L’emergenza idrica non è una novità: da diverse estati assistiamo a un panico mediatico che aumenta allo stesso ritmo dell’abbassamento del livello dei fiumi, sempre più grave. Questo mese di giugno con temperature da record, però, sta facendo preoccupare sul serio, tanto che si è arrivati a parlare di cambiare meno spesso le mutande per risparmiare sulle lavatrici o a vietare il doppio lavaggio di capelli nei parrucchieri, oltre al risciacquo. In attesa del decreto del governo, l’Emilia Romagna è stata la prima regione ad annunciare lo stato d’emergenza, pur in assenza di rischi concreti per i consumi potabili, almeno per il momento. I governatori delle Regioni, infatti, hanno chiesto la dichiarazione dello stato d’emergenza per ottenere il supporto della Protezione Civile, che comporterebbe provvedimenti mirati per razionare l’acqua, in modo da aiutare i settori più in difficoltà, a partire da quello agricolo. L’obiettivo è di garantire gli impieghi di prima necessità e quelli necessari all’agricoltura, “anche per scongiurare in futuro un’immediata chiusura di parchi acquatici, piscine o la disattivazione di fontane monumentali”, secondo quanto riporta l’Ansa.
In Lombardia, nonostante il governatore Attilio Fontana sostenga che la situazione sia sotto controllo, si stimano danni all’agricoltura per 2 miliardi di euro e in diverse regioni, in questi giorni, i Comuni hanno attuato ordinanze per limitare l’uso dell’acqua, dal divieto di usarla di notte a quello di innaffiare gli orti, come ha fatto ad esempio il comune laziale di Bracciano, uno tra i più colpiti, vietando tra le altre cose il riempimento di piscine e il lavaggio delle auto. Altri, per ora. si limitano ad appellarsi al senso civico dei cittadini, mentre in tutto il Lazio è entrato in vigore lo stato di calamità naturale e a Roma la municipalizzata ha avviato la riduzione della pressione del flusso di acqua nelle condutture, per evitare i razionamenti dell’approvvigionamento di acqua potabile.
Purtroppo le piogge di questi mesi, decisamente troppo scarse e sporadiche, non hanno evitato la secca dei fiumi, l’abbassamento del livello dei laghi e il cosiddetto cuneo salino, cioè l’infiltrazione di acqua marina che risale lungo la foce del Po, un problema che si è intensificato nel corso degli anni e che rende inutilizzabile una parte dell’acqua disponibile, poiché troppo salata per le irrigazioni. La situazione è frutto di un insieme di concause di lungo periodo, non di una contingenza temporanea e facilmente risolvibile, a cui si aggiunge anche la crisi climatica. Le temperature da record di questa primavera e dell’inizio dell’estate, infatti, contribuiscono alla siccità e i trend che ci aspettano nei prossimi anni devono seriamente preoccupare: sulle Alpi della Val D’Aosta i nevai sono già sciolti allo stesso livello che di solito raggiungono in agosto.
Nel frattempo, il governo sta lavorando a un “piano acqua” in dialogo con le Regioni. Secondo la ministra per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna l’esecutivo non è stato colto impreparato, anzi: sta lavorando da sei mesi per sostenere tutto il comparto idrico, dagli invasi agli acquedotti alle utenze finali. L’investimento iniziale previsto per il piano è di un miliardo per il ciclo 2021-2027 del Fondo di Sviluppo e Coesione, ma potrebbe essere incrementato ulteriormente.
Bisogna però vedere come vengono usati quei fondi e sicuramente non basteranno sei mesi per risolvere una situazione che è frutto di condizioni strutturali di lungo periodo: bisognerebbe innanzitutto ristrutturare il sistema idrico del Paese, che, per un insieme di motivi, è pessimo, ma di cui ci si ricorda soltanto con la calura estiva. Fortunatamente, almeno la consapevolezza dei problemi sul sistema di distribuzione idrica italiano c’è e, come ha sottolineato sempre Carfagna, pochi giorni fa è stata definita la graduatoria dei progetti di intervento per ammodernare e ristrutturare le reti idriche di Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata. Queste, comunque, non sono le uniche regioni problematiche, anzi: a Roma, ad esempio, 5400 km di tubature perdono circa il 44% della fornitura idrica urbana. È un bene che finalmente sia stata presa in mano la risoluzione delle infrastrutture-colabrodo, ma ciò conferma ancora una volta la tendenza inguaribile ad affrontare i problemi solo quando ormai sono diventati emergenza. La Coldiretti, poi, denuncia la perdita annua dell’89% dell’acqua piovana in Italia, sottolineando anche la necessità urgente di creare un grande piano nazionale per una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, senza l’uso di cemento, per conservare l’acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all’industria e all’agricoltura.
Altrettanto urgente sarebbe un rivoluzionamento del sistema della produzione alimentare, dal momento che proprio il settore dell’allevamento, oggi duramente colpito dall’emergenza idrica, ne è tra i principali responsabili. Basti pensare che in Italia ci sono oltre 270mila allevamenti di cui la maggior parte di bovini e suini, cioè i più impattanti sia in termini di emissioni inquinanti che di consumi idrici. Non è un caso, infatti, chegli allevamenti siano concentrati prevalentemente proprio in quelle regioni più colpite dall’emergenza idrica – Lombardia, Veneto, Lazio, Piemonte. Sono infatti necessari oltre 15mila litri d’acqua per produrre un kg di carne bovina e quasi 6mila per un kg di carne suina, quelle che dominano nella Pianura Padana oggi arsa dalla siccità. La maggior parte di queste quote idriche sono impiegate per produrre il mangime per il bestiame e per dissetarlo, un punto particolarmente importante nella produzione di latticini dato che le vacche in lattazione possono arrivare a bere circa 200 litri d’acqua al giorno, un dato che aumenta per forza di cose in ragione dell’aumento delle temperature. Vi è poi la quota d’acqua necessaria alla pulizia degli ambienti, un fattore che non può essere trascurato per ragioni di igiene e sicurezza sanitaria. Di conseguenza, mangiare latticini e carne ogni giorno – come fa la maggior parte degli italiani – può equivalere a fare circa 30 docce di dieci minuti ciascuna ogni giorno. È chiaro che, alla luce di questi consumi, il provvedimento del sindaco di Castenaso che vieta ai saloni dei parrucchieri il secondo lavaggio, così come lo stare attenti a chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti, o fare meno lavatrici, non ha tutto questo senso, se non si agisce in contemporanea su altri fronti.
Ovviamente le piccole attenzioni quotidiane e individuali sono importanti, e segno di rispetto e di educazione civica e ambientale, ma non fanno davvero la differenza, e ad assumersi certe responsabilità oggi dovrebbe essere in prima battuta lo Stato. In qualità di singoli cittadini dovremmo informarci e impegnarci a sostenere le aziende virtuose e pretendere che gli allevamenti avviino una transizione verso attività più sostenibili. Invece, ancora una volta per aggirare il problema si parla di favorire l’innovazione tecnologica e l’utilizzo di attrezzature e impianti “che permetterebbero di razionalizzare le risorse ed efficientare l’uso dell’acqua”. Una strategia che certo può aiutare a rendere più funzionali sistemi che non lo sono, soprattutto in un settore responsabile di una quota importante di spreco idrico come quello agricolo, ma che continuerebbe a sostenere un comparto dannoso e altamente impattante, che andrebbe invece spinto e sostenuto nella riconversione.
Come ha dichiarato il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, poi, la crisi idrica rappresenta un problema anche per la produzione energetica, un comparto già di per sé fragile per effetto della guerra in Ucraina. L’acqua, infatti, è essenziale per il raffreddamento delle centrali ma soprattutto per la stessa produzione idroelettrica, che rappresenta fino al 40% circa della produzione elettrica italiana, e che a causa della siccità nell’ultimo anno ha subito un drastico calo in molte regioni europee. Presso Piacenza, intanto, l’Enel ha deciso di spegnere la centrale idroelettrica di Isola Serafini di San Nazzaro collocata proprio in mezzo al Po, mentre Cingolani, commentando la situazione, ha detto: “Speriamo che sia una cosa contingente”. Se il piano per affrontare la crisi climatica però è la speranza non siamo messi tanto bene. Il ministro d’altronde non è l’unico a pensarla così: mentre gli invasi toccano i minimi storici, con una riduzione media fino al 50% dei livelli normali, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha pregato al “santo Rosario per il dono dell’acqua”.
I razionamenti attivati a livello locale possono rappresentare delle soluzioni tampone emergenziali, ma sono poco efficaci oltre che risolutivi: per migliorare davvero la situazione – soprattutto in vista delle estati sempre più lunghe e sempre più calde che ci aspettano – servono interventi strutturali. In questo scenario apocalittico, se i politici non smettono di raccomandarci di chiudere il rubinetto quando ci laviamo i denti invece di prendere in mano la situazione là dove bisognerebbe intervenire, forse non ci resterà davvero che la divina provvidenza.