Siamo circondati dalla Terra dei Fuochi, ora al Nord come al Sud. Siamo circondati da quell’odore acre di immondizia, in crescendo nei mesi estivi, dai roghi e dalle loro nubi tossiche. L’Italia tutta può essere considerata Terra dei Fuochi. I siti di smaltimento illecito secondo l’Ispra sono circa 22mila, per un totale di tonnellate di rifiuti sequestrate di quasi 54 milioni solo nel 2018, come notifica il rapporto Legambiente Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia. Per rendere l’idea: se caricassimo i quantitativi di veleni sequestrati in appena 54 inchieste da gennaio 2017 a maggio 2018, il risultato sarebbe una fila di 181.287 tir, con 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti, che da Trapani arriverebbe senza soluzione di continuità fino a Berlino.
E anche se il modus operandi delle organizzazioni criminali per lo smaltimento illegale si è modernizzato di pari passo con le misure di prevenzione e di contrasto a tale fenomeno, c’è una ferita che continua a lacerare il Paese: le discariche abusive. Sono 200 quelle segnalate dal dossier Rifiuti zero, impianti mille, mentre scendono gli impianti operativi legali che passano da 364 nel 2015, a 350 nel 2016 e a 324 nel 2017 (Ispra 2019, dati 2017), all’interno dei quali vengono smaltiti quasi 20 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali. Risulta evidente che i conti, in termini di produzione e lavorazione finale, non tornano. E proprio per i mancati interventi sulle discariche abusive, infatti, l’Italia è stata condannata a versare alla Commissione europea una penalità, dal 2014 a metà 2018, di ben 235 milioni di euro, in media 160 mila euro al giorno. Una multa a cui si aggiungono altri 110 milioni di euro stanziati nel 2017 dal governo per le bonifiche guidate dal commissario Giuseppe Vadalà dell’Arma dei Carabinieri, nominato dal Governo Gentiloni, che si vanno a sommare ai 160 milioni programmati dal Ministero dell’ambiente per il risanamento dell’area contaminate e in particolare dello stabilimento della Caffaro.
Il ministro Costa, ideatore del Ddl “Risanambiente” che fissa come perentori i termini per i procedimenti e individua responsabilità in capo ai funzionari e ai dirigenti coinvolti, durante i più recenti incontri pubblici, ha mostrato con orgoglio da commilitone le 42 discariche bonificate dalla task force del commissario straordinario, dopo quasi due anni e mezzo di interventi. Questo ha permesso all’Italia di risparmiare 16milioni e 800mila euro ogni anno negli ultimi due, riducendo la sanzione dai 42milioni ogni sei mesi del 2014 agli attuali 8 milioni. Lo sprint di tutto rispetto di Vadalà, tuttavia, è ridimensionato dal traguardo prefissato per la messa in sicurezza totale delle aree contaminate da rifiuti: sono 81 i fascicoli aperti, pertanto solo poco più della metà ha trovato risoluzione. Senza contare che i siti affidati al commissario sono solo una frazione delle 200 realtà irregolari per le quali l’Italia è stata condannata più volte dall’Ue, con l’aggravante che alle vecchie discariche abusive si vanno ad aggiungere nuovi casi inediti: l’inclinazione sembra essere quella dello stivare nei capannoni anziché sotterrare nei campi, con particolare affezione a questa nuova pratica da parte delle organizzazioni criminali del Nord (sono oltre 5mila le discariche situate in Lombardia).
Ma questo problema non è un’esclusiva che riguarda solo le organizzazione criminali. I numeri parlano chiaro, gli incendi nelle discariche e negli impianti hanno mantenuto una media di oltre cento l’anno negli ultimi 4-5 anni, mentre nel 2017, come record assoluto, sono andati in fiamme ben 110 impianti, tra cui 7 discariche. Tutto ciò, e in particolare il caso del 14 ottobre 2018 in via Dante Chiasserini a Milano, dove divampò un incendio gigantesco in un capannone industriale stipato fino al tetto di rifiuti, è frutto non solo di un aggiornamento delle strategie criminali, bensì di un cambio di cultura e di prospettiva anche degli stessi singoli imprenditori a capo di piccole-medie imprese incastrati nel corto circuito economico e logistico che piega il settore rifiuti.
La situazione, infatti, vede per l’appunto sempre meno discariche, mentre l’idea di costruire nuovi impianti inceneritori si infrange contro le istanze della fronda nimby – not in my backyard (“non nel mio cortile”) – rappresentata dalla popolazione e in completo disaccordo con l’edificazione di ulteriori minacce per salute e ambiente. La questione si avviluppa quindi in un aumento di responsabilità ambientale nella popolazione, ma anche nell’impossibilità degli impianti di provvedere allo smaltimento e al riciclo dei rifiuti, troppi e con specifici processi di lavorazione. Non contenti del perenne stato di emergenza, l’implosione della situazione capitolina è una logica conseguenza di tale impasse, nel 2016 l’Italia (dati Ispra) ha esportato 3,1 milioni di tonnellate di immondizia, contro un totale di importazioni che si aggira intorno alle 5,8 milioni. Il Paese dal quale importiamo la maggior quantità di rifiuti è la Germania, 1,1 milioni di tonnellate, dei quali circa il 94% è di natura metallica e alimenta le imprese trasformatrici della Lombardia. Parafrasando una frase celebre di Winston Churchill riferita alla Russia, si può dire del distretto rifiuti nostrano che apparentemente “è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”.
A frenare il corretto svolgimento di questo processo, dal valore economico molto importante, è lo stato dell’arte dell’End of Waste, cioè del fine vita dei rifiuti e del loro possibile riutilizzo. La proposta di modifica a firma del ministro pentastellato Sergio Costa, a oggi fortemente a rischio di incostituzionalità, dovrebbe consentire l’operatività delle autorizzazioni regionali caso per caso sulla base dei nuovi criteri europei, mettendo da parte lo Stato centrale con un ruolo nominale di eventuali controlli a campione. In contrasto con il dettato costituzionale secondo cui la competenza per la tutela ambientale in tema di rifiuti spetta solo allo Stato, la norma sui rifiuti è alla base dell’economia circolare del Paese e, come dimostrato dalla mossa della Provincia di Milano, non più rimandabile: quest’ultima difatti in piena autonomia ha autorizzato agli impianti la produzione di metano dagli scarti.
Il collo di bottiglia si stringe, infine, anche sul piano internazionale. Se come detto l’import è in continuo aumento, entro il 2020 la Cina varerà normative stringenti con l’obiettivo di portare allo 0% le importazioni di rifiuti dagli altri Paesi. Tradotto: l’Italia, che nel 2016 ha esportato circa 2 milioni di tonnellate di carta (più della metà) in Cina, potrebbe annegare in una discarica urbana interna. Lo stop di Pechino porta con sé la sfida conclusiva del dossier smaltimento rifiuti. E se la limatura per mano del commissario Giuseppe Vadalà degli angoli più appuntiti può motivare il processo di risanamento, le multe per 548 milioni di euro, che secondo il dossier di Wwf l’Italia ha pagato all’Ue a fine 2018 per le violazioni delle norme ambientali (oltre a quelli per le discariche abusive, ci sono 151 mln per la gestione dei rifiuti in Campania e 25 mln per il mancato trattamento delle acque reflue urbane), sono dunque uno stimolo inequivocabile.
Nonostante il trend virtuoso che ci premia tra i migliori in Europa per l’avvio allo smaltimento dei rifiuti pericolosi, in aumento del 7,9% (887 mila tonnellate), la debolezza dell’Italia continua a essere la gestione dei rifiuti (con le procedure d’infrazione aperte per il caos dei rifiuti urbani, delle discariche, dei rifiuti pericolosi e dell’emergenza rifiuti in Campania), la gestione delle acque interne e marine (con la mancata depurazione delle acque reflue urbane, per la non corretta applicazione delle Direttive Acque e Alluvioni e sull’Ambiente marino) e la qualità dell’aria (per mancato rispetto delle soglie massime per il biossido di azoto).
Con effetto cascata, tutto questo si potrebbe imputare proprio all’errato smaltimento delle scorie. Non solo in termini economici e reputazionali, entrambi ai minimi termini nel nostro Paese, il peso di una costituzione fallace in tema rifiuti infatti sottolinea la scarsa attenzione che lo Stato presta a quella che altrove è vista come risorsa. L’End of Waste ancora in fase embrionale, la scarsità di impianti e le infiltrazioni criminali costituiscono la prova di un morbido tentativo di intervento istituzionale, il quale, nei casi di incendio come quello di Milano o dell’EcoX di Pomezia, lascia campo aperto a manifestazioni di libero stoccaggio fai-da-te dei rifiuti, che possono altresì provocare in poche ore di combustione quantità allarmanti di diossina, polveri sottili, benzene, policiclici aromatici e probabilmente amianto. Al di là delle patologie tumorali provocate dalle stesse discariche abusive, con scarico a terra, che macchiano la cosiddetta Terra dei Fuochi: l’Italia.