Gli insetti si stanno estinguendo. Se non interveniamo sarà una catastrofe naturale.

Dopo gli appelli (per lo più inascoltati) degli scienziati riguardanti il cambiamento climatico, i ricercatori lanciano un nuovo allarme: gli insetti si stanno estinguendo. La notizia, riportata dal Guardian e rilanciata poi su molti altri media, riguarda un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Biological Conservation. Francisco Sánchez-Bayo e Kris Wyckhuys, i due autori, hanno svolto una review di 73 studi, tutti recenti, riguardanti il declino del numero di insetti nel mondo: negli ultimi 30 anni, la massa totale di questi animali è calata del 2,5% ogni anno. Un decremento molto rapido, tanto che, in assenza di contromisure efficaci, nel giro di un secolo potrebbe tradursi in una vera e propria estinzione di massa.  

Molti di noi reagiranno a questa notizia con un’alzata di spalle: diciamolo pure, gli insetti non fanno parte di quel gruppo di animali teneri e coccolabili che reputiamo meritevoli di protezione, eppure il loro ruolo nell’equilibrio ecologico è fondamentale. Così fondamentale che, nell’eventualità di una loro estinzione, la vita sul nostro pianeta sarebbe compromessa. Nel mondo attualmente esistono circa 900mila specie conosciute di insetti, distribuite in tutti gli ambienti, ad eccezione delle acque marine. Gli insetti non solo costituiscono una parte molto importante delle reti trofiche, ma sono anche responsabili di molti processi che ci riguardano da vicino: l’impollinazione, l’aerazione del suolo, il riciclo dei nutrienti e la fertilizzazione del terreno, tanto per citarne alcuni. 

Una Libellula Migratrice, insetto appartenente all’ordine degli Odonati

Fino a questo momento, la maggior parte degli zoologi aveva concentrato le ricerche sui vertebrati. Nel 2017, uno studio della Stanford University, pubblicato sulla rivista Pnas, affermava che sul nostro pianeta era iniziata la sesta estinzione di massa. L’affermazione si basava sul fatto che il 32% delle specie di vertebrati conosciute stava subendo un lento ma costante decremento. Nessuno, finora, si era concentrato sugli invertebrati. Questa nuova review, invece, mette in evidenza come il gruppo più minacciato sia proprio quello degli insetti, con un tasso di decremento che supera quello dei vertebrati. I gruppi più interessati dal declino sono i Lepidotteri (farfalle e falene), gli Imenotteri (le api, per esempio) e alcuni Coleotteri, in particolare gli scarabei stercorari. E non parliamo solo di specie poco adattabili, ristrette a particolari nicchie ecologiche, come le libellule o i tricotteri, strettamente legati all’ambiente acquatico per la riproduzione: il declino riguarda anche quelle specie più plastiche, che finora sono state in grado di adattarsi ai cambiamenti, come per esempio i bombi, più resistenti ai pesticidi rispetto alle api.

Quali sono le cause di questo declino? Prima di tutto la perdita di habitat: ambienti che un tempo erano colonizzati dagli insetti, ora sono diventati urbanizzati o soggetti a pratiche agricole aggressive. L’uso di pesticidi e fertilizzanti nei campi è infatti una delle cause principali della perdita di biodiversità nell’entomofauna. Altre cause sono da ricercarsi in fattori biologici, quali parassiti o specie di nuova introduzione che entrano in conflitto con quelle autoctone. Infine, anche il cambiamento climatico gioca un ruolo importante, soprattutto nelle zone tropicali. 

La Cetonia Dorata, un coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi

Tra gli studi presi in esame da Wyckhuys e Sánchez-Bayo, ce n’è uno che riguarda proprio un Paese tropicale. I ricercatori hanno raccolto una grande quantità di dati nella foresta pluviale portoricana di Luquillo dal 1976 al 2013, registrando, nell’ultimo periodo, un calo di biomassa di circa sessanta volte rispetto agli anni Settanta. E il calo non riguarda solo insetti e altri artropodi, ma anche vertebrati insettivori come lucertole, uccelli, anfibi, segno di una compromissione della rete trofica. 

Anche in Europa, nonostante gli effetti del cambiamento climatico siano meno marcati rispetto ai Paesi tropicali, non va meglio: uno degli studi citati nella review riguarda la Germania. Qui i dati sono stati raccolti dal 1989 al 2016 in 96 aree protette: i risultati hanno comunque mostrato un declino del 76% nella biomassa degli insetti volanti. Nel Regno Unito le maggiori perdite sono a carico delle farfalle: uno studio del 2015 mostra che il numero di questi insetti nelle campagne è diminuito del 58% tra il 2000 e il 2009, principalmente a causa dell’utilizzo di pesticidi neonicotenoidi, responsabili anche della diminuzione dell’efficacia dell’impollinazione dei bombi e delle api. Un problema, questo, sollevato già da uno studio pubblicato su Nature nel 2015. I ricercatori hanno esaminato il comportamento di alcune colonie di bombi vicino a un frutteto in cui venivano utilizzati pesticidi. Sebbene la dose utilizzata (e legale) non sia direttamente letale per api e bombi, presenta comunque degli effetti a lungo termine. Gli insetti infatti, nel tempo, modificano il loro successo riproduttivo e i metodi di ricerca del cibo, fenomeno strettamente collegato all’impollinazione: le colonie di bombi esaminate, esposte a neonicotinoidi, si avvicinavano meno spesso agli alberi e raccoglievano meno polline.

Il Bombus Latreille, un genere di insetti imenotteri della famiglia Apidae, comunemente noti come bombi

Che la situazione delle api si stia evolvendo in maniera critica i ricercatori l’avevano fatto presente già qualche anno fa: nel 2006, infatti, negli Stati Uniti e in Europa si sono verificati numerosi casi di sindrome da spopolamento degli alveari, cioè la morte improvvisa della maggior parte delle api operaie, con la regina ancora nell’alveare. Le cause sono molteplici: parassiti, virus e, di nuovo, l’utilizzo di pesticidi. Negli ultimi tre anni la situazione si è assestata, le perdite si sono ridotte e molti neonicotinoidi sono stati banditi, almeno in Europa, ma ancora le api non sono del tutto fuori pericolo, anche nel nostro Paese. Secondo Coldiretti, la produzione di miele in Italia si è abbassata negli ultimi due anni in seguito a ripetuti fenomeni meteorologici estremi. Ma qui non si tratta solo di rinunciare a un alimento. Il problema è che le api sono gli insetti impollinatori per eccellenza: su 100 piante utilizzate per la produzione di cibo, infatti, ben 35 sono impollinate dalle api. La perdita anche di una sola specie di impollinatori potrebbe causare gravi ricadute sull’intero ecosistema.  

Una di queste potrebbe essere l’aumento di quelle specie in grado di adattarsi al cambiamento in modo più rapido. “Le specie invasive, con un alto tasso riproduttivo, probabilmente aumenteranno con l’aumento delle temperature, e nello stesso tempo scompariranno molti dei loro nemici naturali, che hanno un tasso riproduttivo inferiore,” ha detto alla Bbc Dave Goulson, professore della University of Sussex. “È possibile che in un futuro non molto lontano avremo invasioni di insetti quali mosche o scarafaggi, che stanno via via sviluppando una resistenza ai pesticidi, ma perderemo le api, le farfalle e gli scarabei che sono fondamentali per l’ecosistema”. Ed è vero che, come si è già verificato durante le precedenti estinzioni sulla Terra, le vecchie specie saranno via via sostituite da nuove, ma ci vorrà davvero molto tempo. “Le più grandi estinzioni del passato hanno dato il via a una grande radiazione adattativa, dove le poche specie superstiti si sono adattate e hanno occupato tutte le nicchie disponibili, dando poi luogo a nuove specie. Nel giro di un milione di anni, senza dubbio ci sarà una grandissima varietà di specie a rimpiazzare quelle che stiamo perdendo ora,” ha aggiunto Goulson.  

La Formicidae Latreille è una vasta famiglia di insetti imenotteri, comunemente conosciuti con il nome di formiche

Sánchez-Bayo, uno degli autori della ricerca, ha detto al Guardian di aver usato, nella review, un linguaggio forte, quasi allarmistico. “Vogliamo che le persone finalmente aprano gli occhi, e l’editore è della stessa opinione. Deve essere motivo di preoccupazione il fatto che quasi l’80% della biomassa di insetti sia scomparsa solo negli ultimi 25-30 anni”. 

Siamo ancora in tempo per fare qualcosa? Nel nostro piccolo sì: ridurre l’uso di pesticidi, preferire frutta e verdura da agricoltura biologica, realizzare, nei giardini, degli spazi insect friendly, sono tutti modi per rallentare questo progressivo declino, mentre i ricercatori continuano a raccogliere dati per avere una visione più chiara del problema: la ricerca attuale, infatti, prende in esame solo alcune zone del pianeta (Europa e Nord America), lasciando invece fuori l’Africa e il Sud America. Non c’è niente da fare: il nostro pianeta, l’ambiente in cui viviamo, sta dando dei segnali che qualcosa non va. Forse è arrivato il momento di ascoltarli. 

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