Il volo nello spazio di Jeff Bezos è stato l’esempio recente più eclatante del delirio di onnipotenza dell’uomo ricco che spende milioni di dollari in un lancio spaziale per poi lavarsi la coscienza con la beneficenza a favore dell’ambiente. Ma è un caso estremo di una realtà stratificata: lo stile di vita con il peggiore impatto ambientale è in media quello maschile e, ovviamente, in cima alla classifica si trova quello dei più ricchi. Se quest’ultima puntualizzazione non sorprende – che i jet privati inquinino più del tram è piuttosto intuitivo –, che in media siano gli uomini i responsabili del maggiore inquinamento atmosferico può non essere altrettanto scontato. A contribuire a questa situazione è una serie di diversi fattori, tra cui un sistema socio-economico che li favorisce e li rende infinitamente fiduciosi nelle possibilità del denaro e del progresso, ma anche una minore sensibilità nei confronti dell’emergenza climatica. Ora a confermarlo è arrivato uno studio pubblicato di recente sul Journal of Industrial Ecology.
La ricerca – realizzata da un team di studiosi svedesi e olandesi e intitolata Shifting expenditure on food, holidays, and furnishings could lower greenhouse gas emissions by almost 40% – indaga in che modo ridistribuire la spesa tra diverse voci di consumo può produrre una riduzione delle emissioni nocive fino al 40% di quelle causate dalle abitudini quotidiane di una persona adulta media. Tra i risultati dello studio è emerso un dato particolarmente interessante: le spese degli uomini provocano il 16% in più di emissioni di gas serra rispetto alle donne, per effetto delle diverse scelte verso cui dedicano il budget a loro disposizione. C’è ovviamente una correlazione tra reddito elevato e impatto ambientale dello stile di vita: i ricercatori hanno stimato che l’aumento della spesa totale di un punto percentuale corrisponde a un aumento delle emissioni tra lo 0,5 e l’1% circa, a seconda della categoria di spesa considerata: il cibo, per esempio, rappresenta la quota maggiore dell’impronta carbonica delle famiglie a basso reddito, mentre i pacchetti vacanze e i viaggi aerei lo sono tra le famiglie delle fasce di reddito più elevate.
Ma anche a parità di salario e conto in banca, il gender gap esiste, tanto più che la ricerca, proprio per evitare la variabile del potere d’acquisto, si è concentrata su parametri – un cambiamento nell’alimentazione o nella tipologia di vacanze – che non richiedono spese extra, come invece implicherebbe comprare un’auto elettrica. Gli scienziati hanno messo in evidenza che andare in vacanza in treno, anziché in aereo o auto, e sostituire la carne e i latticini con prodotti vegetali come legumi e latte d’avena, oltre che scegliere ortaggi prodotti localmente (la lattuga coltivata a livello industriale, per esempio, è 12 volte più inquinante di quella coltivata localmente), porterebbe a un risparmio in emissioni di gas serra vicino al 40%. Proprio in queste decisioni quotidiane emerge il gender gap che, come ha sottolineato Annika Carlsson Kanyama che ha guidato lo studio, ha portato alla luce un pattern di spesa stereotipico: mentre le donne spendono di più per la salute e l’abbigliamento, gli uomini preferiscono pagare il carburante per le auto (escludendo quello per i veicoli da lavoro, come furgoni e taxi) e mangiare fuori.
Nonostante l’enorme peso ecologico della produzione di vestiti, specialmente quelli provenienti dal fast fashion, sono proprio le scelte dietetiche e le modalità con cui avvengono gli spostamenti di medio e lungo raggio – come quelli per le vacanze – i responsabili di oltre la metà di tutte le emissioni individuali, sia per gli uomini che per le donne. E proprio a proposito di questi comparti, già in precedenza degli studi avevano evidenziato che gli uomini spendono di più in energia e mangiano più carne – anche considerando le proporzioni di peso e fabbisogno calorico – rispetto alle donne e questo vale anche nel caso appartengano alla stessa famiglia (per cui non si può motivare lo schema con l’influenza delle abitudini di casa); questo non è dovuto tanto a una reale necessità e, se lo è, si tratta di una necessità imposta da una società in cui, per esempio, la disoccupazione femminile è più elevata, motivo per cui se in casa c’è una sola auto è l’uomo a usarla per andare al lavoro. Ma spesso, più della necessità pesano gli schemi di genere introiettati e continuamente riproposti: anche nel caso di famiglie composte da due lavoratori, un uomo e una donna, dotati di una sola auto, gli studi hanno evidenziato che per le donne è più probabile recarsi a lavoro con i mezzi pubblici. Mettersi al volante, quindi, è una prerogativa maschile; e in generale le emissioni provocate dalle abitudini di trasporto degli uomini sono maggiori, anche per la scelta di acquistare modelli di auto più inquinanti. E, ancora, l’uomo mangia in media più carne, tanto che il fatto stesso di mangiare vegetali, così come le altre azioni individuali positive per l’ambiente, sono etichettate come “da femmine” o “da omosessuali” da parte di una certa mentalità. Si tratta di alcuni dei modi in cui l’eco gender gap si esprime, facendo emergere da un lato una maggiore sensibilità ambientale da parte femminile e dall’altro un più facile accesso da parte maschile ai consumi più inquinanti.
Nonostante l’esistenza di alcune ricerche in proposito, Carlsson Kanyama ne denuncia la marginalità e scarsità, tanto più che le differenze tra i generi in questo caso sono nette ed è improbabile che scompaiano nel prossimo futuro. Anzi, secondo Nadège Lharaig, dell’Ufficio europeo dell’ambiente – che recentemente ha pubblicato un rapporto intitolato Perché il Green Deal europeo ha bisogno dell’ecofemminismo – questo aspetto non è tenuto in considerazione nemmeno dal Green Deal europeo che promuove delle politiche che non solo non tengono in considerazione il genere e la parità, ma potrebbero addirittura ampliare le disuguaglianze.
Se quel 16% di differenza tra uomini e donne nelle emissioni prodotte a livello individuale può sembrare relativamente poco, è il caso di ricredersi. E per varie ragioni: per esempio perché nel mondo le vittime della crisi climatica sono soprattutto le donne, perché è su di loro che nella gran parte dei casi ricade la responsabilità di procurarsi il cibo e l’acqua – messi a rischio dai cambiamenti climatici – e di gestire la casa, colpita dagli eventi climatici estremi, dei quali le donne restano vittima più spesso degli uomini. Inoltre, in caso di episodi meteorologici violenti causati dal climate change, cresce anche il numero di donne abusate e vittime di violenza domestica.
Proprio le donne – a maggior ragione nei Paesi meno industrializzati, dove ancor più il lavoro di cura e la gestione dell’economia domestica ricadono su di loro – sono coloro che contribuiscono meno alla crisi climatica. Al contrario, il 90% circa dei milionari – il cui stile di vita è quello con il maggiore impatto ambientale – sono uomini, così come sono uomini la quasi totalità dei capi di Stato e di governo (mentre solo 26 donne al mondo ricoprono queste posizioni), cioè coloro a cui spettano le decisioni, comprese quelle in materia climatica; e sono uomini il 75% dei membri dei Parlamenti e il 79% dei ministri, cioè coloro che concorrono a quelle decisioni. Se questi non hanno sensibilità nei confronti delle problematiche ambientali e di come affrontarle la cosa non deve stupire; perché anche a livello di comportamento individuale c’è una correlazione dimostrata tra la preoccupazione nei confronti dei problemi ambientali e l’effettiva riduzione del proprio impatto. A livello governativo, in un’agenda che deve trovare un equilibrio tra necessità economiche, eventi contingenti, campagne elettorali e pressioni dell’opinione pubblica e delle lobby, si può immaginare come venga trattata la riduzione delle emissioni nocive, ufficialmente oggi in cima alla lista delle priorità dei governi, ma di fatto affrontata con azioni insufficienti. Perché le strategie contro l’emergenza climatica vengano implementate presto e in modo efficace, serve anche uno studio più attento delle differenze di genere nelle emissioni. Una doppia occasione per ridurre in una sola volta la discriminazione di genere e gli effetti dell’emergenza climatica.