La crisi climatica è innegabile. Chi la contesta è in mala fede e ne è consapevole. - THE VISION
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L’origine antropica dei cambiamenti climatici è ormai cosa nota da decenni, tanto che aprire una discussione sul tema sembra qualcosa di anacronistico. Per questo quando leggi che il vicepresidente del Consiglio in carica, nonché ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha affermato che l’aumento delle temperature è dovuto a cicli naturali ti viene da strabuzzare gli occhi e, a primo impatto, non sai se prenderla come una battuta o l’effetto di un colpo di calore. Poi vai a rivederti il video della Festa della Lega Romagna e capisci che in quel momento Matteo Salvini era assolutamente serio. “Sì, fa caldo. D’estate fa caldo, d’inverno fa freddo. La Romagna è la seconda mia casa però io adoro la montagna. E quando vai sull’Adamello e sul Tonale e vedi i ghiacciai che si ritirano anno dopo anno, certo che stai lì pensare! Poi studi un pochino di storia e vedi che sono cicli. Non è perché c’è Capezzone che sgasa con la sua Golf Turbo che il ghiacciaio dell’Adamello arretra”. Un discorso che lascia attoniti. Se poi metti insieme il puzzle, e unisci questa affermazione a quella della Presidente del Consiglio che sottolinea in Spagna quanto sia prioritario fermare “il fanatismo ultra-ecologista” e a quella di un ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che confessa di non sapere se il cambiamento climatico abbia o meno un’origine antropica, qualche domanda sorge spontanea. 

Gilberto Pichetto Fratin

Forse è proprio nei piani di questa maggioranza l’idea di strizzare l’occhio al negazionismo climatico. Una tendenza non solo italiana, che va ben oltre le note posizioni di Vox a cui, appunto, anche Giorgia Meloni aveva offerto appoggio. Negli Stati Uniti il repubblicano Ron DeSantis definisce il riscaldamento globale come “roba da sinistra”, e punta a soffiare a Donald Trump la leadership nella corsa verso la Casa Bianca facendo leva tra le altre cose proprio sul negazionismo climatico. Allo stesso modo questa tendenza emerge sempre di più all’interno degli altri partiti di estrema destra europei, per esempio in Germania e in Svezia. La diversità di idee è qualcosa di sacrosanto in democrazia, ci mancherebbe, ma quando abiti a due passi da ghiacciai che stanno morendo e vedi una bella fetta della politica internazionale negare l’origine antropica di questo fenomeno, ormai riconosciuta e data per assodata, provi da un lato un po’ di fastidio, dall’altro una certa preoccupazione. 

Nei giorni scorsi le temperature europee hanno raggiunto livelli record. Lo zero termico ha toccato quota 5328 metri, come misurato dalla stazione di radiosondaggio di Cameri, vicino a Novara. Un record agghiacciante se lo si definisce con più attenzione. Questo dato significa infatti che nemmeno sulla vetta del Monte Bianco, durante la notte, la temperatura ha raggiunto lo zero termico. Il che ha delle conseguenze gravissime per tutti i ghiacciai dell’arco alpino. L’assenza del rigelo notturno e lo scioglimento del permafrost rendono sempre più insicure numerose vie di salita alle vette delle Alpi, esponendo chi le frequenta a maggior rischio di crolli e scariche rispetto a condizioni normali. L’ondata di caldo dei giorni scorsi, inoltre, è stata sufficiente non solo per distruggere tutte le riserve invernali che avevano permesso ai ghiacciai di arrivare ad agosto in condizioni dignitose, ma addirittura hanno peggiorato la situazione disastrosa in cui si erano trovati dopo l’estate del 2022. 

Dalla fine dell’Ottocento sono scomparsi circa 200 ghiacciai alpini. E le immagini che circolano in rete in questi giorni sono impressionanti. In provincia di Sondrio il meraviglioso ghiacciaio Fellaria si sta sgretolando davanti agli occhi degli escursionisti che riprendono uno spettacolo tanto ricco di fascino quanto angosciante. Il Club Alpino Italiano ha lanciato un allarme per via delle condizioni precarie della parete nord della Presanella, in Trentino, dove si è formato un enorme buco in un canale sopra cui incombe un’enorme porzione di ghiacciaio. Non ci sono più parole, invece, per le condizioni del ghiacciaio di Indren, sul Monte Rosa, ridotto ormai all’osso e in costante ritirata. Il portale Meteo Live VCO segnala la presenza di cascate sulla parete est del Monte Rosa, mai registrate prima d’ora, oltre a continui crolli. Lo scienziato Luca Mercalli riporta valori di +9,2°C alla Capanna Margherita, 4554m, e +14,3°C sulla vetta della Marmolada, 3343m. Una montagna, quest’ultima, dove soltanto un anno fa si era verificata una tragedia che costò la vita a undici persone, a causa del crollo di un seracco dovuto, come riportato nella perizia tecnica, alle elevate temperature registrate fin dal mese di giugno.

Le ripercussioni del cambiamento climatico in corso non sono certamente riducibili soltanto alle aree alpine, né a problemi relativi al solo aumento delle temperature: è proprio studiando che lo si capisce. Dopo i disastri di maggio in Emilia-Romagna, dove i danni sono stati molto ingenti e si sono resi necessari interventi urgenti su strade, messa in sicurezza dei corsi d’acqua e strutture pubbliche, a fine luglio si è parlato molto del nubifragio che ha investito Milano, con raffiche di vento fino a 110 km/h, grandine e forti piogge che hanno causato danni alle linee dei tram e alle strutture. Se tutto questo fosse frutto di anomalie episodiche, eventi sporadici avvenuti per caso, ci sarebbe solo da prenderne atto.  Invece nel 2023 Legambiente ha registrato un +135% di eventi estremi rispetto all’anno precedente. Come ha riportato a Repubblica il climatologo Antonello Pasini, “I climatologi raccolgono dati per trent’anni prima di individuare una tendenza, e le statistiche che abbiamo a disposizione ci dicono chiaramente che nella storia recente dell’umanità non è mai accaduto qualcosa di simile”. Affermare che ci possano ancora essere dubbi sull’origine antropica del cambiamento climatico in corso non è più possibile. Per comprenderlo è sufficiente leggere i dati che attestano un aumento costante delle temperature dal 1880 a oggi, e confrontarli con quelli relativi alla presenza di CO2 nell’atmosfera terrestre, mai così alta da 800mila anni a questa parte e in costante crescita. Utili a capire il fenomeno sono le registrazioni relative alla curva di Keeling: osservando l’oscillazione della presenza di CO2 su una base di 10mila anni pare immediato associare l’aumento della sua concentrazione con l’inizio della rivoluzione industriale, quando l’uomo ha iniziato a estrarre combustibili fossili per favorire la meccanizzazione della produzione industriale. Sebbene queste evidenze siano ormai più che dimostrate, è ancora necessario smontare affermazioni pressapochiste e antiscientifiche. Interessante è stata l’operazione che ha svolto l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, che ha condotto un fact checking delle più comuni obiezioni al riscaldamento globale con dati espressi in modo molto semplice e chiaro. 

La natura del cambiamento climatico in corso è di matrice antropica: è oggettivo. Proprio per questo fa specie vedere come teorie negazioniste siano in grado di far presa su un elettorato cospicuo, a cui le destre continuano ad ammiccare. In parte, questo è sicuramente dovuto alla difficoltà di accettare un ridimensionamento del nostro stile di vita. Quando si scopre che l’insostenibilità del nostro sistema non si può ridurre agli sprechi o agli eccessi, ma riguarda tutti i settori economici, dall’agricoltura all’allevamento, dai trasporti al modello di sviluppo consumista che sta sempre più identificando la nostra società, un po’ di timore è comprensibile. E proprio sulla paura di un futuro che si presenta sempre più incerto è molto facile far leva per chi cerca di allargare il proprio bacino di consensi. 

Allo stesso tempo, è fondamentale che questo tema sia presentato sempre più in modo fattuale e non divisivo. Lavorare in favore della diffusione culturale di questo fenomeno è fondamentale per allargarne la percezione comune e trasformarla in qualcosa di condiviso in modo unilaterale. Per farlo, è necessaria una comunicazione efficace del fenomeno, che deve passare in primo luogo attraverso l’attenzione del sistema dell’informazione. A luglio, cento scienziati avevano inviato una lettera aperta ai media italiani, firmata tra gli altri dal premio Nobel Giorgio Parisi, invitandoli a sottolineare che i morti dovuti alle ondate di calore e agli eventi estremi, così come le alluvioni e i periodi di siccità “Sono solo alcuni dei segnali dell’intensificarsi degli impatti dei cambiamenti climatici” e non possono essere certo derubricati a “maltempo”. In fondo, si tratta solo di dare un nome oggettivo a un fenomeno contemporaneo che non può più essere negato. Eppure sono in tanti a essere reticenti a farlo, troppi.

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