Roma e il Sud sono sommersi dalla monnezza, dall’inquinamento e dalla corruzione. Questo è quello che leggiamo e vediamo in TV ogni giorno. Al Nord invece tutto è magnifico: le strade sono pulite, l’aria non è inquinata e chi ascolta reggaeton viene escluso dalla società civile.
C’è solo un problema, l’unica cosa vera di questa frase è la parte sul reggaeton.
Basta vedere quello che sta succedendo in Veneto. Qui la Miteni Spa, società che ha sede a Trissino, in provincia di Vicenza, produce e commercia in PFAS (Sostanze Perfluoro Alchiliche). Ovvero composti chimici, tali perfluoroalchili, usati come impermeabilizzanti. Li troviamo in tessuti come il Goretex, nel fondo in Teflon delle padelle, nei contenitori di plastica per alimenti e probabilmente nei capelli degli istruttori di ballo latino-americano. Tutti abbiamo usato almeno una volta nella vita qualcosa contenete PFAS. La carta del panino che mangiate in fame chimica dopo aver fatto serata? PFAS. Ma anche la schiuma degli estintori, i detersivi per pavimenti o i cosmetici. Anche nei sedili di alcune automobili o nei materassi di casa.
Che cosa si produce ancora con i PFAS? 1260 morti in Veneto in più di trent’anni, secondo una ricerca di Enea-Medici.
Ora questa azienda chimica vicentina è sotto inchiesta della magistratura per inquinamento della falda acquifera. Quella da cui viene l’acqua “potabile” che esce dai (speriamo non vostri) rubinetti, e più che entrare in casa vostra entra proprio dentro di voi e vi rimane addosso come il tatuaggio del sole che vi siete fatti in Erasmus sull’osso sacro. Un bacino di 350.000 persone a rischio. I PFAS sono sostanze che propagano e persistono, ovvero possono diffondere nel sottosuolo a grande distanza e perdurare decine di anni nonostante la cessazione del rilascio. Gli studi condotti dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dall’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav) sul territorio di Vicenza, Padova e Verona hanno confermato concentrazioni elevate di queste sostanze e identificato la fonte inquinante in Miteni Spa a cavallo del 2013, da lì le indagini. “La Miteni non sarebbe nuova a questo tipo di irregolarità,” riporta Cristina Guarda, consigliera regionale del Veneto (Pd). Vero. L’azienda, infatti, negli anni Settanta si chiamava Rimar (Ricerche Marzotto) ed era stata indagata per contaminazione dell’acqua nella zona di Sovizzo e Creazzo. Sempre a Vicenza. Un doppio colpo per la Miteni ex-Rimar.
Le concentrazioni di perfluoroalchili nella zona sono talmente alte che la valle dell’Agno può definirsi a pieno titolo un caso mondiale. Un record che incide in modo drammatico sulla salute delle persone. Infatti, i PFAS sono formalmente considerati interferenti endocrini, ovvero sostanze che alterano il sistema ormonale degli organismi viventi, uomo ovviamente compreso. Meno ovvia è la loro azione cancerogena. L’unico perfluoroalchile riconosciuto come cancerogeno “probabile” – termine tecnico cui sottostà un definito grado di certezza – è infatti il PFOS. Tra le patologie associate all’esposizione da PFAS troviamo: ipercolesterolemia, malattia ulcerosa, malattie della tiroide, alterazioni dei livelli di glucosio nel sangue, conseguenze sulla fertilità maschile e femminile. A maggior ragione, se ci entrate in contatto in gravidanza non è la cosa migliore che vi possa capitare, i PFAS causano infatti preeclampsia (o gestosi) e altre patologie del feto, come casi di nascita sottopeso.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un rapporto che riassume le evidenze scientifiche in materia di interferenti. Certo, è del 2012, e forse bisognerebbe revisionarlo alla luce dei numerosi articoli pubblicati negli ultimi anni, ma è già qualcosa. In Europa, invece, si temporeggia nel definire una chiara classificazione di queste sostanze. Siamo bloccati dal 1999, anno in cui il nostro continente ha iniziato a occuparsi seriamente della questione. Per i curiosi e i piccoli chimici, comunque, esiste un bell’elenco dell’istituto di ricerca no-profit TEDX – voce autorevole, seppur non istituzionale. L’argomento è stato affrontato anche in una puntata di Presa Diretta, a cui si aggiungono le dichiarazioni di Alberto Mantovani, dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità, che mette in evidenza i risultati di uno studio condotto a Roma, tale PREVIENI. Parte finale del progetto, in collaborazione con il Ministero della Salute, è stata la pubblicazione di un decalogo sugli interferenti endocrini pensato per i cittadini. Utile, in effetti.
Sono dodici i perfuoroalchili finora classificati. I meglio conosciuti sono il PFOS e il PFOA, un po’ perché sono quelli “a catena lunga” e dunque meglio identificabili dagli apparecchi di rilevazione, un po’ perché sono anche quelli in concentrazione maggiore nell’ambiente. In seguito al caso DuPont, l’azienda che si è inventata il Nylon e che in passato è stata accusata per aver riversato perfluoroalchili nelle acque dell’Ohio, il mondo dell’industria ha iniziato a convertire la produzione di queste sostanze da quelle “a catena lunga” in quelle “a catena corta”, che guarda caso sono anche le più difficili da rintracciare, a causa della necessità di sistemi di rilevazione più sofisticati. Dal 2002 Stati Uniti e Europa hanno vietato l’utilizzo di PFOS. Quanto alla Miteni, non è ancora chiaro se ne abbia cessato la produzione nel 2011 o nel 2013, quel che è certo è che continua quella delle sostanze “a catena corta”.
Tangente all’indagine della Procura di Vicenza è il rimpallo di responsabilità tra Regione e Governo per la definizione di limiti precisi per queste sostanze inquinanti. Battibecchi infiniti. Pochi giorni fa il Presidente della Regione Zaia ha esordito con uno dei suoi grandi classici esclamando: «Non c’è che prendere atto dell’atteggiamento scandaloso del ministero della Salute che, di fatto, ci dice di arrangiarci. Annuncio che da questo momento, in piena autonomia, procederemo a una drastica riduzione dei limiti in Veneto». Ma dai? Una risposta che ricorda quei ragazzi che ci tengono a dirti che sono loro ad averti mollato quando li avevi già cancellati dal telefono due settimane prima.
Ma arriva la risposta della Lorenzin, che deve aver avuto ex simili, e spara due colpi secchi. Il primo, l’imminente pubblicazione di nuove direttive Ue sugli PFAS sollecitata dallo stesso governo italiano. Il secondo diretto all’aspirante autonomista, ricordando come già nel 2015 il Ministero dell’Ambiente avesse dato indicazione alle autorità regionali di definire in via autonoma i limiti di emissione in materia di PFAS, in mancanza di una precisa legge nazionale. Zaia. Ti avevano servito una pillola di autonomia su un piatto d’argento.
La consigliera regionale Pd, Cristina Guarda, puntualizza: «I comitati cittadini stessi avevano richiesto un abbassamento dei limiti» a oggi settati su 1030 nanogrammi, che l’Italia tollera sulla base del giudizio tecnico dell’Istituto Superiore di Sanità (in Svezia sono 90, negli Usa 70). «Zaia fa bene a dire queste cose perché significa che finalmente recepisce ciò che i consiglieri Pd vanno dicendo da tempo, abbassiamo i livelli, ma non ha senso prendersela con il Governo. Il Veneto avrebbe potuto agire in piena indipendenza già molto tempo fa. Sono passati quattro anni da quando tutto è iniziato e si è tardato molto nel far diventare questo argomento urgente.» Senza contare che i sistemi di filtraggio installati nei comuni a rischio hanno un potenziamento che permette di eliminare sia i PFAS a catena lunga che i più ostici a catena corta… ma le spese sono a carico del consumatore. «I prezzi della bolletta sono aumentati di circa l’8%», conclude Guarda.
Ma l’importante è guardare il Sud e parlare male degli altri per dimenticare chi si ammala accanto a te.