L’emergenza climatica è reale e uccide fino a 80mila italiani l’anno

C’è una strage silenziosa che si consuma ogni anno. Silenziosa, o quasi: se volessimo trovarle un suono sarebbe quello del motore delle auto, il ronzio continuo dei macchinari industriali o, ancora, il rombo degli aerei al decollo. Quella provocata dall’inquinamento atmosferico è una strage, e non in senso metaforico: sono oltre 412mila l’anno le morti premature in Europa dovute a eccessivi livelli di polveri sottili pm2,5, responsabili nell’Unione di un calo in media di 8,6 mesi all’aspettativa di vita dei suoi cittadini. L’Italia detiene il record di questa triste classifica, come rileva il rapporto Countdown on health and climate change pubblicato a novembre dalla rivista medica The Lancet. Anche Legambiente riporta dati allarmanti: 58.600 morti premature nel 2016 e oltre 60mila nel 2019, mentre l’Oms nel 2015 ha stimato oltre 32mila i decessi prematuri legati all’inquinamento domestico e da particolato avvenuti in Italia nel 2010. A questi si aggiungono gli oltre 21mila casi di malattie respiratorie acute, patologia polmonare ostruttiva, ischemia, tumore ai polmoni e infarto del 2015; i numeri cambiano a seconda delle sostanze e delle altre variabili considerate, ma restano in ogni caso molto elevati, facendo attribuire all’inquinamento 129 decessi ogni 100mila abitanti dell’Unione europea. L’Italia è uno dei Paesi a dare il maggior contributo a questi dati.

Questo succede perché viviamo immersi nello smog: ogni giorno respiriamo polveri sottili Pm2,5 e Pm10, biossido di azoto e ozono; in Europa 3,9 milioni di persone abitano infatti in aree in cui si superano con regolarità i limiti di sicurezza stabiliti per tutti i principali inquinanti. Secondo i dati riferiti al 2017 dell’Agenzia Ambientale Europea (EEA) il 17% della popolazione urbana dell’Unione europea è esposto a livelli giornalieri di pm10 superiori ai livelli di guardia. Se poi applichiamo i limiti suggeriti dall’Oms, più restrittivi, la popolazione europea esposta a questa sostanza arriva fino al 52%, mentre la percentuale di quella danneggiata dal pm2,5 oscilla tra il 74% e l’81%. Dei 3,9 milioni di persone che in Europa sono minacciate in contemporanea da Pm2,5 e 10, ben il 95% vive in Nord Italia, in quella Pianura Padana che è tra le aree più inquinate d’Europa. Un dato molto grave, visto che per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) l’inquinamento atmosferico e le polveri sottili sono cancerogeni, ed è ormai dimostrato anche il loro collegamento con le malattie cardiovascolari.

Lo stabilimento ex Ilva di Taranto

Non a caso il nostro Paese è al secondo posto per morti da pm2,5 in Europa, dove queste sono state 2,9 milioni nel 2016, con miglioramenti minimi rispetto agli anni precedenti; “guadagniamo” invece il primo posto per le morti da biossido di azoto e da ozono, primati sostanzialmente confermati da The Lancet, che ci colloca ai primi posti in Europa e all’undicesimo nel mondo per mortalità da polveri sottili, come riconosciuto anche dall’Istituto Superiore di Sanità. I meccanismi biomedici e chimici con cui lo smog colpisce non sono ancora del tutto chiari, ma è certa una relazione tra esposizione alla materia particolata più sottile (pm2,5) e patologie cardiovascolari. Tra i fattori meccanici si contano infiammazione, stress ossidativo e disfunzioni vascolari, che favoriscono l’insorgenza di diabete, ipertensione e arteriosclerosi.

Queste patologie uccidono migliaia di persone ogni anno, senza destare allarme né suscitare scandalo. E non si tratta solo di una tragedia umana, ma anche di un danno economico enorme: nel 2018 i costi globali dovuti all’adattamento del piano sanitario all’emergenza ambientale sono stimati in poco meno di 15 miliardi di euro a livello globale. Per adattare il sistema sanitario a questa situazione sono infatti necessari notevoli stanziamenti, che giustificano l’aumento dell’11% delle spese sanitarie nel mondo registrato nell’annata 2017-2018 rispetto alla precedente. Già nel report del 2015 dell’Oms si rilevavano le perdite economiche da capogiro causate in Europa dall’inquinamento e dalle morti a esso attribuite: nel 2010 – anno a cui i dati del report si riferiscono – il costo sanitario e quello relativo alle morti premature in Italia corrispondevano al 4,7% del Pil. Si tratta di denaro speso per curare le patologie connesse allo smog e legato all’accorciamento dell’aspettativa di vita (in media circa 8 mesi di vita nel 2016 a livello mondiale) e alle giornate di lavoro perse. L’impatto economico varia tra i 20 miliardi di euro andati in fumo a causa dei morti da pm2,5 secondo The Lancet e le stime di Legambiente che arrivano a calcolarlo tra i 47 e i 142 miliardi di euro annui. Secondo l’Oms, diminuire le quantità di pm10 disperse in atmosfera permetterebbe di ridurre la mortalità nelle città inquinate del 15% l’anno.

Siccome all’origine di tutte queste emissioni ci sono prevalentemente le attività umane, si potrebbe parlare di suicidio, se non fosse che, come riporta l’Agenzia Ambientale Europea (Eea), sono più esposti agli inquinanti i meno abbienti e gli individui più fragili, come bambini e anziani, cioè coloro che ne sono meno responsabili. Le emissioni provengono in buona parte da carbone e altri combustibili fossili bruciati per generare elettricità per le industrie, i trasporti e il riscaldamento domestico. Nel complesso, i dati non sono in miglioramento: sempre secondo The Lancet, al mondo le emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili sono cresciute di oltre il 2% negli ultimi tre anni, mentre tra il 2000 e il 2016 i gas serra connessi all’allevamento intensivo sono aumentati del 14% e quelli legati all’agricoltura del 10%: dati ben lontani dal necessario taglio alle emissioni del 7,4% annuo da qui al 2050, che ci permetterebbe di mantenere il surriscaldamento climatico entro il limite di 1,5 gradi centigradi. L’inquinamento derivato dalle abitazioni, dal riscaldamento – stufe a pellet comprese – dall’energia per cucinare, sarebbe responsabile di circa 3,8 milioni di morti l’anno per effetto dei combustibili solidi, come il carbone e le biomasse, che contribuiscono a patologie cardiovascolari e respiratorie attribuibili all’inquinamento di origine domestica. L’uso delle biomasse – che in Italia incide molto sull’emissione di pm10 a livello regionale e nazionale – preoccupa anche per i metodi non sostenibili con cui viene ricavato il combustible, anche se a livello urbano il traffico resta il settore più impattante, secondo i dati del progetto europeo Testing and development of air quality mitigation measures in Southern Europe. In particolare in Francia, Italia, Germania e Regno Unito, tra i maggiori responsabili dei decessi precoci ci sarebbe l’elevato numero di veicoli diesel, in percentuali variabili tra il 30 e il 70% dei veicoli circolanti in questi Paesi.

Oltre al danno economico e alla salute dei suoi cittadini, l’Italia continua a esporsi alle multe da parte dell’Unione europea per l’infrazione dei limiti in tema di qualità dell’aria, con 54 città che nel 2019 hanno superato il parametro massimo stabilito per le polveri sottili pm10 o per l’ozono, fissato rispettivamente in 35 e 25 giorni nel corso dell’anno solare. Tra queste, Torino ha raggiunto le 147 giornate fuorilegge, seguita da Lodi e Pavia. Hanno registrato oltre 100 giorni di superamento dei limiti giornalieri 19 città, mentre 14  hanno oltrepassato i 50 giorni complessivi. Le prime 25 posizioni sono tutte occupate da città del bacino padano, area che è stata interessata dagli Accordi di Programma per il miglioramento della qualità dell’aria sottoscritti dal ministero dell’Ambiente e da diverse Regioni, quelle della Pianura Padana in testa. Altre Regioni hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa che istituisce un piano d’azione per il miglioramento della qualità dell’aria. Questi accordi, però, secondo Legambiente, pur rappresentando un passo avanti verso l’uniformità nazionale di azioni e misure, propongono soluzioni poco efficaci, sia per la difficoltà di verificare e controllare i divieti e il rispetto dei limiti imposti, sia perché tralasciano settori importanti su cui è necessario intervenire. Tra i principali aspetti problematici individuati dall’associazione ambientalista ci sono le misure relative al traffico – puramente emergenziali, oltre che difficili da verificare e indebolite da troppe deroghe –, le misure inerenti il riscaldamento domestico e l’uso delle biomasse e l’assenza di misure rispetto ad altri settori strategici responsabili di emissioni, come industrie, agricoltura e aree portuali.

Le morti premature possono essere evitate solo se si eliminano i fattori che le provocano. Quelli all’origine delle morti da inquinamento non si cancellano da un giorno all’altro: bisogna pianificare una strategia di lungo periodo, coerente e capillare, che prenda misure anche impopolari al momento, ma indispensabili a fermare i decessi e proteggere l’aria che tutti noi respiriamo. Quella dell’inquinamento e delle patologie che provoca non è un’emergenza momentanea da risolvere con iniziative una tantum, ma una situazione strutturale che pesa tanto sul nostro presente quanto sul nostro futuro. La transizione energetica non può più aspettare, che sia in cucina, in garage o nelle grandi industrie: la nostra salute non è importante solo quando si parla di Coronavirus.

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