L’estate del 2020 è la più calda mai misurata al Circolo polare artico. Il 24 giugno nel villaggio siberiano di Verkhoyansk si sono toccati i 38 gradi celsius, rispetto a una media estiva di 20: il record va a battere quello di 37,8 gradi di Fort Yukon, in Alaska, del 1915. Dalla primavera il Centro meteo globale (Gfs) del National Weather Service degli Stati Uniti ha lanciato l’allarme sulle temperature ormai di 20 gradi costantemente superiori alle medie stagionali, con la preoccupazione sullo stato di salute del Polo Nord e sullo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia che cresce da anni, al contrario di quanto accade per l’Antartide. Il continente all’estremo Sud del mondo è considerato toccato in modo minore dall’emergenza climatica, sia per caratteristiche strutturali proprie che per i meccanismi più complessi che lo regolano, rendendolo molto più freddo dell’Artide. Era convinzione della comunità scientifica internazionale fino a qualche mese fa che il Polo Sud fosse l’ultimo luogo della Terra non toccato dal riscaldamento globale, ma uno studio pubblicato questo giugno su Nature Climate Change dalla Victoria University of Wellington sulle temperature in Antartide dalla fine degli anni Cinquanta afferma che non è così. Da indizi, evidenti solo negli ultimi anni, è chiaro che l’effetto serra è all’opera da anni anche al Polo Sud.
Nell’indagine dell’università neozelandese i dati delle stazioni meteorologiche dell’Antartide raccolti tra il 1957 e il 2018 sono stati incrociati con i modelli climatici, ricostruendo che in realtà dalla fine degli anni Ottanta, come nell’Artico, anche al Polo Sud le temperature crescono a un ritmo maggiore di quello globale: in Antartide di circa +0,6 gradi per decennio, tra il 1989 e il 2018, a fronte di un tasso medio globale di +0,2 gradi. Nella sostanza si è passati dalle condizioni di freddo record fino agli inizi degli anni Ottanta a una sua progressiva attenuazione, fino a una condizione di caldo crescente dal 2000 in poi. “Solo gli inverni dell’Antartide non sono stati interessati in modo significativo dal processo di riscaldamento superficiale”, si sottolinea nello studio. Nella zona più interna, cioè il Polo Sud più isolato e creduto non intaccato da mutazioni, in 30 anni l’aumento delle temperature ha avuto un andamento addirittura di sette volte superiore alla media terrestre. Un campanello di allarme di quanto sta vivendo anche il Polo Sud sono i 20,7 gradi del 9 febbraio scorso rilevati dal ricercatore Carlos Schaefer a Seymour Island, sulla punta della Penisola antartica a nord del continente: “Un caso isolato, da inserire in uno studio più ampio”, ha precisato lo scienziato al lavoro su un progetto sull’impatto dei cambiamenti climatici in 23 siti dell’Antartico, “ma senza dubbio eccezionale. Il segnale che in quest’area sta accadendo qualcosa di diverso”.
I quasi 21 gradi misurati da Schaefer sono al vaglio dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) dell’Onu. Se confermati, per la prima volta in Antartide si sarebbe superata la soglia dei 20 gradi dopo il precedente record di 19.8 gradi a Signy Island nel 1982; anche l’Antartide, come l’Artide, nel 2020 avrebbe avuto l’estate più calda mai registrata. Nell’ultimo quinquennio, nel continente del Polo Sud si sono avuti picchi di temperature sempre maggiori tra gennaio e febbraio: anche quest’anno, per esempio, il 6 febbraio nella base argentina Esperanza, sulla punta della Penisola antartica, si è arrivati a rilevare 18,4 gradi dopo i 17,5 del marzo 2015. Sempre nelle stesse settimane, dal grande ghiacciaio della baia di Pine Island, lungo la costa occidentale dell’Antartide, un iceberg di circa 300 chilometri quadrati si è staccato e spezzato in molti frammenti: un evento ripreso dai satelliti dell’Agenzia spaziale europea (Esa) che l’anno prima aveva fotografato grandi fratture nel ghiacciaio, crepe che le immagini satellitari avevano poi mostrato allargarsi a un ritmo sorprendentemente rapido. Secondo la Wmo, nell’ultimo mezzo secolo circa l’87% dei ghiacciai lungo la costa dell’Antartide occidentale hanno perso massa, e da 12 anni a un ritmo sempre più accelerato.
Questo fenomeno, però, al Polo Sud non è uniforme: è molto più localizzato e parziale che al Polo Nord, ed è tale da non aver destato finora eccessive preoccupazioni. Il comportamento dei ghiacci del continente dell’Antartide è infatti diverso, anche per la presenza di una piattaforma terrestre che ne protegge il nucleo centrale. Così “nel complesso, tra il 1979 e il 2017 i ghiacci dell’Antartide si sono ancora estesi”, riporta un paper dello scorso aprile della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia federale oceanografica e meteorologica degli Stati Uniti, “mostrando un trend positivo nonostante alcune aree di declino nella Penisola antartica”. Una regressione in particolare “persistente nella parte sud-occidentale” del lembo settentrionale del continente, e altalenante lungo il mare di Weddell, “con un incremento forte fino al 2006 e poi un ritorno dei ghiacci negli anni recenti”. Questa forte variabilità interna ha fatto a lungo pensare a delle “eccezioni” climatiche, piuttosto che all’inizio di un trend di riscaldamento anche del Polo Sud. Il fatto poi che il continente antartico sia studiato ed esplorato da meno tempo dell’Artide e che nei suoi meccanismi sia molto influenzato da variabili naturali legate all’andamento di correnti oceaniche anche tropicali fa sì che le mutazioni in corso al Polo Sud siano meno sondabili ed evidenti.
Fino al 2000, per esempio, gran parte dell’Antartide si raffreddava in estate in controtendenza con quanto avveniva nel resto del Pianeta per l’effetto serra: una ricerca della National Science Foundation statunitense divulgata su Nature nel 2001 chiamava la scienza a interrogarsi sull’“enigma Antartide”. Per il nuovo studio del Victoria University of Wellington anche l’aumento delle temperature al Polo Sud a partire dagli anni Novanta può essere dovuta a “una forte anomalia ciclonica nel mare di Weddell, a sua volta causata dall’aumento delle temperature delle acque superficiali della fascia tropicale del Pacifico”: una dinamica naturale che, si precisa, anche da sola può portare “ad anomalie estreme” per il “legame intimo emergente tra la variabilità del clima tropicale con l’Antartide più interno”. Nella ricerca si fa però anche presente che la “pressione radioattiva dei gas serra nell’atmosfera ha probabilmente intensificato questo recente riscaldamento del Polo Sud”, in atto a un ritmo ancora più accelerato dell’Antartide, e quindi in grado di sconvolgerlo con “cambiamenti climatici regionali estremi”. “Il tasso di riscaldamento del Polo Sud è incredibile ed è guidato principalmente dai tropici”, ha commentato il ricercatore che ha coordinato lo studio, Kyle R. Clem, “ma è molto, molto improbabile che un trend di riscaldamento del genere potesse verificarsi in assenza dell’aumento dei dei gas serra”.
Questi valori non significano ancora il rischio di scioglimento dei ghiacci interni, contenuto dalla media annuale rigidissima delle temperature dell’Antartide, che arriva anche a -50 gradi Celsius. Ma che a sciogliersi siano al momento parti limitate della calotta antartica, anche solo lungo le coste occidentali, non è tuttavia una prospettiva rassicurante per il Pianeta: le immagini e le rilevazioni satellitari della Nasa e dell’Esa mostrano una perdita di ghiaccio sempre più rapida, come segnalato anche dalla Wmo: solo tra il 2014 e il 2017 si sarebbe dissolta una parte più grande del Messico, sette volte più grande dell’Italia (circa due milioni di chilometri quadrati di ghiaccio marino), secondo le misurazione della Nasa. Anche una ricerca del team internazionale Imbie, pubblicata su Nature nel dicembre 2019, conferma che questa porzione di ghiacci dell’Antartide si ritira, come in Groenlandia, a un ritmo sei volte maggiore che negli anni Novanta (da 1 a 7 millimetri ogni 10 anni). Insieme queste due grandi isole di ghiaccio possono provocare un aumento del livello degli oceani, secondo le previsioni più negative del Panel intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici (Ipcc): fino a 0,84 metri entro il 2100.
Uno scenario che esporrebbe al rischio di inondazioni centinaia di milioni di persone, e che si è già verificato in passato. Già circa 120mila anni fa le temperature degli oceani aumentarono di meno di 2 gradi, e a risentirne fu proprio la calotta glaciale dell’Antartide occidentale, che poggia in larga parte sulle acque e dove oggi è più visibile il riscaldamento. Nell’ultima era interglaciale la parte più vulnerabile dell’Antartide si sciolse innalzando di 3 metri il livello dei mari. Le temperature ancora rassicuranti dell’area e le immagini meno impattanti dall’Antartide rispetto a quelle che ci arrivano sempre più spesso dall’Artide non devono ingannare: il ritmo elevato di cambiamento è una spia, e quanto accade anche al Polo Sud non deve essere minimizzato, ma studiato per riuscire a intervenire nei margini di tempo a nostra disposizione. Il Polo Nord e il Polo Sud sono più vicini tra loro, e a noi, della distanza fisica che mantengono sulla Terra; il loro futuro, così come quello dell’umanità, è nelle nostre mani.