Nel rapporto del 2019 World Energy Outlook, pubblicato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), emerge il contrasto profondo tra la sicurezza energetica contemporanea – basata prevalentemente su combustibili fossili e vista in chiave di potere geopolitico – e la simultanea necessità di fare affidamento su fonti di energia rinnovabili – a basso impatto ambientale e, auspicabilmente, a emissioni zero. Nel documento, l’IEA ammette l’incapacità di fare previsioni sul futuro energetico del pianeta, soprattutto per il fatto che la realtà potrebbe svilupparsi secondo tre diversi scenari possibili che vengono definiti come: Current Policies Scenario, Stated Policies Scenario e Suistanaible Policies Scenario. Il primo si basa sulla perpetuazione delle policies attuali, con un aumento della richiesta energetica pari all’1,3% annuo da qui al 2040. Il dato è numericamente più basso rispetto alla crescita della domanda globale di energia del 2018, quando l’aumento era stato del 2,3%, ma non è comunque compatibile con il perseguimento degli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Lo Stated Policies Scenario, invece, terrebbe conto delle politiche energetiche più sostenibili che sono state emanate dai vari Paesi ma, a oggi, ancora non realizzate: in questo caso la domanda energetica potrebbe crescere dell’1% all’anno e la richiesta globale di petrolio smetterebbe di crescere all’incirca nel 2030. Lo scenario Sustainable Development, invece, si baserebbe sulla completa attuazione e implementazione di politiche sostenibili a livello mondiale, che consentirebbero di mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C, limitandolo a un massimo di 1,5°C, e quindi col rispetto dell’Accordo di Parigi.
Anche se non ci fosse l’emergenza climatica – che sta cambiando profondamente e rapidamente il nostro Pianeta, compromettendo il nostro stesso futuro – le risorse su cui l’umanità fa concretamente affidamento oggi non basterebbero in ogni caso ancora per molto. In quest’ottica, una fonte di energia alternativa sarebbe quella del nucleare da fusione, invece che da scissione. Questo tipo di produzione di energia avrebbe delle potenzialità interessanti sotto due aspetti: risolverebbe infatti sia il problema delle emissioni, sia quello della scarsità delle risorse che oggigiorno ci sostengono dal punto di vista energetico. La fusione nucleare infatti non produce scorie radioattive, tra cui il plutonio-239 (il cui tempo di decadimento stimato è di quasi 50mila anni), ma realizzarla comporta diversi altri problemi tecnici.
Il processo di fusione avviene spontaneamente nelle stelle, la cui temperatura arriva a temperature elevatissime al momento impossibili da replicare sperimentalmente sulla terra in poche decine di anni, nell’ordine di almeno un paio di centinaia di miliardi di gradi. Grazie alla fusione, le stelle riescono a mantenere costanti le proprie dimensioni durante tutto il loro ciclo vitale, anziché collassare su se stesse a causa della loro stessa forza di gravità. Gli uomini hanno sfruttato per la prima volta la fusione artificiale per amplificare la potenza distruttiva della bomba atomica, arrivando a sviluppare in questo modo la Bomba H.
Il processo di fusione termonucleare è stato studiato fin dall’inizio del Novecento, e sviluppato dal punto di vista militare tra gli anni Trenta e Cinquanta. Le ricerche per il suo utilizzo per scopi civili, invece, sono iniziate in modo sistematico negli anni Cinquanta. Il problema è che tuttora non si riesce a gestire la reazione in modo controllato. Negli impianti sperimentali esistenti infatti viene sempre consumata più energia di quanta ne venga prodotta e i reattori hanno un funzionamento non continuo, non si riesce cioè a mantenere attiva la reazione per tempi superiori all’ordine di grandezza della decina di secondi. Il problema principale dagli anni Sessanta a oggi è rappresentato dalla difficoltà di ottenere un bilancio energetico positivo del sistema. Non si è ancora riusciti, infatti, a costruire un reattore che produca durante il suo funzionamento in continuo più energia elettrica di quanta ne consumi per alimentare i suoi magneti e i sistemi ausiliari. Una volta raggiunto un bilancio energetico positivo, bisognerà poi assicurare anche un bilancio economico positivo.
Al momento il reattore più avanzato a fusione è ITER: un reattore a fusione termonucleare (basato sulla configurazione “tradizionale” di tipo tokamak), che si prefigge come futuro l’obiettivo di produrre 500 MW in una reazione di fusione stabile, che abbia la durata di 60 secondi, a partire da un input di 50 MW. Il progetto ITER, finanziato a livello internazionale da 35 Paesi, tra cui Unione europea, Cina, USA, India, Giappone, Russia e Corea. In particolare, l’Ue è quella che sta facendo i maggiori investimenti, contribuendo per il 45,6% del costo totale del progetto e, non a caso, la sede che è stata scelta si trova a Cadarache, in Provenza. Considerando i Paesi che vi prendono parte, possiamo capire quanto le finalità a cui si vuole arrivare siano ambiziose, complesse e potenzialmente determinanti nel segnare un nuovo futuro energetico per il Pianeta: i dissidi geopolitici in questo caso sembrano essere stati messi apparentemente da parte per favorire una collaborazione che possa unire le migliori innovazioni tecnologiche e i migliori scienziati a livello globale. ITER però non è ancora il prototipo di centrale di produzione di energia elettrica ma solo una macchina sperimentale destinata a dimostrare di poter ottenere le condizioni di guadagno energetico necessarie. Il prototipo di centrale in fase di studio dagli stessi partecipanti al progetto ITER è invece DEMO (DEMOnstration Power Plant). DEMO dovrebbe fare così da ponte alla realizzazione di reattori commerciali veri e propri.
Tuttavia, ITER è già un progetto estremamente ambizioso e per realizzarlo dovranno essere raggiunte condizioni fondamentali. Per mantenere il plasma di fusione confinato e coeso è necessario ottenere un plasma ad alta densità. E questa densità dovrebbe essere ancora più alta nell’ottica della riuscita di DEMO. Per quanto le fonti interne al progetto sostengano che il primo plasma dovrebbe essere generato entro la fine del 2025, ci sono già stati molti ritardi. L’annuncio ufficiale della costruzione dell’opera risale al 2005 e si è riusciti ad arrivare al 50% del suo completamento dopo 12 anni, nel 2017. Anche se si riuscisse a creare il primo plasma entro la data prefissata, arrivare alla vera e propria produzione di energia sembra essere molto difficoltoso e, secondo alcune fonti, a causa degli svariati rallentamenti che ci sono stati e le spese extra che si sono dovute sostenere, sembrerebbe impossibile rispettare questi tempi. L’ipotesi più accreditata è che la prima fusione dimostrativa non abbia luogo prima del 2050. Nei test eseguiti fino a oggi si utilizza ancora più energia per innescare la reazione di quanta ne venga poi effettivamente prodotta. Queste tempistiche, alla luce del fatto che il progetto avrebbe poi bisogno di essere implementato, risultano preoccupanti. Non possiamo sapere con precisione in che condizioni verserà il Pianeta, ma le aspettative sono tutt’altro che promettenti. Recenti ricerche hanno infatti dimostrato che nel 2050 le condizioni di varie città nel mondo avranno già subito drammatici cambiamenti: ad esempio, il clima a Milano sarà simile a quello della Dallas odierna e nel mese più caldo dell’anno avremo un aumento della temperatura media di circa 7,2 gradi centigradi. Inoltre, un quinto delle metropoli del mondo (tra cui Singapore e Giacarta) avranno condizioni climatiche mai sperimentate fino ad ora.
Tuttavia, ITER non è l’unico progetto ad essere stato avviato basato sulla produzione di energia grazie alla fusione. Tra questi, abbiamo anche JET, progetto di stampo europeo, le cui ricerche sono iniziate prima di ITER e le cui scoperte sono poi state fondamentali per quest’ultimo. Tuttavia, avendo base nel Regno Unito, non sappiamo ancora cosa ne sarà, in quanto le cose potrebbero variare a seconda della piega che prenderà la Brexit. Inoltre, sarebbe ingenuo pensare che i vari Paesi cooperanti in ITER vi prendano parte con la nobiltà d’animo di avere a cuore il futuro del Pianeta, mettendo da parte i propri interessi geopolitici. Così come l’Europa ha JET, allo stesso modo anche gli altri Stati si stanno muovendo. Tra questi emerge la Cina, che ha annunciato la completa realizzazione di un reattore a fusione alla fine del novembre del 2019, che potrebbe essere operante già nel 2020. Il progetto si chiama HL-2M e ha base a Leshan, nello Sichuan. Nonostante il fatto che le fonti fossili restino quelle predilette per la produzione energetica interna della Cina, allo stesso tempo il Paese è leader nello sviluppo di nuove fonti energetiche sostenibili: il governo cinese, mosso dal pragmatismo che lo contraddistingue, è bene a conoscenza del fatto che il futuro del Pianeta e degli equilibri geopolitici non sarà di certo più legato ai combustibili fossili, ma alle energie rinnovabili.
Come in tutti gli altri ambiti scientifico-tecnologici, anche in questo caso c’è la volontà di primeggiare e, conseguentemente, di essere in una posizione di potere rispetto alle altre Nazioni. Questo è ancora più comprensibile se si pensa alla Belt and Road Initiative (BRI), progetto intercontinentale attualmente in implementazione, che contribuirà a definire l’egemonia cinese come potenza politica. Inoltre, di fronte agli ambiziosi progetti a cui vari Paesi del Golfo, la cui ricca economia è notoriamente basata sull’export di combustibili fossili, stanno lavorando, emerge la profonda consapevolezza che sia necessaria una diversificazione del mix energetico su cui fanno affidamento e dello sviluppo di altri settori economici. Quello più decantato è Vision 2030 dell’Arabia Saudita, ma anche gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar si sono prefissati obiettivi simili.
Le grandi potenze mondiali, per quanto continuino a trarre profitti o a sfruttare energie non rinnovabili, sono ormai consapevoli che ciò non sarà più possibile nel lungo periodo. Il problema che sembrano porsi non è tanto rispetto al cambiamento climatico quanto l’esauribilità delle proprie risorse fossili, ma lavorare a delle alternative potrebbe portare conseguenti benefici anche per quanto riguarda le loro attualmente consistenti emissioni.
L’energia a fusione potrebbe avere tutte le potenzialità per rappresentare il futuro energetico del pianeta. Il problema è dato dal tipo di futuro che ci si prospetterà al momento in cui queste tecnologie saranno efficacemente sviluppate per poter essere realmente un’alternativa energetica concreta e, come tutte le grandi scoperte che possono cambiare radicalmente le prospettive e la realtà del Pianeta, chi sarà il primo a fare questa mossa nello scacchiere geopolitico sarà senz’altro il vero vincitore.