I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), conosciuti anche come e-waste, sono ovunque e aumentano anno dopo anno nelle discariche di tutto il mondo. Smartphone, portatili, tablet, grandi e piccoli elettrodomestici, strumenti medici e informatici: secondo il Global E-waste Monitor nel 2016, a livello globale, sono state prodotte circa 44,7 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, l’equivalente di 4.500 Torre Eiffel, mentre nel 2018 è stata raggiunta la cifra tonda di 50 milioni di tonnellate. In Italia si stima che ogni abitante produca 5 kg di rifiuti elettronici all’anno, circa 100mila le tonnellate che il nostro Paese produce in totale. L’Organizzazione mondiale del lavoro stima, in termini planetari, al 20% la percentuale di e-waste correttamente smaltita, mentre di questo passo è stato calcolato che nel 2050 saranno 120 milioni le tonnellate presenti sulla Terra. Questo perché non esiste un piano per regolarne la produzione, il trattamento e lo smaltimento. Complici la scarsa informazione e l’assenza di interesse politico, la mancanza di una normativa sui Raee favorisce un alto tasso di smaltimenti irregolari, export illegale e traffici gestiti dalle eco mafie. Nonostante l’Europa sia un modello globale (con il 27,5% di produzione di e-waste e il 35% di corretto smaltimento, contro il 15% dell’Asia a fronte di oltre 18 milioni di tonnellate di rifiuti, il 40,7% del totale), continua a fiorire il mercato illegale, soprattutto in Inghilterra e Italia, con una forte tendenza allo smaltimento illecito in mano alle organizzazioni criminali.
Durante l’ultimo World economic forum di Davos è emerso come con un corretto smaltimento di tutti i Raee prodotti si potrebbe creare un giro d’affari di circa 62,5 miliardi di dollari, grazie anche al recupero di componenti in ferro, oro, argento, rame e alluminio, ma anche delle terre rare (lantanio, ittrio, cerio, samario), materiali fondamentali per le industrie tecnologiche, militari e aerospaziali. Se i vecchi smartphone e notebook finiscono per anni in un cassetto, i grandi elettrodomestici portati in discarica hanno bisogno di un processo molto articolato per essere smaltiti. I ritardanti di fiamma bromurati e i gas refrigeranti (Cfc, Hcfc, Hfc) all’interno di queste apparecchiature, se rilasciati in atmosfera senza essere trattati, possono danneggiare lo strato di ozono e provocare il cancro alla tiroide negli esseri umani. Altrettanto dannosi si sono rivelati altri materiali come il cadmio, il piombo e il nichel, devastanti per l’ambiente e letali per il sistema nervoso umano.
Sempre più organizzazioni criminali si procurano la cyber spazzatura, ricavandone componenti preziose e pezzi di ricambio in buono stato come il compressore, la centralina, filamenti in rame e batterie. Il resto viene abbandonato ai piedi di un cassonetto, interrato o abbandonato in piena campagna. Nei casi peggiori vengono siglati accordi al limite della legalità per esportarli in altri Paesi, dando vita a scenari come quello di Agbogbloshie, un suburbio della capitale ghanese Accra dove gli e-waste coprono un’area pari a quella di 11 campi di calcio. Spesso la produzione europea – in media di 17,7 chilogrammi di rifiuti elettronici a persona – scarica la responsabilità dello stoccaggio e smaltimento di questi rifiuti ai Paesi in via di sviluppo. Secondo l’Organizzazione Internazionale del lavoro, Cina, Ghana e Nigeria (dove sono circa 100mila i lavoratori impiegati nel settore) sono i principali Stati discarica per i Raee.
Mentre movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi sono regolati dalla convenzione di Basilea del 1989, in Italia l’efficienza dei centri privati di raccolta e-waste, come Ecodom, Remedia o Ecolight, è spesso limitata dalle lacune della normativa statale. Pesa tra tutte la libertà concessa al proprietario del Raee di scegliere la sua destinazione finale, senza obblighi o incentivi per una condotta che abbia il minore impatto ambientale. Nel 2018 la raccolta complessiva nazionale è stata di 310.610 tonnellate di rifiuti, con un incremento del +4,84% rispetto al 2017 e un dato pro capite di 5,14 chilogrammi. Allo stesso tempo, però, le apparecchiature elettriche ed elettroniche (Aee) immesse sul mercato italiano hanno superato le 848mila tonnellate, contro le 552mila della Spagna e le 333mila dei Paesi Bassi. Oltre alla scarsa capacità di assorbimento dei suoi rifiuti, l’Italia ha anche un problema con quelli che spariscono nel nulla. Nel nostro Paese aziende, comuni e operatori ecologici non sono obbligati per legge a consegnarli ai consorzi, perché chiunque abbia una licenza per il loro trattamento può prenderli in carico.
Il risultato di questa normativa, secondo il rapporto sulle ecomafie di Legambiente, è che nel 2017 sono state create 17mila nuove discariche abusive a livello nazionale, il fatturato delle ecomafie è salito a quota 14,1 miliardi di euro (+9,4% in un anno) e sono 331 i clan attivi nelle varie forme di crimine ambientale, tra cui lo sfruttamento illegale dei Raee. In totale le forze dell’ordine hanno sequestrato 4,4 milioni di tonnellate di rifiuti (otto volte di più rispetto alle 556mila tonnellate del 2016). La paralisi del ciclo di gestione italiano dei Raee è dovuto a un mix di scarsa sensibilizzazione dei cittadini, a norme inadeguate e al divario nella gestione dei rifiuti tra le diverse regioni italiane. Mentre al Nord, tra i comuni con più di 200mila abitanti, soltanto Trieste non prevede il porta a porta per la raccolta, Palermo e Cagliari non hanno isole ecologiche attive.
Il governo ha cercato di sensibilizzare i cittadini con la normativa relativa all’uno contro zero e all’uno contro uno. Il primo viene applicato nei negozi che hanno una superficie di almeno 400 metri quadrati, obbligando i proprietari al ritiro gratuito dei Raee fino a 25 cm di dimensione, senza alcuna necessità di acquisto di apparecchiature equivalenti. L’uno contro uno, invece, obbliga anche i commercianti online a garantire al cliente la possibilità di restituire le vecchie apparecchiature, ma in questo caso è previsto l’acquisto di un nuovo prodotto. Al momento il ritiro gratuito non viene quasi mai citato (nonostante sia compreso nel prezzo d’acquisto) e solo 18 italiani su 100 conoscono l’esistenza di questo regolamento.
La soluzione di lungo periodo per non rimanere travolti dal surplus di Raee è il ricondizionato (o rigenerato). Il 52.4% degli italiani, secondo le stime della società specializzata in device ricondizionati riCompro, conserva i vecchi dispositivi inutilizzati o con difetti tecnici nei cassetti di casa, per un danno economico nel solo 2017 di oltre 3,4 miliardi di euro. Eppure questo business è in grado di avere un doppio effetto positivo: quello economico, dato che un iPhone 6 ricondizionato può arrivare a costare anche 180 euro, con scocca e sistema operativo praticamente nuovi, e quello ambientale: solo l’assemblaggio e il trasporto al punto di vendita di uno smartphone produce circa 81 kg di CO2, per un totale a livello nazionale nel solo 2017 di quasi un miliardo di chilogrammi. La sfida è anche intervenire sull’obsolescenza percepita dai consumatori. Per quanto un device sia ancora in grado di svolgere perfettamente le sue funzioni, l’uscita sul mercato di un nuovo modello – magari con le stesse caratteristiche, ma esteticamente più accattivante – spinge a volerlo comprare, nonostante spesso si sia in possesso di un dispositivo con appena sei mesi o un anno di vita.
Anche se molte istituzioni iniziano a essere consapevoli delle implicazioni future del corretto smaltimento dei Raee, i tentativi di regolamentazione hanno spesso lasciato campo libero per l’infiltrazione delle organizzazioni criminali, rendendo più complessa non solo la semplice raccolta, ma anche lo stoccaggio dei rifiuti tecnologici nei centri ad hoc per lo smaltimento. La perdita economica per le casse statali raggiunge i miliardi di euro a livello globale, mentre la gestione da parte delle ecomafie dei componenti chimici pericolosi all’interno dei Raee ha effetti devastanti per l’ambiente e per l’uomo. Per quanto una legge chiara in materia sia fondamentale, la soluzione a quella che è una vera e propria emergenza non può che concentrarsi su una nuova etica del consumo, che valorizzi l’usato e il ricondizionato. Dobbiamo mettere in discussione la stessa convinzione che “nuovo sia sempre bello”.