Venezia, che ha familiarità con l’acqua alta, è sempre pronta a rispolverare passerelle e stivali. Ma i 187 cm raggiunti (valore secondo solo all’alluvione del 1966) nella notte del 12 novembre e la successiva settimana di livelli emergenziali hanno fatto due vittime e almeno un miliardo di euro di danni. Molte opere d’arte, spostate ai piani alti, si sono salvate, ma la Basilica di San Marco e 70 delle 120 chiese della città sono state danneggiate; sono andati fuori uso prese elettriche, ascensori, computer e terminali pos nei negozi e centinaia di abitazioni hanno subìto gravi danni. Entro 40 giorni il sindaco Luigi Brugnaro, commissario incaricato dalla Protezione Civile, dovrà redigere il piano per impiegare i 20 milioni stanziati dal governo per i primi interventi in città, fornendo agli abitanti la modulistica per la segnalazione dei danni, mentre il pagamento dei mutui sarà sospeso per un anno. Si prevede anche un contributo a chi ha la casa inagibile e si impegna a trovare in autonomia un’altra sistemazione. L’evento ha segnato un record: da quando sono stati fissati i criteri di misurazione nel 1872, quest’anno per la prima volta si sono presentate due maree di oltre 150 cm e tre di oltre 140 cm nello stesso anno e nella stessa settimana. Inoltre, per la seconda volta si sono superati i 140cm in due occasioni in meno di 24 ore. Eventi eccezionali che un giorno rischiano di non essere più considerati tali.
Il leader della Lega Matteo Salvini ha colto l’occasione per fare propaganda e sostenere che i fondi che il governo vuole destinare agli incentivi per i pagamenti elettronici dovrebbero essere destinati a riparare i danni verificatisi in Veneto. Anche se adesso sostiene che “è questa l’urgenza”, durante il suo periodo al governo ha sempre ignorato e sbeffeggiato gli appelli di chi combatte l’emergenza climatica. “In questo momento non c’è bisogno di polemiche, […] ci deve essere solo l’interesse per Venezia”, ha replicato il suo successore al Ministero dell’Interno Luciana Lamorgese. Ma è difficile non farne, vedendo la laguna invadere l’aula del Consiglio Regionale veneto di Palazzo Ferro Fini, appena qualche minuto dopo che la maggioranza del presidente leghista Luca Zaia aveva bocciato gli emendamenti al Bilancio che avrebbero incluso, tra le altre iniziative, finanziamenti per energie rinnovabili, colonnine elettriche, autobus ecologici e i Patti dei Sindaci per l’Energia Sostenibile e il Clima.
Proprio mentre Venezia veniva sommersa, circa 800 km più a Sud, un altro evento naturale catastrofico si scatenava portando devastazione in un territorio già fragile: Matera, Capitale europea della Cultura 2019, si è ritrovata in ginocchio per le piogge torrenziali dell’11 e 12 novembre scorsi, che hanno riempito la città di fango. La Giunta comunale ha chiesto il riconoscimento dello stato d’emergenza e di calamità naturale: a essere colpite non sono state solo strade e abitazioni, ma anche terreni agricoli e infrastrutture preposte ai servizi pubblici, con danni calcolati nel complesso per 8 milioni di euro. La Basilicata è particolarmente esposta al rischio idrogeologico per le sue caratteristiche territoriali e geologiche: nel corso del Ventesimo secolo si sono contati 347 eventi di piena, diventati ancora più violenti e frequenti con l’inizio del nuovo millennio.
Mentre abbiamo ancora impresse nella mente le immagini della tempesta Vaia, che un anno fa distrusse 14 milioni di alberi in provincia di Belluno, e del downburst che ad agosto a Brescia scoperchiò diverse palazzine, a novembre tutta l’Italia è stata flagellata da fenomeni atmosferici estremi: in Toscana una tromba d’aria ha colpito la riserva naturale di Duna Feniglia, in provincia di Grosseto, con danni ingenti alla pineta, mentre l’Arno in piena ha minacciato Firenze e dintorni. Condizioni meteorologiche avverse hanno colpito anche Lazio e Liguria. Come sempre, i cittadini si mostrano vicini ai loro connazionali, con donazioni in denaro e dimostrazioni di solidarietà, ma un Paese non può sempre funzionare – né risollevarsi dopo i momenti più difficili – basandosi unicamente sulle collette dei privati e sulla filosofia dell’emergenza. I fondi per le necessarie e sempre più frequenti ricostruzioni possono bloccare le iniziative a cui erano originariamente destinati, in un momento in cui il nostro debito pubblico supera i 2.400 miliardi di euro. È il momento di prendere atto che questi fenomeni sono sempre più frequenti e che la causa della loro intensità e frequenza, come sostiene chiaramente la scienza, è l’emergenza climatica. È questo il problema da risolvere, o almeno da arginare, dato che presto ogni nostro sforzo potrebbe rivelarsi inutile.
Nel 2018 in Italia sono stati 148 gli eventi meteorologici estremi con 32 vittime; 437 gli episodi che tra il 2010 e il 2018 hanno provocato danni. A causa del numero insufficiente di stazioni di rilevamento, non abbiamo un quadro chiaro delle variazioni nei trend delle precipitazioni negli ultimi 50 anni – anche se emerge la crescente difficoltà di previsione – ma si stima che i fenomeni estremi al mondo aumenteranno fino al 50% di qui alla fine del secolo. Il clima italiano si sta tropicalizzando, e questo implica una maggiore frequenza di episodi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e passaggi dal caldo al maltempo con conseguenti alluvioni o siccità, le cui conseguenze sono costate 14 miliardi di euro in un decennio, tra perdite della produzione agricola e danni alle infrastrutture.
Anche la marea eccezionale di Venezia ha tra le cause il climate change: lo scioglimento dei ghiacciai artici provoca l’innalzamento del livello dei mari, mentre l’aumento della loro temperatura media fa crescere il volume della massa acquatica. Secondo il ricercatore dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie (Enea) Gianmaria Sannino, sempre più spesso saranno colmati quei 40 – 50 cm di differenza tra una marea normale, gestibile senza danni, e quelle di metà novembre. Il risultato sarà Venezia allagata a ogni alta marea. Le attività antropiche – come il prelievo di acqua per l’industria petrolchimica e le industrie di Marghera, oltre all’estrazione di gas in Adriatico – aumentando la subsidenza del terreno, peggiorano la situazione di una città fondata su un suolo soggetto allo sprofondamento.
Lo scenario è sconfortante: entro fine secolo si prevede un aumento del livello dei mari fino a un metro, ma già nel 2050 l’acqua potrebbe arrivare alle porte di Rovigo e di Ravenna. A Venezia, dal 1872, il livello è già cresciuto di oltre 30 centimetri. Le iniziative del governo prevedono interventi sul territorio: “Il Piano Stralcio ha già stanziato 315 milioni di euro nel 2019 per finanziare progetti esecutivi di tutela del territorio dal dissesto idrogeologico”, ha spiegato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa parlando di 263 interventi tra quelli più urgenti. La cifra complessiva stanziata dal governo è invece di 11 miliardi di euro per il triennio 2019 – 2021, nell’ambito del Piano nazionale Proteggi Italia per la messa in sicurezza dal rischio di dissesto idrogeologico, con i primi 3 miliardi già disponibili “per opere immediatamente cantierabili”. Il Disegno di legge 1422 del 2019 (Ddl Cantiere Ambiente) prevede inoltre l’elaborazione di Programmi triennali di interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico per 1,45 miliardi di euro (al netto delle risorse Fondo Sviluppo e Coesione) per il periodo 2019 – 2023. Tra gli interventi previsti ci sono la sistemazione dei corsi d’acqua, soprattutto per moderare le piene, per la difesa dalle inondazioni e il consolidamento di versanti, costoni rocciosi e aree instabili; la difesa di abitati e infrastrutture contro frane e valanghe e la protezione di coste e abitati dall’erosione delle acque; la gestione del rischio, la demolizione delle opere abusive e altri interventi non strutturali funzionali a evitare il danno.
A proteggere Venezia dovrebbe pensare il Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico), un sistema di dighe – la cui consegna è prevista per il 2021 – che dovrebbe contenere la marea isolando la laguna con delle barriere: considerato avveniristico ai tempi della sua progettazione, quando le previsioni sull’innalzamento dei mari erano più ottimiste di oggi, stando a studi più recenti non sarebbe efficace né adatto al fondale della Laguna. Non si sa se il Mose sarà efficace, ma intanto per realizzarlo si è scavato e sbancato, stravolgendo fondali e correnti in un contesto delicato. Tra costi stellari e rischi ambientali, i lavori per il Mose sono iniziati nel 2005 per arenarsi nel 2014 anche a causa di un’inchiesta per corruzione che ha coinvolto 135 persone, tra cui l’ex presidente della regione Giancarlo Galan di Forza Italia e l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni del Pd.
Ha senso spendere miliardi di euro per strutture che necessitano ancora di anni tra progettazione e realizzazione, mentre l’emergenza climatica è già una realtà quotidiana? Gli interventi di salvaguardia delle coste e delle montagne sono indispensabili: troppo a lungo il territorio italiano è stato sfruttato e ridotto al degrado. La situazione idrogeologica, però, è responsabile “solo” dell’intensificarsi dei danni dovuti ai fenomeni meteorologici estremi, senza risolvere i quali la manutenzione del territorio serve a poco. La causa è l’emergenza climatica ed è questa che dobbiamo combattere, riducendo drasticamente le emissioni di anidride carbonica, abbandonando le fonti di energia fossile in favore di quelle rinnovabili, investendo sulle tecnologie di assorbimento della CO2 già presente in atmosfera, incentivando i mezzi di trasporto ecologici e tassando le aziende inquinanti. Queste sono le strategie da seguire se non vogliamo che quanto toccato a Matera e Venezia diventi la normalità di tante altre città e territori del nostro Paese.