Mancano ancora diverse settimane alla fine del 2019, ma abbiamo già consumato più risorse naturali di quelle che avevamo a disposizione per tutto l’anno. Non da qualche giorno, bensì da mesi. L’Earth Overshoot Day è una ricorrenza annuale calcolata dal Global Footprint Network e segna il giorno in cui la domanda di risorse naturali supera la capacità del Pianeta di rigenerarle, costringendo così ad attingere alle riserve, sempre più scarse anno dopo anno.
Quest’anno l’Earth Overshoot Day è caduto il 29 luglio. Ci sono voluti meno di sette mesi per bruciare le risorse naturali che la popolazione globale avrebbe dovuto consumare in dodici. La cattiva notizia è che questa data continua a essere anticipata: nel 2010 era l’8 agosto, nel 2000 il 23 settembre, nel 1995 il 5 ottobre, mentre nel 1970 addirittura il 29 dicembre. La situazione a livello globale è critica e non accenna a migliorare. Eppure ancora oggi ci sono dei casi positivi, Paesi che per quanto non riescano a rispettare la conclusione dell’anno per il consumo della totalità delle risorse a loro disposizione si avvicinano a questo obiettivo. Un esempio è quello di Cuba, per cui il “giorno del sorpasso” nazionale avverrà il primo dicembre. O del Marocco, che consumerà le sue risorse annuali il 16 dicembre. Il primato spetta al Niger, dove la ricorrenza dell’Overshoot Day coinciderà con il giorno di Natale.
Se ci sono Paesi che si avvicinano ai termini di preservazione delle risorse nazionali disponibili, come mai allora l’Earth Overshoot Day del 2019 è caduto a fine luglio? La data è una media globale, abbassata dai Paesi meno virtuosi. Come l’Italia: il nostro giorno del sorpasso quest’anno è stato il 15 maggio, due mesi e mezzo prima di quello globale. Questo significa che abbiamo esaurito le risorse a nostra disposizione, o meglio quelle in grado di rigenerarsi nel corso dell’anno, ancora prima del giro di boa semestrale. L’Italia è un modello negativo, al pari dei suoi partner europei. L’Overshoot Day medio dell’Unione Europea è stato il 10 maggio, con Paesi come Germania, Olanda, Svezia o Danimarca che hanno esaurito le risorse nazionali a disposizione addirittura prima di noi, che comunque facciamo peggio di Spagna, Grecia e Portogallo.
Se si confronta il livello di sovrasfruttamento delle risorse nazionali, l’Italia è il Paese che fa peggio a livello mondiale dopo il Giappone. Quest’ultimo avrebbe bisogno di 7,7 Stati uguali per fare fronte alla domanda annuale nazionale di risorse, mentre l’Italia si trova al secondo posto con 4,7. L’area necessaria per provvedere a ciò che ogni italiano in media consuma è di 4,4 ettari globali (unità di misura dell’impronta ecologica), ma la biocapacità italiana, cioè l’area biologicamente attiva, è di 0,9 ettari globali. L’Italia vive con un deficit di 3,5 ettari globali per abitante.
Sono tanti i punti critici a livello nazionale, ma a incidere maggiormente in questo senso sono i trasporti e la produzione di cibo. Gli italiani sono un popolo che spreca ancora troppo a livello alimentare. Come denuncia Coldiretti, gli sprechi domestici alimentari rappresentano il 54% del totale, per un totale di 16 tonnellate di cibo che finiscono ogni anno nella spazzatura. Ogni italiano spreca in media 36 chili di cibo l’anno, soprattutto in estate quando la conservazione è più difficile. L’Osservatorio Waste Watcher ha alzato queste stime, tenendo conto anche degli sprechi nel sistema della distribuzione: ogni anno lo spreco alimentare pro capite ammonta a 196 euro, per un totale a livello nazionale di 220mila tonnellate di cibo buttato. In termini economici, quello che gettiamo vale ogni anno più di 15 miliardi di euro, lo 0,88% del Pil. Se parte di questo cibo venisse consumato, l’industria alimentare potrebbe lavorare a ritmi meno serrati, preservando parte delle risorse.
Vale un discorso simile per la raccolta differenziata della plastica. I contenitori che gettiamo hanno ancora un’utilità e riciclarli permette di non produrre quegli stessi imballaggi da zero. Nel caso del riciclo della plastica, però, il sistema italiano presenta ancora diverse criticità. Solo il 41% del materiale raccolto viene effettivamente riciclato, mentre il resto finisce stipato in capannoni o smaltito negli inceneritori a causa dell’assenza di una domanda di prodotti rigenerati che utilizzi questi materiali. Riciclare è allora solo una promessa di intenti in Italia e molta della plastica che potrebbe essere riutilizzata non entra nella filiera, costringendo l’industria a produrre da zero. Spesso il riciclo viene disegnato come la soluzione di tutte le criticità, ma se da una parte i cittadini riempiono i loro sacchi dell’umido di cibo ancora commestibile e allo stesso tempo le tonnellate di plastica raccolte finiscono perlopiù sprecate, la raccolta differenziata perde gran parte del suo potenziale.
Le problematiche a livello nazionale, soprattutto per quanto riguarda il consumo delle risorse da parte dei singoli cittadini, vanno comunque oltre la sfera alimentare e dei rifiuti. A metà novembre uno studio pubblicato su The Lancet ha sottolineato un nostro primato negativo: siamo il primo Paese in Europa per morti premature correlate all’esposizione alle polveri sottili Pm 2.5 e undicesimi a livello globale. Un recente studio dell’Organizzazione mondiale della sanità parlava addirittura di nono posto globale, prendendo in considerazione anche altre tipologie di polveri sottili. A contribuire a questi dati sono certamente le industrie del Paese, ma hanno un peso di rilievo anche i veicoli circolanti. In Italia ci sono 39 milioni di automobili, con una media di 65 mezzi ogni 100 abitanti, utilizzati per circa il 70% degli spostamenti, percentuale del 10% superiore alla già alta media europea. I tre quarti di questi spostamenti sono inferiori ai 10 chilometri, mentre un quarto non arriva a 2. In molti casi, l’utilizzo dell’automobile è il risultato di un’abitudine sociale e non di una reale necessità. Eppure, la mobilità sostenibile non viene presa in considerazione: mentre le automobili in circolazione sono aumentate dell’1,5% rispetto al 2018, tra il 2017 e il 2018 le vendite di biciclette sono calate del 5,5%.
La non sostenibilità delle abitudini di trasporto degli italiani influisce anche sulle risorse naturali del Paese, sia perché l’inquinamento che ne deriva le danneggia sia perché vengono sfruttate oltre misura per mantenere funzionante un sistema obsoleto e dannoso nel suo complesso.
Sono tanti i problemi a livello nazionale, ma la buona notizia è che si sta rafforzando la consapevolezza di quali siano. Non siamo ancora a un punto di non ritorno, a patto di modificare nei limiti del possibile le nostre abitudini quotidiane. L’ecobonus inserito nella Manovra 2020 contiene, per esempio, sostanziosi sgravi fiscali per chi decidesse di intervenire nella ristrutturazione dei propri impianti di riscaldamento. Intanto, il ministero dell’Ambiente collabora con l’Anci per promuovere le buone pratiche a livello comunale, premiando enti pubblici, imprese, scuole e cittadini virtuosi sul tema, come nel caso dell’iniziativa Zero Sprechi. Nelle grandi città, la diffusione di servizi di car sharing elettrico e bike sharing a flusso libero hanno incentivato molte persone a disfarsi delle proprie auto o a limitarne l’utilizzo il più possibile. A livello alimentare si sta invece diffondendo una cultura del riciclo, con pratiche come quelle della doggy bag nei ristoranti e la diffusione di app per vendere a prezzo scontato l’invenduto di fine giornata, come nel caso di Too Good To Go.
Questi e altri piccoli incentivi e pratiche spiegano, per esempio, il dato di Coldiretti per cui il 71% degli italiani ha diminuito o annullato i propri sprechi alimentari nell’ultimo anno. Questo è la prova che cambiare le proprie abitudini è possibile, ma che serve agire in modo collettivo per non rendere i singoli sforzi inutili. Solo così si potrà ritardare gli Overshoot Day dei prossimi anni, con un ritorno al passato dove l’esaurimento annuale delle risorse sia sempre più vicino all’autunno inoltrato o all’inverno, come negli anni Novanta. Non si tratta di un esercizio di stile, ma di una risposta a una ricorrenza tanto triste quanto necessaria, che si è imposta proprio per questo fine: sensibilizzare le persone sull’emergenza ambientale in corso e destinata ad aggravarsi. Bloccare l’avanzata sempre più rapida del “giorno del sorpasso” è un dovere civile per tutti noi, perché se oggi l’esaurimento delle risorse è solo teorico grazie alle scorte di cui disponiamo, presto non ci rimarrà più nulla a cui attingere.