Milano è la città simbolo del progresso italiano, il solo capoluogo che riesce a competere nelle classifiche mondiali con le capitali europee, l’orgoglio del Nord Italia e l’eterno termine di paragone per molte città del Centro e del Sud. Visto che abbiamo appena passato il Natale, l’esempio sorge spontaneo: è un po’ come quel cugino che sembra avere molto successo nella vita e che spinge tutti i parenti a fare battute sul fatto che lui sì, che è bello e bravo, mentre voi arrancate tra rifiuti, squallore urbano e mal governo. Non è un caso poi se risulta antipatico. Proprio in corrispondenza delle feste è arrivata anche l’annuale classifica del Sole24Ore a ricordare a tutti i commensali che Milano è la città più vivibile d’Italia. Peccato che nell’isola felice della buona politica non si respiri da più di due settimane.
Da quando è iniziato il 2020, l’anno dell’attesa svolta ecologica mondiale, il capoluogo lombardo ha superato costantemente i livelli di allerta per le polveri sottili, fissato a 50 microgrammi per metro cubo su base giornaliera per i Pm10 e a 25 microgrammi per metro cubo di media annuale per i Pm2.5. Come si legge in un rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità, il particolato atmosferico – noto appunto con la sigla di Pm – è una miscela complessa, fatta di particelle solide e liquide di sostanze organiche e inorganiche, che sono sospese nell’aria. Queste particelle sono il risultato di processi naturali (come l’erosione del suolo, gli incendi boschivi o le eruzioni vulcaniche) ma anche e soprattutto di attività umane, principalmente la combustione a scopo di produzione energetica e l’usura di pneumatici e freni. Le particelle fini rimangono a lungo nell’atmosfera e possono essere trasportate anche a grande distanza dal luogo in cui vengono emesse.
La loro pericolosità per la salute umana è dettata dalla loro composizione e dal fatto che possono veicolare sulla loro superficie altri inquinanti ancor più pericolosi, come i metalli pesanti. Ma l’insidia più grande risiede paradossalmente nelle loro piccole dimensioni: più queste sono ridotte, più il particolato è dannoso in quanto penetra in profondità nel nostro organismo. Mentre infatti i Pm10, ovvero le particelle con un diametro inferiore ai 10 micrometri, si fermano nelle mucose e possono causare irritazioni, allergie e bronchiti, i Pm2.5 – che arrivano anche a misurare meno di 0,1 micrometri in diametro – vengono assorbiti dagli alveoli polmonari e potenzialmente dal sangue e sono quindi strettamente correlati all’insorgenza di tumori e patologie cardiovascolari oltre che respiratorie. Nel 2013 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato il particolato come cancerogeno di classe 1, appurandone quindi il legame con il cancro. Le Pm2.5, le più pericolose, rappresentano in Europa il 50-70% delle polveri sottili.
La stazione di rilevamento di via Senato, in pieno centro a Milano – peraltro all’interno di Area C, dunque una zona in cui il traffico subisce già limitazioni strutturali – ha registrato nelle prime due settimane del 2020 livelli di Pm10 che oscillano tra i 46 e i 79 (limite fissato a 50μg) e valori di Pm2.5 tra i 102 e i 159 (limite medio annuo di 25μg) A dicembre 2019 la situazione non era molto diversa, con il risultato che in decine di giorni a cavallo tra i due anni abbiamo superato i livelli di allarme, e di molto. Un progetto di monitoraggio quotidiano della qualità dell’aria di Milano, coordinato dall’Università Bocconi, utilizza l’Air quality index, un sistema che prende in considerazione non solo i particular matters, ma anche i livelli di monossido di carbonio, anidride solforosa, diossido di azoto e ozono presenti nell’aria – tutte sostanze pericolose che risultano principalmente dalla combustione. Il sistema è riconosciuto a livello internazionale e utilizza una scala da 0 a 500, con varie fasce di valutazione che vanno da “Buona (qualità)” a “Rischioso (uscire)”. Ebbene, questo indice nelle ultime settimane si è praticamente sempre attestato nelle categorie che vanno da 101 a 150 (per cui respirare all’aperto è considerato “Insalubre per alcuni gruppi sensibili”) e quella che va da 151 a 200 (per cui la qualità dell’aria è valutata “Insalubre” anche per le persone in salute). Nel primo caso gli esperti raccomandano di ridurre le attività all’aperto, ed evitarle in toto se si appartiene a un gruppo vulnerabile come anziani, bambini o donne in stato di gravidanza; nel secondo caso, invece, tutti dovremmo prediligere le attività al chiuso, aprire le finestre il meno possibile ed eventualmente utilizzare purificatori dell’aria – spesso nelle case si accumulano elevate quantità di polveri sottili – e mascherine.
La maggior parte delle polveri sottili nell’area urbana e suburbana di Milano non è generato dai trasporti, ma dalle stufe a pellet o legna, che rappresentano il 45% delle fonti di provenienza del particolato. I fumi dei motori diesel generano invece il 14% delle polveri inquinanti, mentre il 13% è prodotto dallo sfregamento delle gomme sull’asfalto e dalle pastiglie dei freni. Il riscaldamento delle case è dunque tra i principali responsabili dell’inquinamento, specialmente quando è centralizzato, un sistema che surriscalda gli appartamenti molto di più del necessario e spesso accende i termosifoni anche quando non è assolutamente necessario perché il freddo tarda ad arrivare. Proprio per questo è importante che i cittadini ricevano la giusta informazione e siano sufficientemente consapevoli, in modo da attuare in prima persona comportamenti virtuosi che possano aiutare a superare i momenti di peggiore crisi – come ridurre al minimo l’uso dei riscaldamenti e spingere per rendere il proprio condominio più efficiente a livello energetico, approfittando anche degli sgravi fiscali.
In ragione dell’emergenza smog, in questi giorni è stato vietato a Milano l’utilizzo dei vecchi generatori di calore domestici alimentati a biomassa legnosa, ovvero stufe e stufette. Una misura che si va a sommare al classico stop ai veicoli inquinanti e che si è resa necessaria in un momento di bassa pressione, con pochi venti e precipitazioni scarse, ma che, secondo la direttrice dell’Istituto sull’Inquinamento atmosferico del Cnr, Cinzia Perrino, ha un impatto relativamente basso. “Sono 20-30 anni che ci rifugiamo in misure come queste e poco viene fatto per soluzioni che incidano in maniera sensata e a lungo termine,” ha spiegato a Repubblica. “Metti tanti fumatori in una stanza chiusa e chiedi ad un paio di smettere di fumare. Forse ci sarà un po’ meno fumo, ma finché non verrà aperta la finestra le cose cambieranno pochissimo”.
Le misure più concrete vengono rimandate, forse perché le peggiori conseguenze di questo tipo di inquinamento non sono così percepibili nell’immediato – se non per l’aria puzzolente e la cappa di smog che creano. Sono però una realtà che affligge la popolazione, specialmente i più deboli. Non è un caso se la città in cui si registrano livelli di concentrazione di Pm10 tra i peggiori del Paese, sia anche quella in cui avviene il più alto numero di decessi correlati all’inquinamento. Secondo uno studio realizzato su scala mondiale dall’International Council on Clean Transportation, infatti, il capoluogo lombardo è il centro urbano in cui, in proporzione al numero di abitanti, si registra il più alto numero di morti premature correlabili all’esposizione al particolato atmosferico generato dai trasporti. Senza tenere il considerazione la popolazione, e dunque in termini assoluti, Milano risulta comunque al 22esimo posto nel mondo, seguito in Italia da Torino, al 75esimo. Un triste primato che non trova spazio tra le notizie positive su Milano e la sua tendenza all’innovazione e al progresso.
Mettiamolo in chiaro: non è solo Milano a essere inquinata e le misure per contrastare le peggiori conseguenze dell’inquinamento sono necessarie in questa città come altrove. In questi giorni invernali anche Roma e Torino hanno raggiunto livelli di inquinamento considerati a rischio, nonostante si trovino in una posizione geografica più favorevole. Se guardiamo al resto del mondo, ci sono centri urbani e rurali in cui i livelli di inquinamento dell’aria sono anche peggiori e le misure di contrasto inesistenti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 92% delle persone nel mondo vive in luoghi dove la qualità dell’aria non è salutare, e circa 3 milioni di persone muoiono ogni anno per questo motivo. L’Italia è prima in Europa per il numero di morti da polveri sottili, e c’è anche da dire che rispetto ad altri Comuni quello di Milano negli ultimi anni ha messo in atto misure importanti. Un esempio è AreaB – che ora rischia però di essere vanificata dalle deroghe per i veicoli altamente inquinanti – oppure l’acquisto di autobus elettrici. Ma c’è ancora molto da fare.
Quello che stona, quando si tratta di Milano, è la narrazione continua e forzata di una città che deve per forza essere raccontata in termini positivi, le cui (forti) criticità possono e devono essere sistematicamente tralasciate, e non solo dal punto di vista ambientale. A chi importa se il rischio esclusione sociale è altissimo, dal momento che possiamo vantare lo skyline più moderno d’Italia? Se gli stipendi sono rimasti fermi – come nel resto d’Italia – mentre i prezzi sono lievitati per raggiungere le altre città europee? Cosa ci interessa dei poveri in aumento, se i ricchi vivono “nella città più vivibile del Paese”? Lo stesso vale per la regione circostante, deturpata negli anni dall’industria e dal cemento, ma ignorata negli elenchi sui territori distrutti dalle attività umane – perché in fondo, a chi importa se la pianura Padana sparisce, fagocitata dal calcestruzzo e dalle autostrade inutili e costose se è la regione più produttiva d’Europa? In questi giorni di condizioni meteo sfavorevoli si sono riscontrati valori di gran lunga oltre la soglia anche a Monza, Como, Cantù, Erba e nel varesotto, ma non è rilevante perché sono tutti luoghi di cui si fa particolarmente fatica a parlare se non in termini di produttività. Come se gli abitanti di Monza non avessero diritto a un’aria pulita o quelli della Lombardia non inalassero le tossine generate da decine di roghi abusivi di rifiuti che avvengono nelle sue periferie, le stesse che respirano gli abitanti della terra dei fuochi nel casertano.
È vero che Milano ha fatto più di altre città per la questione ambientale, e questo è un dato di fatto. Ma è un fatto anche che può e deve fare ancora molto per migliorare la qualità della sua aria. L’immagine che ne vogliamo a tutti i costi proporre, di città perfetta, esempio e modello per il resto della Penisola, non è necessariamente positiva per i cittadini. Far passare l’idea che vada tutto bene significa non trasmettere alle persone l’urgenza che la questione ambientale merita, la stessa che le dovrebbe spingere a richiedere misure concrete alla politica, e a mettere in pratica in prima persona piccole azioni quotidiane per ridurre l’inquinamento e il riscaldamento globale. Se Milano vuole guidare il Paese verso la sostenibilità deve lasciare da parte questa narrazione patinata, dimenticando il facile confronto con il resto del Paese e guardando davvero alle città più virtuose del mondo, a cui ambisce di somigliare.