dolce e di altre materie prime, come quelle agricole. Per questo l’Italia ha già subito diverse procedure d’infrazione da parte dell’Unione europea, per una delle quali è stata condannata a pagare una multa di 25 milioni di euro (con altri 30 milioni per ogni semestre di ritardo nella messa a norma). Anche in questo caso sono ampie le differenze territoriali: il maggior tasso di depurazione si registra nel Nord-ovest, dove è trattato il 68% circa del carico potenzialmente generato, mentre è meno adeguato il sistema depurativo in Sicilia e Sardegna, che garantisce un trattamento del 51%.
Tutto ciò avviene in un contesto di sofferenza, nel quale la siccità è già un problema concreto. Roma, dove 5400 chilometri di tubature perdono circa il 44% della fornitura idrica urbana, è stata costretta nell’estate 2017 a razionare l’acqua a causa di una stagione particolarmente arida. Il caso rischia di non rimanere un’eccezione, ma è un segnale delle crescenti problematiche evidenziate dal rapporto 2019 dell’Onu Nessuno sia lasciato indietro dedicato alle risorse idriche. Secondo il documento, più di 2 miliardi di persone vivono in Paesi soggetti a elevato stress idrico, mentre tre persone su dieci non hanno accesso all’acqua potabile sicura e sei su dieci sono privi di garanzie di servizi igienico-sanitari adeguati. Non è (ancora) il caso dell’Italia, che però è tra i 13 Paesi europei già colpiti dal fenomeno della desertificazione, secondo l’Atlante mondiale della desertificazione elaborato dal Joint research centre (Jrc) dell’Unione europea, con costi economici legati al degrado del suolo stimati in decine di miliardi di euro annui. Anche i cambiamenti climatici colpiscono il nostro Paese in modo diverso, con eventi estremi come inondazioni e piogge intense sempre più frequenti al Nord e un Sud colpito da stagioni estive sempre più secche, con una quota di precipitazioni che potrebbe calare in estate anche del 40% rispetto alla media attuale.
Una manutenzione periodica e regolare ridurrebbe gli sprechi della rete, mentre maggiori controlli dovrebbero vigilare sugli allacci illegali. Infatti, a peggiorare la situazione, si sommano alle perdite anche le conseguenze di un carente senso civico, con il problema di chi pompa acqua di frodo, con allacci abusivi e consumi non autorizzati. Questo succede mentre quasi 2,7 milioni di famiglie italiane, soprattutto in Calabria, subiscono irregolarità nell’erogazione idrica.
I singoli consumatori possono solo fare maggiore attenzione al loro impiego dell’acqua: il 60% circa di quella usata a livello domestico è impiegata per l’igiene personale (di cui la metà circa se ne va con lo scarico dello sciacquone). Secondo le stime, buona parte di questa non è davvero necessaria e un grosso risparmio si avrebbe se le persone cambiassero semplicemente qualcuna delle loro abitudini. Nel complesso, la quantità di acqua sprecata in Italia ha un volume capace di soddisfare le esigenze idriche di 40 milioni di persone per un anno intero. Sono cifre che devono far riflettere su una situazione di carenza e problematiche strutturali, sempre più vicina al punto di trasformarsi in un’altra emergenza nazionale. L’estate che si avvicina e l’inverno appena concluso – il più caldo degli ultimi 30 anni, segnato da grande scarsità di precipitazioni – sono qui per ricordarci che non possiamo più rimandare un dibattito pubblico e soluzioni che riguardano ogni cittadino italiano in uno dei suoi diritti più basilari.