Siamo nel mese di maggio e in alcune parti dell’Europa, compresa l’Italia, ci sono temperature che di primaverile hanno ben poco. In molte zone è persino tornata la neve, altre sono state spazzate da venti forti e in altre ancora è grandinato. Non è un fenomeno del tutto normale, ma ancora più assurdo è il fatto che, di fronte a uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico, non si riesca a fare a meno di strumentalizzare le condizioni meteorologiche per fare propaganda politica, negando l’evidenza scientifica dei fatti.
Il primo degli scettici su questo tema che invece unisce la comunità scientifica è il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che non ha mai nascosto il fatto di tenere in bassissima considerazione l’opinione della scienza. Nel gennaio scorso, infatti, durante la forte ondata di freddo che ha colpito gli Stati Uniti, Trump aveva ribadito con un tweet il fatto che il riscaldamento globale non è altro che un’invenzione: dov’è questo riscaldamento globale se ci sono temperature così basse? Non è la prima volta che il presidente ne nega l’esistenza: un articolo del New York Times riporta che, dal 2011, il presidente Trump ha parlato più di 100 volte di cambiamento climatico e di riscaldamento globale, liquidandoli come una bufala inventata dai cinesi.
In questa primavera insolitamente fredda anche per l’Italia, a riportare in prima pagina la stessa illazione sono stati alcuni giornali, tra cui Libero e Il Tempo, secondo i quali, se fa così freddo a maggio, il riscaldamento globale deve per forza essere una bufala. Nelle suddette redazioni pare essersi diffusa l’idea che scienziati e attivisti, tra cui la Greta Thunberg tanto odiata dai negazionisti, ci stanno mettendo in guardia contro qualcosa che non esiste. I giovani come Greta, che si battono perché finalmente si prendano dei provvedimenti seri contro i cambiamenti climatici, alle generazioni precedenti danno fastidio. Perché fanno riflettere, perché mettono di fronte a errori, mancanze e alla poca voglia di modificare gli stili di vita per proteggere il pianeta. E allora, ecco che parte la campagna denigratoria. Ne è una prova il fatto che, dopo lo sciopero per il clima, alcuni media si sono scagliati contro questi giovani, accusati di non sapere neanche il motivo di quello sciopero. Peccato che, invece, il cambiamento climatico sia una realtà con cui dobbiamo fare i conti tutti, e non solo nel futuro.
Prima di tutto, si fa confusione tra clima e meteo. Quando si parla di clima ci si riferisce allo studio, su lunghi periodi di tempo, di fenomeni molto complessi che avvengono su scala globale, e che coinvolgono l’atmosfera, gli oceani, le terre emerse. Il meteo, invece, riguarda qualcosa di ben definito in tempi molto ridotti (ore, pochi giorni), ad esempio fluttuazioni nelle temperature, nelle precipitazioni, nella pressione atmosferica in una data regione. “Le persone spesso tendono a confondere un avvenimento che sta accadendo nel luogo in cui vivono come un’indicazione di quello che sta succedendo a livello globale,” ha detto alla CNN Marshall Shepherd, direttore dell’Atmospheric Sciences Program all’Università della Georgia ed ex presidente della Società meteorologica americana, in risposta allo scetticismo di Donald Trump. Un’altra risposta è arrivata, sempre su Twitter, da Stefan Rahmstorf, fisico dell’Università di Potsdam, in Germania, che ha spiegato come inverni molto freddi siano proprio una conseguenza del riscaldamento globale.
Più il pianeta si scalda, infatti, più dobbiamo aspettarci eventi estremi, tempeste e periodi freddi. Questo avviene a causa del vortice polare, un termine sconosciuto ai più fino a qualche anno fa, ma ben noto ai climatologi sin dalla metà dell’Ottocento. Il vortice polare è una vasta area di bassa pressione che arriva fin nella stratosfera. Questa area di bassa pressione delimita masse di aria fredda e secca sopra i poli, più vicino al suolo, ed è dovuta alla forte differenza di temperatura tra le regioni polari e l’Equatore. In condizioni normali, questi vortici sono stabili, dal momento che le differenze di pressione e temperatura sono tali da mantenere il sistema in equilibrio. Se il vortice è forte, quindi, l’aria fredda resta ben confinata nelle aree polari. Se invece perde forza e si indebolisce, si può frammentare in una o più parti, e l’aria a bassa pressione e bassa temperatura si sposta, interagendo con quella più calda al di fuori delle regioni polari. Quando il vortice al Polo Nord è molto debole, le zone di alta pressione normalmente presenti alle medie latitudini migrano verso nord, facendo spostare l’aria fredda e secca verso sud. Nel momento in cui quest’aria entra in contatto con l’aria calda e umida delle medie latitudini, ecco che si verifica il fenomeno a cui abbiamo assistito in questi giorni: le temperature scendono drasticamente e si verificano forti precipitazioni, anche nevose.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, cosa c’entra il riscaldamento globale. È semplice: non tutte le parti della Terra si riscaldano con la stessa velocità. Il Polo nord si sta riscaldando a una velocità doppia rispetto alla media mondiale. Questo riscaldamento ha ovviamente causato una riduzione della copertura glaciale, soprattutto nelle zone del Mare di Barents e del mare di Kara, in Siberia. E proprio questa riduzione sembra essere legata a frequenti cambiamenti del vortice polare, che in autunno non riesce a rafforzarsi come dovrebbe. “Quando perdiamo molto ghiaccio nella stagione estiva, quell’area assorbe molto più calore dal sole,” ha spiegato al New York Times Jennifer Francis, ricercatrice del Woods Hole Research Institute. “Quindi le temperature restano molto più alte di quello che dovrebbero essere”. Anche secondo Timo Vihma, a capo del gruppo di meteorologia e climatologia polare all’Istituto finlandese di meteorologia, l’aria più calda nella zona artica riduce le differenze di temperatura che normalmente mantengono stabile il vortice polare.
Uno studio pubblicato su Nature Climate Change ha messo in evidenza che, proprio a causa della riduzione dei ghiacci artici, il vortice polare nell’emisfero Nord, oltre a essersi indebolito, ha anche cambiato posizione. I dati degli ultimi 30 anni confermano il suo spostamento verso l’Eurasia e il conseguente allontanamento dal Nord America. Lo spostamento potrebbe aver contribuito a portare condizioni di clima freddo invernale verso l’inizio della primavera, con colate di aria artica più frequenti rispetto al passato in molte zone dell’Eurasia e del Nord America.
Il sistema è molto complesso, e ancora non sono del tutto chiare le dinamiche dell’influenza dell’Artico sul clima, come ha spiegato al New York Times Marlene Kretschmer, ricercatrice del Potsdam Institute for Climate Impact Research. Un suo studio ha preso in esame 40 anni di dati climatici relativi a Europa e Russia e ha concluso che negli ultimi anni il vortice polare si è indebolito più di frequente e per tempi più lunghi. Allo stesso risultato sono arrivati altri due studi, relativi soprattutto agli Stati Uniti, pubblicati su Nature Geoscience nel 2017 e su Nature Communications. In quest’ultimo caso, gli autori hanno scoperto che quando l’Artico è più caldo, c’è una possibilità da 2 a 4 volte maggiore di avere inverni molto più freddi negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. Insomma, se il trend del riscaldamento del pianeta continua così come è ora, dobbiamo aspettarci sempre più spesso inverni caratterizzati da frequenti incursioni di aria artica.
Nonostante ci rendiamo conto delle anomalie termiche solo quando nella regione in cui viviamo ci sono inusuali tempeste o nevicate, in realtà finora il 2019 ha già segnato 35 record per il caldo e solo due per il freddo. Nel gennaio scorso, infatti, in Australia si sono verificate delle ondate di caldo senza precedenti, con temperature al di sopra dei 35 gradi anche di notte. Il climatologo Maximilian Herrera ha spiegato al New Scientist che, secondo i modelli matematici, in un clima stabile, il numero di record di caldo e di freddo dovrebbe essere uguale. Il fatto che non sia così è un chiaro segnale che il clima sta cambiando. Peccato che molti leader politici (tutti dell’ala conservatrice) e i loro sostenitori, compresi membri della stampa, ancora stiano cercando di negare il problema per portare acqua al proprio mulino, o, più che altro, al mulino delle società petrolifere e delle aziende che non hanno alcuna intenzione di limitare le emissioni. Gli interessi economici, insomma, hanno sempre la meglio su tutto, anche su un qualcosa che dovrebbe essere la vera priorità, come l’ambiente in cui viviamo, che mai come oggi è a rischio.