Dopo uno stallo di oltre due anni, il 20 maggio il ddl 998 sul biologico è passato anche al Senato. Nelle intenzioni, si tratta di una risistemazione del comparto agricolo, per esempio difendendo la produzione biologica locale con il marchio “Biologico Italiano”. Nei fatti, il testo è controverso perché, tra l’intento esplicito di promuovere il bio e l’auspicio che venga sempre di più adottato nelle mense, è stato inserito un comma che stona con questi obiettivi, equiparando produzione biologica e biodinamica. Il rischio è quello di produrre confusione nei cittadini, da un lato valorizzando pratiche come quelle biodinamiche, ai limiti del misticismo, e dall’altro screditando l’agricoltura biologica stessa, che hanno invece l’appoggio da anni da parte di istituzioni come Onu e Unione Europea.
Il disegno di legge Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico al Senato ha trovato l’opposizione delle sole senatrici Elena Fattori, astenuta, ed Elena Cattaneo, contraria. Quest’ultima, da scienziata, ha presentato due emendamenti – che non sono stati accolti – nel tentativo di eliminare proprio il passaggio sull’equiparazione di fatto tra biologico e biodinamico. Le modifiche introdotte rispetto alla stesura originaria – delle quali la principale è l’aggiunta di un articolo per delegare al governo l’emanazione, entro 18 mesi, di decreti per rivedere la normativa sull’armonizzazione e la razionalizzazione dei controlli – non hanno, infatti, toccato quel comma. Che mette così sullo stesso piano due procedure ben diverse.
Da una parte, infatti, c’è il metodo agricolo biologico che, a fronte di rese leggermente inferiori rispetto al convenzionale, permette importanti risparmi in termini di impatto ambientale, riconosciuti dalla Fao e ottenuti secondo precisi standard europei; questo sistema è da tempo oggetto di interesse e di regolamentazioni ufficiali sia nazionali che europee, che definiscono con precisione i metodi di produzione biologici e rendono obbligatoria la certificazione, da ottenere presso organismi di controllo riconosciuti. Un prodotto agricolo bio, per esempio, deve essere coltivato su terreni lontani da fonti di contaminazione come autostrade e fabbriche, senza l’impiego di fertilizzanti, diserbanti e insetticidi di sintesi e, nel caso si tratti di prodotti animali, deve provenire da bestiame cresciuto senza l’uso di antibiotici o ormoni e nutrito con mangime non trattato chimicamente.
In questo modo è provato che l’agricoltura biologica possa migliorare la fertilità del suolo – grazie alla rotazione delle colture, al riciclo dei residui colturali e all’applicazione di concimi organici – proteggere le falde acquifere e preservare la biodiversità. Tutto questo generalmente comporta un minore consumo di combustibili fossili rispetto all’agricoltura convenzionale e aiuta a risparmiare acqua, come rilevato dai report dell’Onu. Uno strumento importante, quindi, rispetto alle monocolture agricole che, a causa soprattutto di insetticidi e impoverimento del suolo, continuano a provocare danni ambientali.
Dall’altra parte c’è invece il metodo biodinamico, una modalità priva di basi scientifiche ispirata dalle conferenze del 1924 del fondatore dell’antroposofia – dottrina secondo cui l’uomo può arrivare a conoscere l’invisibile per svolgere il proprio ruolo nell’universo –, il filosofo Rudolf Steiner. In aggiunta ai principi di quella biologica, la produzione biodinamica prevede di seguire alcuni dettami in bilico tra astrologia, con l’osservazione delle fasi lunari, ed esoterismo, con l’uso di preparati come il “cornoletame” – o “preparato 500” –, cioè del letame inserito in un corno di vacca che ha partorito almeno una volta, tenuto sottoterra, poi estratto e dinamizzato con acqua (cioè sottoposto a scuotimenti, come si fa nell’omeopatia). Questo, attraverso vaghi richiami spirituali all’equilibrio delle componenti dell’universo, servirebbe a migliorare la produttività delle colture. Non solo non esistono evidenze scientifiche di tutto questo, ma un conto è seguire pratiche di ispirazione mistica neopagana – purché si applichino anche i dettami dei prodotti biologici, per i quali i consumatori hanno pagato – un altro è invece sfruttare questa associazione per dare visibilità, legittimazione ufficiale e potenzialmente anche fondi e programmi di formazione dedicati a una pratica pseudoscientifica, come si rischia di fare con l’approvazione della nuova legge.
L’associazione tra i due metodi è anche poco giustificabile, dato che negli ultimi anni in molti casi l’agricoltura biodinamica si sta allontanando dal biologico. E qui sta un altro grosso problema, perché biodinamico, pur non essendo un metodo agricolo ufficialmente riconosciuto – almeno fino a questo momento – è invece un marchio registrato; per la precisione della multinazionale tedesca Demeter, che ne detiene il marchio privato commerciale, concedendolo laddove le pratiche attuate seguano anche i principi del biologico. Questo valeva fino a poco tempo fa: da qualche anno a questa parte, infatti, questa equazione non è più scontata, perché – come ha spiegato a Wired Michele Antonio Fino, docente di Fondamenti di diritto europeo, food law ed ecologia all’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo – “Oggi oltre a Demeter sono nate altre realtà, aziende private che riconoscono e danno il marchio di biodinamico anche a prodotti che non sono in primo luogo biologici”. In sostanza, se un prodotto deriva da agricoltura biodinamica, non si può più dare per scontato che sia anche biologico, contrariamente a quanto i consumatori sono, comprensibilmente, portati a pensare.
Il comma del ddl approvato al Senato sembra inserito per creare confusione; forse questo è il risultato del fatto che il ddl approvato è la sintesi di diverse proposte di testo, avanzate da gruppi parlamentari di orientamento politico diverso, e rappresenta quindi un compromesso tra le diverse posizioni. Tra promotori dell’iniziativa di legge, infatti, come primi firmatari figurano i nomi dei deputati Maria Chiara Gadda, oggi in Italia Viva, Susanna Cenni e Antonella Incerti del Partito Democratico, Paolo Parentela del Movimento 5 Stelle e Guglielmo Golinelli della Lega. Questi, inserendo un comma che afferma di tutelare il biodinamico in quanto biologico – quando la legge in materia in realtà già vi si applicava – attraverso un semplice comma hanno modificato profondamente e persino smentito le intenzioni dichiarate nel testo iniziale della proposta di legge, che si proponeva di “incentivare il biologico attraverso iniziative di informazione, formazione ed educazione al consumo”; si tratta di finalità presenti anche nel testo dei 5Stelle, mentre i deputati della Lega hanno spinto per il marchio Biologico Italiano. In fin dei conti, come ha dimostrato la quasi totale approvazione anche da parte del Senato, i diversi schieramenti politici si sono trovati d’accordo sul testo.
Il risultato è che, oltre a rischiare di generare confusione nei consumatori, il Ddl, una volta divenuto legge, consentirà di mettere sulle nostre tavole, spacciandoli per biologici, dei prodotti che biologici possono anche non essere. Ma che magari hanno ottenuto supporto dallo Stato. La confusione che il testo del Ddl genera, infatti, non è proprio innocente, se si considera che la legge implica anche la possibilità di istituire corsi di formazione, master universitari e programmi di ricerca dedicati al biologico – e quindi in virtù dell’equiparazione, al biodinamico – sostenuti con fondi pubblici. Considerando che la ricerca deve sempre fare i conti con risorse limitate, non è il caso di dare la possibilità a qualcuno di spendere energia, denaro, tempo e lavoro su pratiche che si collocano sul sottile confine tra magia e pseudoscienza, magari per regalare loro una patina di attendibilità. Magari aprendo anche la strada – e potenzialmente le sovvenzioni pubbliche – a una serie di altre pratiche pseudoscientifiche.