Da più di un mese siamo in lockdown per contenere l’epidemia di COVID-19. Abbiamo in questi giorni spesso sentito ripetere l’idea che questa seppur tragica esperienza possa essere vissuta come un’opportunità per modificare la società, ed evitare così il ritorno alla normalità precedente. La normalità, come bene scrive Jane Fonda da attivista ambientale in un post sul suo account Instagram, “ha fatto sì che i ghiacci dell’Artico si sciogliessero, ha fatto alzare la temperatura degli oceani; è stata causa di eventi meteorologici estremi, e dell’estinzione di miliardi di creature viventi; governi e banche continuano a sovvenzionare l’industria dei combustibili fossili nonostante sia alla base della maggior parte delle emergenze climatiche”. La normalità, continua Fonda, ha fatto sì che le persone più povere fossero tra le più vulnerabili, sia alle catastrofi ambientali che alle crisi sanitarie. La normalità cui aspiriamo a tornare ha messo a rischio la vita delle future generazioni. Grazie a questa pandemia abbiamo tempo di riflettere su come riorganizzare il mondo e la società.
Se da un lato le misure di sicurezza prese per far fronte alla situazione hanno ridotto le emissioni, dall’altro gli esperti ci informano che queste restrizioni tanto severe, che hanno alterato completamente la nostra vita, sono abbastanza per risolvere la situazione allarmante in cui si trova il pianeta. Oliver Milman scrive sul Guardian a proposito dei lati inaspettati e indiretti della pandemia: le acque di Venezia in questi giorni appaiono pulite e limpide; gruppi di leoni vagano sulle strade di solito frequentate dai safaristi in Sud Africa; orsi e coioti occupano delle strutture turistiche vuote nello Yosemite, in California. Ma non solo, a livello globale, otto voli su dieci sono stati cancellati, e negli Stati Uniti la maggior parte degli aerei viaggia con pochissimi passeggeri a bordo; l’industria petrolchimica, inoltre, sta attraversando una fase tragica con un barile di crudo che per alcuni giorni ha raggiunto un prezzo negativo: un cosa mai vista. Sebbene quindi la situazione ambientale sembri migliorare, anche se nella più tragica e inaspettata delle modalità possibili, ci si deve rendere conto della proporzione dei cambiamenti che dobbiamo apportare alle nostre vite e alla società, perché, per esempio, per quanto riguarda le emissioni, sebbene siano diminuite, non sono nemmeno scese al livello annuale che gli scienziati dicono essere fondamentale per evitare un futuro impatto climatico disastroso.
Mai come oggi le parole di David Orr, professore e ambientalista americano, risuonano come la via da percorrere. Nel suo libro Educating our Children for a Sustainable World, Orr scrive una delle sue frasi più note: “Il fatto è che il pianeta non ha bisogno di altre persone di successo. Ha invece un disperato bisogno di più pacificatori, guaritori, restauratori, narratori e amanti di qualsiasi tipo. Ha bisogno di persone che stiano bene dove stanno. Ha bisogno di gente moralmente coraggiosa disposta a unirsi alla lotta per rendere il mondo un posto abitabile e umano. E queste qualità hanno poco a che fare con il successo per come lo abbiamo definito”. Come scrive Orr, il paradigma del successo deve essere rovesciato. I cambiamenti che dobbiamo apportare su noi stessi per far sì che vengano messi in atto anche dall’intera struttura della società sono modifiche radicali, che devono andare a intaccare e mettere in dubbio quello che siamo stati sino ad oggi, il nostro modo di pensare la vita e il nostro approccio verso il mondo: dobbiamo costruire un nuovo tipo di mentalità.
Alexander Laszlo, ricercatore nell’ambito dei sistemi policulturali, nel suo articolo “Redefining Success: Designing Systematic Sustainable Practices” spiega che il successo è oggi descritto in termini competitivi ed egocentrici e viene calcolato secondo standard che misurano l’accumulazione della ricchezza personale. Questa definizione è centrale nell’attuale evoluzione sociale dell’umanità, che anche secondo Laszlo risulta insostenibile e inadeguata. Ma nessuno, oggi, viene percepito come una persona di successo solo ed esclusivamente perché vive la sua vita in totale armonia con l’ambiente, o perché mette il bene comune e della natura davanti al resto: eppure questa è la cosa più importante che chiunque possa fare. Chi preferisce per sé una vita semplice, legata ai ritmi reali del territorio e delle stagioni più che connessa alla frenesia della modernità, è percepito come un rinunciatario, come un perdente, proprio perché nella sua scala di valori l’accumulazione della ricchezza, la fama e il potere vengono probabilmente dopo altri aspetti fondamentali, come il rispetto antispecista di tutti gli esseri viventi, la cura degli affetti e dell’ambiente, il riguardo verso tempi più lenti e più “umani”.
È chiaro quindi che ciò che deve cambiare sono le priorità: la nostra priorità assoluta dovrebbe essere diminuire al minimo l’impatto ambientale della nostra vita sul pianeta, ristabilire un equilibrio tra la popolazione umana e la natura, investire le nostre risorse nel creare una società più equilibrata sia dal punto di vista sociale che ambientale. Rinunciare all’idea di successo così come questo ancora viene inteso oggi è un salto mentale difficile da fare perché non siamo stati educati a questo. Più la situazione ambientale deteriora, più ci rendiamo conto che sono anche le azioni che apparentemente ci sembrano irrisorie a fare la differenza. Chiedersi, ogni qualvolta si ha un’iniziativa, quale sia il suo impatto sull’ambiente e adattarla, modificarla proprio secondo questo, diventa un gesto piccolo ma fondamentale per imparare a ragionare in maniera responsabile. Sono note quasi a tutti le liste di azioni quotidiane che possiamo già da ora integrare nella nostra vita per renderla più ecosostenibile. In cima a tutte queste sta il consumo di carne: diminuirla o evitare del tutto le proteine di origine animali è la prima scelta da fare in questa direzione, giacché come scrive anche Jonathan Safran Foer nel suo ultimo libro Possiamo cambiare il mondo prima di cena. Perché il clima siamo noi: “Cambiare il nostro modo di mangiare non sarà sufficiente di per sé a salvare il pianeta, ma non possiamo salvare il pianeta senza cambiare il nostro modo di mangiare”.
Dobbiamo imparare a consumare di meno, a viaggiare di meno, a fare meno figli, a usare meno plastica. Dobbiamo chiederci quanta energia consumiamo e da dove proviene, ed essere coscienti dei danni che la sua produzione crea al pianeta. Dobbiamo imparare a farci tante domande e a non avere paura delle risposte che ne seguono. Il salto mentale che si deve fare è quello che ci permetterà di vedere tutto il pianeta, e tutti gli esseri viventi che lo popolano, inclusi noi stessi, come parte di uno stesso sistema: siamo, volenti o nolenti, tutti interconnessi. Tutti possiamo diventare “persone coraggiose disposte a unirsi alla lotta per rendere abitabile il mondo”, come dice David Orr.