Non sono solo i pesci. Ogni settimana mangi 5gr di plastica, come una carta di credito.

Mangereste mai una carta di credito? La risposta è scontata, nessuno di noi ovviamente lo farebbe: eppure, ogni settimana, con una normale alimentazione assumiamo circa cinque grammi di plastica, pari appunto al peso di una carta di credito. È il risultato di uno studio commissionato dal Wwf alla University of Newcastle, in Australia. I ricercatori hanno analizzato i dati di 52 studi sulle microplastiche e i risultati fanno riflettere.

Negli ultimi anni si è parlato sempre più spesso di microplastiche e dei danni che creano all’ambiente: si tratta di particelle di plastica più piccole di 5 mm, che hanno diverse origini. Alcune vengono prodotte già così piccole: pensiamo alle microsfere esfolianti contenute in alcuni detergenti o nei dentifrici. Queste sono particolarmente dannose perché impossibili da riciclare e per questo sono state bandite in alcuni Paesi, tra cui Stati Uniti e Regno Unito. Anche l’Italia si adeguerà dal prossimo anno. Altri tipi di microplastiche, invece, sono il prodotto della degradazione degli imballaggi e dei tessuti sintetici. Gli oceani ormai ne sono pieni: uno studio ha infatti stimato che ogni anno oltre 8 milioni di tonnellate di plastica vengono riversate nelle acque terrestri. Si potrebbe quindi pensare che il rischio di ingerirne delle particelle sia per lo più collegato al consumo di pesce, molluschi e crostacei, ma non è sempre vero.

I ricercatori australiani hanno infatti trovato microplastiche anche nell’acqua (con poche differenze tra quella del rubinetto di casa e quella in bottiglia), e nel sale da cucina. È proprio l’acqua a contenere più plastica: i ricercatori hanno stimato che, potenzialmente, una singola persona, può assumere in una settimana circa 1769 particelle di plastica solo bevendo acqua. Nei crostacei e nei molluschi, finora indicati come la principale fonte di inquinamento della nostra catena alimentare insieme ai pesci, ne sono presenti 182. Fibre di plastica inoltre sono state trovate nell’83% dei campioni di acqua del rubinetto in tutto il mondo, con il tasso di contaminazione più alto negli Stati Uniti (94%). Nelle nazioni europee si registra un dato intorno al 72%.

Per quanto riguarda il sale, uno studio pubblicato su Environmental Science & Technology ha esaminato la quantità di plastica presente in questo elemento, fondamentale nella nostra cucina, estratto in ventuno diverse nazioni di tutti i continenti – tranne l’Oceania. I campioni provenienti dall’Asia si sono dimostrati quelli più ricchi di microplastiche, e non a caso: otto dei fiumi più inquinati da plastica al mondo sono proprio in questo continente. Di tutti i campioni esaminati, solo tre, provenienti da Taiwan, dalla Cina e dalla Francia, non contenevano tracce di plastica. Secondo i ricercatori un adulto medio consuma, ogni anno, 2mila microplastiche solo ingerendo sale da cucina.

Il problema, secondo alcuni ricercatori, è un altro: ci si concentra spesso solo sulle microplastiche, ma non basta. Bisogna prendere infatti in considerazione anche il fatto che molti degli alimenti che consumiamo sono imballati in questo prodotto, ed è anche per questo che ingeriamo costantemente sostanze nocive. Pensiamo alle capsule per il caffè espresso, per esempio: oltre al grande impatto sull’ambiente legato al fatto che sono usa e getta (tanto che ad Amburgo sono state bandite già da qualche anno), potrebbero non essere del tutto sicure per la nostra salute: uno studio francese ha dimostrato che il caffè in capsule contiene maggiori quantità di sostanze chimiche potenzialmente dannose, come cobalto, cromo, acrilamide.

In ogni caso, il Wwf e i ricercatori australiani sperano che la loro ricerca abbia un forte impatto sull’opinione pubblica. “Questi risultati devono servire da monito per i governi. Non solo la plastica sta inquinando i nostri oceani uccidendo la fauna marina, ma è anche dentro di noi e non possiamo fare a meno di consumarla. Un’azione globale è urgente ed essenziale per affrontare la crisi”, ha detto Marco Lambertini, direttore generale del Wwf International. “Mentre la ricerca sta investigando i potenziali effetti negativi della plastica sulla salute umana, è chiaro che abbiamo un problema a livello globale che può essere risolto solo affrontando alla radice il problema dell’inquinamento da plastica.” Il punto, spiega Lambertini, è che se non vogliamo questa sostanza dannosa all’interno del nostro corpo, dobbiamo impedire che se ne riversino nell’ambiente milioni di tonnellate. Questo è possibile solo grazie all’impegno di tutti, governi, imprese, persone.

Gli effetti della plastica sulla fauna marina ormai li conosciamo: ostruisce il tubo digerente di molti animali, fa diminuire l’appetito, altera il comportamento alimentare, con impatti anche sulla crescita e sulla riproduzione degli individui. Alcune specie, tra cui uccelli, tartarughe e cetacei, muoiono con lo stomaco pieno di plastica. Finora, però, gli studi sui danni della plastica sull’organismo umano sono pochi e frammentari. Tra i primi a essere stati affrontati dalla ricerca  c’è il danno chimico: la plastica usata negli imballaggi per alimenti contiene infatti diverse sostanze che finiscono sugli alimenti Uno di questi è il bisfenolo A, già riscontrato nel Regno Unito nell’urina dell’86% degli adolescenti tra i 17 e i 19 anni. Deriva principalmente dall’assunzione  quotidiana  di bevande in bottiglie di in plastica, ma anche di frutta e verdura imballate nella pellicola. Viene considerato dall’Echa, l’agenzia europea per le sostanze chimiche, un interferente endocrino, cioè una sostanza in grado di alterare l’equilibrio ormonale, con conseguenze sull’apparato riproduttivo e sul sistema nervoso. Un regolamento europeo nel 2018 ne ha finalmente vietato l’uso nei contenitori e negli imballaggi per alimenti. Ci sono poi gli ftalati, anche questi utilizzati in molti imballaggi. Dal momento che si legano chimicamente ai grassi, è facile trovarli nella carne, nei formaggi, nel latte, nel burro. Non solo, quindi, li mangiamo, ma spesso ce li spalmiamo anche sulla pelle, dal momento che sono contenuti anche in molti cosmetici. Anche gli ftalati sono interferenti endocrini e hanno conseguenze dirette sull’apparato riproduttivo. Il grosso problema è che molti di questi composti hanno un effetto di accumulo, che quindi può avere una tossicità a lungo termine. Le conseguenze reali, quindi, sono ancora in fase di studio. 

Uno studio pilota della Medical University of Vienna ha esaminato un piccolo campione di otto volontari non vegetariani provenienti da diverse nazioni (Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Giappone, Russia, Regno Unito e Austria), a cui è stato chiesto di tenere un diario alimentare per una settimana e di sottoporsi poi a un’analisi delle feci. I ricercatori hanno analizzato i campioni con uno spettrometro, riscontrando in tutti tracce di plastica, in media 20 particelle ogni 10 grammi di feci. Le particelle misuravano tra i 50 e i 500 micrometri ed erano di nove tipi differenti, tra cui polipropilene e polietilene tereftalato (Pet), componenti dei tappi e delle bottiglie di plastica. Philipp Schwabl, gastroenterologo e autore dell’articolo, resta cauto sia sulle conseguenze per la salute che sulla provenienza della plastica. “Gran parte dei volontari ha bevuto acqua da bottiglie di plastica” ha detto al New York Times, “ma molti hanno anche mangiato pesce e molluschi. Ed è anche probabile che il cibo sia stato contaminato dalla plastica durante la preparazione o dall’imballaggio che lo conteneva”.   

Il problema della plastica, in parte, è già stato affrontato. Molti Paesi stanno mettendo al bando gli imballaggi usa e getta, o lo faranno nei prossimi anni. Ma ormai il danno è fatto, e le tonnellate che abbiamo riversato  nei nostri mari resteranno lì per secoli. Oltre alle già note cinque isole di plastica presenti negli oceani, anche nel Mediterraneo esiste una sorta di “zuppa” di plastica presente a fasi alterne (a seconda delle correnti). Si trova nel Mar Tirreno, tra la Corsica e l’Elba, proprio all’interno dell’area marina protetta del santuario dei cetacei. Per quanto riguarda lo studio della presenza di plastica nel nostro corpo e delle potenziali conseguenze sulla salute, c’è ancora molta strada da fare. Nel frattempo, la priorità è quella di eliminare la plastica, di cui negli ultimi anni si è davvero abusato, e di sostituirla con alternative più sicure e sostenibili per l’ambiente e per la salute.

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