Quando si parla delle conseguenze della crisi climatica sul benessere umano si tende – giustamente – a focalizzare l’attenzione sull’inquinamento atmosferico, sulla perdita della biodiversità, sui disagi legati ai fenomeni meteorologici estremi e sull’innalzamento del livello dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacci. Al tempo stesso, però, si trascura un fattore che, in realtà, sulla sensibilità della popolazione può avere un impatto anche più diretto ed evidente, che chiunque può sperimentare sulla propria pelle: l’effetto del caldo sulla salute delle persone.
Non si tratta “solo” di un po’ di fiacchezza e di sudore, ma di veri e propri danni, sia fisici che mentali, a cui alcuni sono più esposti di altri e che hanno un peso sociale notevole. Le raccomandazioni di non uscire nelle ore più calde e di bere molta acqua assumono un aspetto diverso e decisamente sinistro se si osserva un termometro in questi giorni di calura. Anche al di là dei rischi più estremi e allarmistici – che, in effetti, includono anche la morte – sono infatti tanti i problemi che statisticamente aumentano nelle estati più calde e che è facile vivere in prima persona.
Che migliaia di morti ogni anno siano correlate proprio alla crisi climatica è ormai noto, ma gli scienziati di recente hanno evidenziato in modo ancora più chiaro l’impatto del riscaldamento climatico sulla salute. Malessere generale, confusione mentale, difficoltà a concentrarsi, crampi, abbassamenti di pressione fino agli svenimenti: sono tutti sintomi riconducibili al fatto che l’organismo di molti esseri umani non è adatto a certe temperature. Ma non c’è bisogno di tirare in ballo i malori per capirlo. Tra gli effetti più evidenti e diffusi delle ondate di caldo ce n’è una che tutti hanno certamente sperimentato: l’insonnia. Anche dormire quando fa molto caldo, infatti, può essere davvero difficile: non a caso d’estate si dorme meno e la qualità del sonno diminuisce. Questa non è solo una scocciatura, ma un problema sanitario troppo spesso sottovalutato, con un forte impatto sulla qualità della nostra vita, soprattutto se si considera che già di norma dormiamo troppo poco, tra stress, serie tv, inquinamento acustico e luminoso.
Alla carenza di sonno si collegano, poi, tra gli altri, disturbi dell’umore, rallentamento dei riflessi e cali di memoria e, sul lungo periodo, l’indebolimento del sistema immunitario e disturbi metabolici. Non esattamente problemi trascurabili: la temperatura ideale per dormire, infatti, è compresa tra i 16°C e i 18°C, mentre per esempio in Regno Unito le medie notturne negli ultimi dieci anni sono aumentate di oltre 2°C, con una crescita nettamente più rapida di quella delle temperature diurne dall’epoca vittoriana – quando iniziò questo tipo di rilevazioni – a oggi. In Gran Bretagna si calcola, di conseguenza, che senza tagli radicali ai combustibili fossili, al massimo entro la fine del nostro secolo in numerose località le temperature notturne non scenderanno al di sotto dei 25°C; facendo una rapida proporzione, si può immaginare quale sia la previsione per le nostre latitudini.
I problemi del caldo, però, purtroppo non si fermano ai disturbi del sonno. Le conseguenze sulla salute – individuale e collettiva – possono essere anche più drammatiche, fino a quella più estrema: la morte. Fin dal 2001 l’incidenza delle morti per tutte le cause è cresciuta in corrispondenza delle ondate di caldo, specialmente tra gli over 65, che in Italia rappresentano circa il 22,6% della popolazione. Anche l’aumento registrato negli ultimi cinque anni dei casi di decesso legati a malattie cardiache o a incidenti stradali, per esempio, risulta proporzionale alle temperature. Sorprendentemente, più dei colpi di calore a uccidere sono gli annegamenti, specialmente nei fiumi e nei mari, di cui rimane vittima chi cerca refrigerio; i fiumi possono essere particolarmente pericolosi a causa della corrente, ma anche buttarsi nell’acqua fredda quando la temperatura corporea è molto calda può causare malori e di conseguenza annegamento. Le condizioni di pressione esistenti nelle ondate di caldo, specialmente in condizioni di siccità prolungata e grave come quella a cui stiamo assistendo, favoriscono inoltre il ristagno dell’atmosfera, agenti inquinanti compresi, peggiorando le patologie respiratorie. Queste ovviamente si intensificano ulteriormente in giorni come questi, segnati dagli incendi che stanno divorando diversi territori italiani, dal Lazio alla Versilia, passando per la Sardegna, fino al Carso.
Per tutti questi motivi il caldo accresce i ricoveri ospedalieri: questi, infatti, nell’ultimo decennio sono aumentati in media di oltre 12mila ogni anno. Nel 2018 per esempio, in Gran Bretagna rispetto al 2010 sono state ricoverate in più circa 2mila persone: i dati che emergeranno da questa estate – in cui i britannici stanno affrontando lo shock di superare i 40 gradi per la prima volta – daranno la misura della tendenza verso cui stiamo andando. Studi recenti, infatti, indicano un aumento di almeno il 10% degli accessi al pronto soccorso nelle giornate in cui la temperatura massima supera la media stagionale. Tra le cause dirette del ricovero si segnala la disidratazione – all’origine di 800 ricoveri in più nel 2018 rispetto al 2010, per avere un’idea dell’andamento – ma anche i disturbi legati alla salute mentale. Per ogni grado in più nella temperatura media mensile, infatti, i decessi legati al disagio psichico aumentano del 2,2%; le ondate di caldo – come, comprensibilmente, altri eventi meteorologici estremi – sono collegate a un aumento dei sintomi depressivi e del disturbo d’ansia generalizzato. In queste situazioni si intensificano anche gli episodi maniacali nelle persone che soffrono di disturbo bipolare, che può comportare il ricovero per psicosi e pensieri suicidi. E questo senza considerare l’impatto dell’ecoansia, specialmente tra i giovani. Come se non bastasse, il caldo estremo riduce l’efficacia di alcuni farmaci usati per curare le malattie psichiatriche, mentre altri medicinali, come gli antipsicotici possono sopprimere il senso di sete e favorire, quindi, la disidratazione.
Un altro effetto che chiunque non sia in vacanza in questi giorni sta sperimentando è il calo delle performance lavorative: una ricerca condotta su studenti di Boston ha rilevato che senza aria condizionata durante un’ondata di caldo i risultati dei test cognitivi e i tempi di reazione sono stati del 13% peggiori di quelli di chi aveva l’aria condizionata a disposizione. Le difficoltà contribuiscono alla frustrazione che a sua volta accresce l’aggressività: non a caso anche gli episodi di criminalità violenta sembrano aumentare nei periodi di maggiore afa; bastano uno o due gradi in più della media per provocare un picco nelle aggressioni, tanto che si calcola che entro il 2090 la crisi climatica potrebbe essere responsabile di un aumento fino al 5% a livello globale in tutti i crimini, per un insieme di fattori psicologici, sociali e biologici. Tra questi ultimi, l’aumento fisiologico della produzione di cortisolo e il calo della serotonina, che tra le altre cose tiene sotto controllo l’aggressività e viene influenzata dalle temperature elevate.
Tutti questi problemi sono conseguenze sociali della crisi climatica, che si riversano sia sul benessere collettivo che su quello meramente economico, compreso un sovraccarico del sistema sanitario, purtroppo già in difficoltà. A peggiorare il tutto vi sono altri problemi sociali, che il caldo anomalo e gli eventi metereologici violenti sembrano inasprire. Il Lancet ha pubblicato di recente una revisione sistematica di studi sull’effetto che ha l’aumento delle temperature sulla violenza di genere perpetrata nei confronti di donne e altre minoranze, che peraltro spesso sono le prime vittime della crisi climatica stessa. La maggior parte degli studi ha mostrato un aumento della violenza, specialmente durante o in seguito a eventi meteorologici estremi, anche per effetto di instabilità economica, insicurezza alimentare, stress e un generale esacerbarsi delle disparità di genere.
È evidente che l’impatto sanitario della crisi climatica, con i suoi effetti più o meno diretti, ci sta già colpendo. Per questo è urgente che i governi – che sembrano sempre alle prese con problemi apparentemente più importanti – intraprendano iniziative radicali per frenare il cambiamento climatico, ma anche per adattare a queste nuove condizioni la nostra vita sociale. Anche perché non si può fare affidamento sull’aria condizionata accesa al massimo per tre mesi all’anno, con i conseguenti enormi consumi di energia, per poi uscire nei 40°C esterni rischiando un malore. Orari di lavoro, dress code, trasporti, dieta, stile di vita: molte delle nostre abitudini devono essere ripensate. Non possiamo più procrastinare l’intervento sempre più urgente e radicale per frenare la crisi climatica. Ne va della nostra stessa salute. I rischi sanitari che ci rendono più difficile la vita in estate sono conseguenze della crisi climatica ben più evidenti rispetto agli effetti di lungo periodo, che in media le persone faticano a considerare come reali, percependoli come distanti. Dar loro il giusto risalto servirebbe ad affrontarli meglio, anche – forse – a far prendere atto della realtà chi si ostina ancora a non vederla.