Come già molti studiosi avevano previsto, il 2019 è stato un anno da record per quanto riguarda le temperature sul nostro pianeta. Secondo le ultime ricerche, infatti, pubblicate indipendentemente sia negli Stati Uniti dalla Nasa e dal Noaa, che in Europa dal Copernicus Climate Change Service, il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1880. E non è un caso: dagli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, ogni decennio è stato significativamente più caldo del precedente. Dal 2010 in poi non solo il trend è proseguito, ma gli ultimi cinque anni del decennio sono stati i più caldi dell’intero periodo esaminato. La temperatura media del 2019 è inferiore di appena 0,04 gradi a quella del 2016, un anno in cui si era verificato El Niño, un riscaldamento anomalo delle acque oceaniche in grado di condizionare il clima dell’intero globo.
“L’ultimo decennio è stato il più caldo mai registrato, e il primo in cui la temperatura media ha superato di un grado quelle registrate alla fine del diciannovesimo secolo”, ha detto Gavin Schmidt, del Goddard Institute for Space Studies della Nasa. La temperatura media del 2019, infatti, è stata di circa 1,1 gradi centigradi sopra la media delle misurazioni effettuate tra il 1880 e il 1900, prima, cioè, che iniziasse l’uso spropositato delle fonti energetiche fossili. Un dato preoccupante, dal momento che gli scienziati sono concordi nell’affermare che un riscaldamento pari a 1,5 gradi farà aumentare in modo significativo il rischio di eventi meteorologici estremi in gran parte del mondo e avrà un fortissimo impatto sulla vita di centinaia di milioni di persone.
“Adesso è ufficiale che questo decennio è stato il più caldo. Dovrebbe essere un monito per capire che il pianeta continuerà a scaldarsi finché continueremo a bruciare fonti energetiche fossili”, ha aggiunto Michael Mann, docente di Scienze dell’atmosfera alla Penn State University.
La Nasa e il Noaa hanno svolto indagini indipendenti usando però molti degli stessi dati di temperatura, raccolti in mare da navi oceanografiche e da boe, e a terra da centinaia di migliaia di stazioni di osservazione coordinate da agenzie del servizio meteorologico nazionale. Per ridurre il più possibile la possibilità di errori, i due studi hanno preso in considerazione eventuali spostamenti delle stazioni di rilevamento, il contributo di influenze naturali sul clima – come ad esempio eruzioni vulcaniche che, temporaneamente, possono aver raffreddato l’atmosfera – e i regolari cambiamenti nel ciclo orbitale della Terra.
“Abbiamo trovato una grande discrepanza con il passato”, ha detto Schmidt, “che ci dice che le influenze naturali non sono in grado di spiegare i trend che stiamo osservando dal diciannovesimo secolo. Ciò che è importante è che un insieme di dati indipendenti ci ha portato all’evidenza ormai schiacciante che la Terra si sta riscaldando, che il motore di questo riscaldamento sono le attività umane e che gli impatti iniziano a essere percepiti chiaramente. Questi annunci possono suonare come un disco rotto, ma ormai si percepisce chiaramente che siamo nell’Antropocene”, ha aggiunto.
Tra i due studi ci sono poche differenze, i risultati combaciano perfettamente. E sono concordi anche con quelli di uno studio europeo, svolto dal Copernicus Climate Change Service con metodologie diverse da quelle dei due studi americani, che aggiunge anche che per l’Europa il 2019 è stato l’anno più caldo in assoluto.
L’aumento delle temperature, infatti, non avviene ovunque nello stesso modo: in alcune parti del mondo, già oggi, gli effetti della crisi climatica sono talmente violenti che sembra di trovarsi davanti a un bollettino di guerra. L’Australia ne è un esempio: dopo essere stata colpita da devastanti incendi dovuti alla siccità e alle temperature elevate, ora è flagellata da condizioni meteo estreme, come alluvioni, grandinate di grandi proporzioni e tempeste di sabbia. Anche l’Africa meridionale, come l’Australia, è attanagliata per periodi sempre più lunghi dalla siccità e dalla conseguente scarsità di cibo, un problema che sta già avendo effetti sulla sicurezza alimentare. Secondo il World Food Program delle Nazioni Unite, in Zimbabwe già 3,5 milioni di persone sono a rischio insicurezza alimentare e la situazione potrebbe peggiorare tra gennaio e aprile.
E non va meglio nelle regioni artiche: secondo l’Artic Climate Impact Assessment, un report del 2004 aggiornato con nuovi dati nel 2019, le regioni artiche si stanno riscaldando a una velocità doppia rispetto a quella del resto del pianeta. In Alaska l’aumento delle temperature ha fatto sì che il Mare di Bering rimanesse senza ghiaccio per gran parte dell’anno; il sud della Finlandia sta vivendo uno degli inverni più caldi degli ultimi anni, senza precipitazioni nevose e con mare e laghi liberi dal ghiaccio; in un villaggio della Norvegia, infine, nei primi giorni di gennaio il termometro ha segnato 19 gradi, una temperatura di 25 gradi superiore alla media del mese.
Il 2019 è stato un anno da record anche per la temperatura degli oceani: uno studio pubblicato il 13 gennaio scorso su Advances in Atmospheric Sciences, infatti, mette in evidenza come nel 2019 la temperatura degli oceani sia maggiore di quella degli anni precedenti. “Il calore degli oceani è la miglior misura che abbiamo degli effetti del cambiamento climatico sulla terra”, ha detto Zeke Hausfather, direttore del Centro per il clima e l’energia del Breakthrough Institute in California. Anche in questo caso, gli ultimi 10 anni sono stati quelli più caldi, e l’aumento registrato tra il 2018 e il 2019 è stato il più alto dall’inizio degli anni 2000. L’aumento di temperatura degli oceani ha effetti negativi sulla vita marina, contribuisce allo sbiancamento dei coralli e alla perdita di ecosistemi importanti, senza contare i danni al settore della pesca, che, di nuovo, vanno a influire sulla sicurezza alimentare di molte popolazioni. Ma gli impatti non si limitano al mare. “Le forti piogge che si sono di recente verificate a Jakarta sono dovute, in parte, alle temperature raggiunte dal mare in quella regione”, ha detto Kevin Trenberth del National Center for Atmospheric Research, che ha parlato anche di una possibile connessione tra la temperatura degli oceani e gli eventi estremi che si sono verificati in Australia. “La temperatura del mare influenza i sistemi meteorologici regionali e, talvolta, anche quelli globali”.
Qualcosa, però, forse si sta muovendo. Tanto per cominciare al Forum economico mondiale che si sta svolgendo in questi giorni a Davos, in Svizzera, per la prima volta l’emergenza climatica è tra i principali argomenti di discussione. In particolare, si è parlato degli effetti che lo scioglimento dei ghiacci artici ha su tutto il globo, con il pericolo sempre più reale dell’aumento di eventi meteorologici estremi e dell’allagamento di molte città costiere a causa dell’innalzamento del livello dei mari.
Nonostante ciò l’esistenza di una crisi climatica però, è stata ancora una volta minimizzata dal presidente degli Stati Uniti, che nel suo discorso si è scagliato contro gli attivisti, definiti “profeti di sventura” in un periodo in cui, invece, bisognerebbe essere ottimisti, dato che le politiche del governo hanno contribuito all’inizio di una nuova era di benessere e prosperità economica per i cittadini americani. Pur non avendo mai nominato il cambiamento climatico, Trump ha dichiarato che gli Usa avvieranno un’iniziativa per piantare mille miliardi di alberi per mitigare le emissioni di CO2, peccato che siano ancora la Nazione con le più alte emissioni di gas serra e, che, come rimarcato anche da Greta Thunberg, piantare alberi non basta se nel frattempo non si azzerano le emissioni e non si ferma la distruzione delle foreste già esistenti.
Se c’è chi, nonostante le evidenze, continua a far finta che l’emergenza climatica non esista, l’Europa sta invece finalmente tentando di prendere provvedimenti seri. Tanto per cominciare, lo scorso 18 novembre l’Unione Europea ha dichiarato di voler diventare la prima grande potenza economica nel mondo a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e, in dicembre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha presentato il primo piano europeo sul clima: un insieme di misure – tra cui il passaggio a energie alternative, l’utilizzo di forme di trasporto sostenibili e il passaggio a un’economia circolare – che dovrebbe permettere ai Paesi membri di raggiungere nei tempi stabiliti l’obiettivo previsto. Ora bisogna solo capire se tutti i Paesi aderiranno, dal momento che già alcuni – come la Polonia, prima in Europa per la produzione di carbone – si sono mostrati in disaccordo.