800 km all’ora, 16 litri di kerosene e 2,8 tonnellate di anidride carbonica sono, nell’ordine, la velocità raggiungibile dal jet Dassault Falcon 2000LX, la quantità di carburante consumata dal jet al minuto e, infine, la quantità di CO2 emessa nel tragitto Bologna/Taranto. Quest’ultima cifra riguarda in particolar modo l’imprenditore e influencer bolognese Gianluca Vacchi, che lo scorso 2 agosto, in occasione dell’inaugurazione di un nuovo punto della sua catena di kebab, ha ben pensato di cogliere l’occasione per una toccata e fuga di 24 ore a Taranto. Quanto a voli privati non necessari, d’altronde, quest’estate Vacchi si trovava in buona compagnia. Sarebbero state, per esempio, 14,5 le tonnellate di anidride carbonica prodotte da Sfera Ebbasta nel corso dei vari spostamenti del suo tour estivo; 13,7 quelle emesse da un jet con a bordo Flavio Briatore nella tratta Olbia-Mykonos; o, ancora, 6,6 quelle prodotte da Andrea Bocelli per spostarsi da Pisa a Pompei e ritorno. Ma l’elenco potrebbe continuare.
I dati riportati sono tratti dall’account Instagram Jet dei ricchi, impegnato da giugno a calcolare l’impatto ambientale degli aerei privati di alcune delle persone più ricche del Paese. Come spiegano gli admin, per stimare le emissioni dei vari jet la pagina si avvale del tracker OpenSkyNetwork, associazione no profit che si occupa di raccogliere e analizzare i dati relativi al traffico aereo di tutto il mondo. La quantità di carburante consumato al minuto viene comunicata da ogni ditta costruttrice dei velivoli, mentre la stima della CO2 rilasciata nell’atmosfera è possibile a partire dal cosiddetto “fattore di emissione” – la quantità di CO2 emessa dal mezzo bruciando una determinata quantità di carburante al minuto – che secondo l’Agenzia francese per la transizione ecologica (ADEME) corrisponde a circa 3,6 kg. Conoscendo la durata del volo, è così possibile ottenere il valore approssimativo dell’impronta ecologica di ogni tratta.
Quando, lo scorso agosto, i partiti Europa Verde e Sinistra Italiana hanno rilanciato la campagna dei Verdi europei per l’abolizione dei jet privati – un’iniziativa presente anche nell’agenda climatica del movimento Fridays for Future e nel programma elettorale di Unione Popolare – in pochi, fra economisti, media e politici italiani, ne hanno effettivamente compreso l’importanza. “Risultano 133 jet privati registrati fiscalmente in Italia. Sicuramente abolendoli si risolve il problema dell’ambiente nel mondo”, ha risposto, per esempio, il deputato di Italia Viva Luigi Marattin, ironizzando sulla presunta inutilità della proposta. Il dato è corretto, se non fosse per il fatto che buona parte degli aerei privati utilizzati dai super-ricchi italiani sono “registrati fiscalmente” in altri Paesi, dove la tassazione è più conveniente, come Malta, Svizzera, San Marino o Lussemburgo. Soprattutto, però, ciò che Marattin dimentica di specificare è che a incidere sulle emissioni non è tanto il numero di jet immatricolati in uno Stato, quanto piuttosto quello dei voli brevi effettuati, a prescindere dal luogo in cui il proprietario del mezzo paga le tasse. E nel mese di agosto 2022 l’Italia occupava, a questo proposito, il secondo posto assoluto in Europa, con oltre 5.600 partenze registrate dal Paese. Difficile immaginare che gli aerei coinvolti siano stati poco più di un centinaio, come invece sostiene il rappresentante di Italia Viva.
Un’idea più precisa dell’impatto ambientale degli aerei privati si ottiene confrontando la quantità di gas serra emessa da un jet con quella derivante dagli spostamenti di una persona comune. Il paragone non regge, come nota il leader di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni: “Il singolo volo di un jet privato della durata di poche ore inquina quanto tutti gli spostamenti di quattro persone in un anno”. Questa volta, i conti tornano: al netto della variabilità individuale – a sua volta legata a fattori che spesso la persona non può controllare, come la disponibilità di trasporti pubblici nella propria regione – per spostarsi un cittadino o una cittadina europea emette infatti circa 2,6 tonnellate di CO2 all’anno, compreso l’eventuale impiego di aerei di linea, il cui impatto pro capite rimane comunque fra le cinque e le quattordici volte inferiore rispetto a quello legato all’utilizzo di un mezzo privato. In un’ora, un jet ne produce mediamente due. Sono quindi sufficienti cinque ore di volo da parte del Briatore di turno, perché l’equivalenza di Fratoianni acquisti un senso.
Al di là di chi, come Marattin, ritiene che azzerare l’impatto ecologico dei jet non inciderebbe sulla riduzione delle emissioni globali – convinzione che è stata scientificamente smentita anche da uno studio del 2020, il quale ha dimostrato che i voli privati sono responsabili di circa il 4% delle emissioni complessivamente prodotte dal traffico aereo –, parte delle critiche rivolte all’iniziativa ha riguardato la presunta volontà da parte della sinistra progressista di limitare la libertà di chi, potendo disporre di un’enorme quantità di denaro, dovrebbe avere il diritto di spenderlo come desidera, senza doversi preoccupare dell’ingerenza dello Stato sulla scelta dei propri mezzi di trasporto. C’è poi chi, come il leader di Italia Viva Matteo Renzi, ritiene che la proposta costituisca “un’idiozia, l’inizio di una svolta filo sovietica per abolire la proprietà privata”, o chi, come il presidente della regione Liguria Giovanni Toti, ha invece esplicitamente parlato di “invidia sociale che diventa proposta politica” – come se fosse l’invidia, e non il desiderio di sopravvivere, l’impulso alla base dell’iniziativa.
Nessuna di queste persone sembra, insomma, aver compreso che la richiesta di abolire – o perlomeno regolamentare in modo molto più stringente – i jet privati rappresenta una necessità, e che l’erogazione di un “bonus trasporti” come incentivo per convincere la popolazione a preferire i mezzi pubblici, seppur apprezzata da studenti e pendolari, continua a ignorare il fulcro del problema, ovvero che i ricchi inquinano molto, molto più di chi, tutti i giorni, prende la metropolitana per andare al lavoro. Secondo l’Oxfam, non solo il 10% più ricco del pianeta produce oltre la metà delle emissioni globali ma, nel giro di dieci anni, l’impronta ecologica dell’1% più ricco della popolazione sarà pari al 16% delle emissioni complessive. Più che la libertà, la questione riguarda quindi la gestione della proprietà: fino a che punto possiamo permettere che, in nome della libertà, lo stile di vita di qualche celebrità o imprenditore miliardario costituisca un pericolo per la salute – e per la vita – di tutti gli altri?
Che l’abbattimento delle emissioni prodotte dai jet rappresenti una questione urgente l’ha capito persino uno dei massimi esponenti del liberalismo europeo, il presidente francese Macron. Poco più di un anno fa, infatti, la Francia aveva già vietato l’utilizzo dell’aereo per tragitti percorribili in meno di due ore e mezza, invitando la popolazione a sostituirli con il treno, di circa cinquanta volte meno inquinante. Lo scorso agosto, il ministro dei Trasporti francese, Clément Beaune, ha invece constatato come “alcuni comportamenti”, come il ricorso ai jet privati da parte di alcuni miliardari francesi per compiere tratte ridicole, fossero “ormai inaccettabili”. L’idea di Beaune di regolamentare l’utilizzo dei jet si scontra con quella del partito dei Verdi, che propongono invece di abolirli del tutto: ciononostante, il dibattito francese rimane anni luce avanti rispetto a quello italiano, dove come abbiamo visto in molti casi l’iniziativa non viene nemmeno presa sul serio.
Al di là di chi difende i jet perché ne possiede uno, colpisce però la quantità di persone disposte a scagliarsi contro la proposta di Fratoianni a discapito dei propri stessi interessi, dal momento che la crisi climatica investe anche loro. Il ragionamento di Renzi, Marattin e chiunque concordi con questi, per cui l’abolizione dei jet privati aprirebbe la strada verso l’eliminazione della proprietà privata, riflette la cosiddetta “fallacia del pendio scivoloso”, un bias cognitivo per cui il verificarsi di una data premessa, apparentemente “innocua”, innescherebbe automaticamente una serie di conseguenze a cascata che culminerebbero, a loro volta, in una conclusione drammatica (anche qui da capire se sia più drammatica l’emergenza climatica o l’eliminazione della proprietà privata, che peraltro non ha da sempre caratterizzato la vita umana). A ciò si aggiunge una convinzione ancora più profonda, figlia dell’ideologia neoliberista, per cui il successo economico – in questo caso rappresentato dal jet – può anche apparire distante ma, poiché viviamo in una società meritocratica, continuare ad aspirarvi e impegnarsi per raggiungerlo è quasi obbligatorio, pena lo stigma della resa e un senso di fallimento deleterio per la nostra salute mentale. Da questa prospettiva, prendere le parti dei più ricchi significa, in fondo, proteggere una potenziale immagine di sé nel futuro: peccato che sia una bugia e, così facendo, non facciamo altro che pregiudicare il nostro benessere e quello degli altri nel presente.
Marattin ha ragione: eliminare i jet non basterà a risolvere l’emergenza climatica, ma se applicassimo lo stesso ragionamento a ogni nostro comportamento faremmo prima ad aspettare, fermi, che il livello del mare superi quello delle città in cui viviamo. Le emissioni, d’altronde, non sono tutte uguali: riprendendo il professor Henry Shue, filosofo e docente di politica e relazioni internazionali presso l’Università di Oxford, esistono infatti le emissioni “di sussistenza”, legate cioè al soddisfacimento dei bisogni di base, e quelle “di lusso”. Ma in un momento storico in cui si impone di abbassare il riscaldamento per inquinare di meno, utilizzare un jet per spostarsi fra il centro e il sud del Paese non è solo fonte di emissioni di lusso: assomiglia molto a una presa in giro. Abolirne l’utilizzo, quindi, non è solo una questione di giustizia climatica: lo è anche di giustizia sociale.