Il 27 novembre, dopo sei mesi di trattative, la Commissione europea guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen ha ottenuto la fiducia dal Parlamento riunito a Strasburgo. Nel discorso tenuto dalla Presidente della Commissione sul futuro dell’Unione ha giocato un ruolo di primo piano il Green New Deal europeo, presentato il 14 gennaio con un pacchetto da mille miliardi di euro da investire nei prossimi 10 anni. La cifra servirà per finanziare investimenti strutturali per la creazione di un vero e proprio sistema industriale europeo integrato, all’avanguardia tanto a livello tecnologico quanto per sostenibilità e impatto ambientale. “Nei prossimi cinque anni la nostra Unione si adopererà per una trasformazione della società e dell’economia; è la cosa giusta da fare e non sarà semplice,” ha dichiarato von der Leyen nell’illustrare il suo modello di “sostenibilità competitiva”.
Tra i vari settori su cui investire risorse ed energie, l’Europa ha già individuato quello del riciclo dei rifiuti e dell’economia circolare. Già lo scorso aprile, il Parlamento europeo ha fissato nuovi parametri per la gestione di imballaggi e discariche, con l’obiettivo di riciclare entro il 2025 almeno il 55% dei rifiuti urbani in tutti gli Stati membri. Questa percentuale si accompagna a quella massima stabilita per il 2035, quando solo il 10% dei rifiuti urbani potrà essere smaltito nelle discariche. Oggi finisce nelle aree di stoccaggio il 25% del totale, con una forbice che va dall’1% di Danimarca, Svezia, Belgio, Germania e Paesi Bassi all’80% della Romania, l’81% di Cipro, l’82% della Grecia e il 92% di Malta.
Intervenire su queste cifre è fondamentale non solo per le condizioni dei cittadini e dell’ambiente in Europa, ma per l’intero Pianeta. Secondo la Banca mondiale, ogni anno vengono prodotti a livello globale 2,01 miliardi di tonnellate di nuovi rifiuti, destinati a diventare 3,4 entro il 2050 se si mantenessero inalterati i tassi di crescita attuale. Degli oltre 2 miliardi di tonnellate, il 44% sono residui di cibo, il 12% plastica, il 17% carta, il 5% vetro e il 4% scarti metallici tra cui l’alluminio. Tutti questi materiali sono riutilizzabili all’interno dell’indotto dell’economia circolare, alcuni in teoria anche per una serie infinita di volte. Sfruttarli senza disperdere il loro potenziale nelle discariche è, al tempo stesso, una sfida e un’opportunità, tanto per l’Asia Orientale e Pacifica (468 milioni di tonnellate di spazzatura all’anno), quanto per l’Asia Europea e l’Europa (392 milioni di tonnellate), i massimi produttori globali del Pianeta.
Come ha detto Ursula von der Leyen, l’Europa deve tornare a essere “una potenza responsabile” non solo nel diminuire il suo peso sull’ambiente, ma anche nello sviluppo di tecniche per ridurre l’impatto dei rifiuti da condividere con il resto del mondo. Ancora oggi lo stoccaggio nelle discariche “classiche” è il metodo principale di gestione in Nord America (54,3%), in America del Centro e del Sud (68,5%) e nell’Asia Orientale e Pacifica (46%), mentre in Asia meridionale (75%), Africa settentrionale (52,7%) e Africa subsahariana (69%) domina ancora l’abbandono a cielo aperto, con tutti i rischi per la salute dell’ambiente e delle popolazione circostante che comporta.
La classe dirigente europea, compresi diversi esponenti politici italiani, vede in quello svedese il modello da seguire. Stoccolma ha raggiunto un tale livello di efficienza da dover importare dall’estero rifiuti per mantenere in attività i suoi 34 termovalorizzatori, in grado di fornire elettricità a 680mila abitazioni e riscaldarne durante l’inverno 1,3 milioni. Sempre più attivisti, però, denunciano il fatto che anche un’ottima soluzione sul breve e medio periodo non possa diventare la soluzione definitiva. La Svezia, infatti, incenerisce il 52% dei rifiuti che raccoglie per il programma Waste to Energy (Wte), ma è necessario intervenire in modo ancora più incisivo sensibilizzando i cittadini su uno stile di vita sempre più responsabile che produca meno spazzatura. Per Anna-Carin Gripwall, direttrice della comunicazione dell’organizzazione svedese per la gestione dei rifiuti Avfall Sverige, “Dobbiamo pensare al modo in cui consumiamo, a cosa compriamo, a comprare prodotti che durino. Magari anche a condividerli se non li usiamo spesso”. Per questo Avfall Sverige ha lanciato una campagna per sensibilizzare i cittadini, in particolare sullo spreco di cibo e sul suo impatto economico: “In Svezia, buttiamo via almeno un quarto o un quinto di quel che abbiamo nella borsa della spesa perché compriamo troppo o lo conserviamo nel modo sbagliato. Si tratta di uno spreco di denaro, qualcosa che le persone capiscono facilmente”. Nel 2016 la Svezia riciclava il 93% del vetro, il 47% della plastica e l’82% della carta, ma molti hanno iniziato a denunciare come obsoleto un sistema che poi riutilizza solo il 47% del totale di quanto raccolto, destinando ai termovalorizzatori il restante 52%. Mentre in tanti guardano al Paese scandinavo come un modello da imitare, gli svedesi stanno già cercando migliori soluzioni alternative.
Potrebbero trovarle, paradossalmente, proprio in Italia. Subito dopo la Germania e le sue 72,4 milioni di tonnellate l’anno, il nostro Paese è infatti secondo in Europa per recupero e rigenerazione di rifiuti domestici e industriali, con 56,4 milioni di tonnellate. L’Italia riesce a dare una seconda vita al 67% della differenziata delle abitazioni, oltre ad avere creato filiere specializzate nella rigenerazione del 99% dei lubrificanti usati per ottenere nuovi oli, nell’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura come fertilizzanti, nel riuso di scarti tessili e ferrosi nei processi industriali. Un altro punto di eccellenza dell’economia del riciclo italiana si trova nel recupero di vetro, carta e alluminio. Secondo il rapporto del luglio 2019 del Comieco (il Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica), tra il 2017 e il 2018 la raccolta di carta e cartone è aumentata del 4% (127mila tonnellate), con una crescita generalizzata su tutta Italia. Questo permette di alimentare un sistema produttivo che realizza il 90% dei sacchetti, scatole e giornali in circolazione oggi con materiale riciclato. Un discorso simile vale anche per il vetro, che ha un ciclo vitale pressocchè infinito e permette un rapporto di recupero di uno a uno: in pratica una quantità di vetro lavorata può dare origine alla stessa quantità pronta per tornare in commercio. Questa è già la norma per più del 73% delle bottiglie di vetro che circolano in Italia. In totale, questa lunga serie di ramificazioni dell’economia circolare rappresenta per il nostro Paese una realtà da 10mila aziende in attività e un fatturato di 23 miliardi di euro l’anno.
Oltre all’impegno per rendere le discariche esclusivamente una soluzione marginale nella gestione del problema e donare nuova vita al più alto numero di rifiuti possibile, l’Italia è in prima fila anche sul fronte della riduzione del quantitativo pro capite annuale di spazzatura. La formula vincente arriva dal Veneto, definito in più occasioni una Regione “riciclona” dal governatore Luca Zaia, da sempre critico sulla possibilità di affiancare nuovi termovalorizzatori agli ultimi due in funzione. In provincia di Treviso, la gestione dei rifiuti prodotti da 50 comuni e dai loro 900mila abitanti ha investito sulla differenziazione della raccolta e su una massiccia campagna di comunicazione rivolta ai cittadini del gestore pubblico Contarina. Il focus è stato il riutilizzo dei materiali, anche dei pannolini per bambini – gettati nell’indifferenziata ancora in gran parte d’Italia. Oltre che alla sensibilità ambientale dei trevigiani, la percentuale di differenziata all’85% deve molto all’incentivo economico: la Tari, infatti, in questo comune viene calcolata in base a quanto effettivamente prodotto e premia i cittadini che riciclano di più o, ancora meglio, producono meno spazzatura con un consumo più consapevole. Il risultato è che solo 58 chili di materiale di scarto per abitante viene inviato nei termovalorizzatori della Regione per essere smaltiti. Nonostante l’ottimo risultato, l’obiettivo è ora portare la differenziata a quota 96% entro i prossimi tre anni, producendo solo 10 chili pro capite di rifiuti da dover bruciare. Il tutto seguendo un modello che può essere replicato con facilità in tutta Italia ed essere di ispirazione in sede europea.
Secondo molti scienziati restano poco più di 11 anni ai leader mondiali per avviare un cambio di rotta che argini l’emergenza climatica e garantisca la sopravvivenza della vita sulla Terra. Nei prossimi cinque anni, il Green New Deal europeo può imporsi come un modello da imitare in tutto il mondo, dimostrando che ambiente e sistema produttivo possono prosperare insieme, a patto di rimettere al centro il rispetto per il Pianeta e di tutta l’umanità, e non più degli interessi esclusivi di una ristretta élite. Questo cambio di paradigma richiede necessariamente investimenti e piani di lungo termine, ma può e deve partire anche da sfide quotidiane alla portata di tutti, come il consumo più consapevole e il riciclo alla base dell’economia circolare. L’Italia ha l’occasione di contribuire con il suo know how a dare la giusta direzione al “piano verde” dell’Europa. Anche dal suo successo dipenderanno le nostre possibilità di mettere un freno all’emergenza climatica.