Oggi è uno dei mezzi che usiamo per combattere il surriscaldamento globale. Eppure la bicicletta fu inventata nel 1817 per ovviare alla moria di cavalli dovuta alla carestia dell’“anno senza estate” – il 1816 – causata dall’esplosione di un vulcano in Indonesia, che l’anno prima offuscò il cielo sconvolgendo gli equilibri termici facendo precipitare la temperatura media del pianeta. Oggi la bici è uno dei nostri migliori alleati per limitare le emissioni inquinanti prodotte dalle auto.
In Europa tra il 2000 e il 2016 la concentrazione di polveri sottili nell’aria ha registrato un calo graduale. Considerando che il trasporto su strada è una delle sue principali cause e che il volume dei passeggeri è rimasto costante, ciò significa che sta migliorando la sostenibilità dei mezzi di trasporto. La strada verso l’obiettivo europeo delle zero emissioni nette entro il 2050 è lunga, ma diventa più facile seguirla se è vero che per i millenial l’automobile non sembra più avere l’attrattiva di uno status symbol. E, tra ingorghi e i semafori, non è nemmeno più l’emblema della velocità. Tuttavia, a gennaio di quest’anno, sulla base dei dati del ministero dello Sviluppo Economico, in Italia si è calcolato un aumento del 3,5% delle emissioni dovute a benzina e gasolio rispetto a gennaio 2018. Secondo i dati del rapporto della European Environment Agency sulla qualità dell’aria in Europa, il nostro Paese l’anno scorso è risultato tra i peggiori a livello europeo per superamento (sia giornaliero che annuale) dei limiti del PM10 . È urgente trovare un equilibrio tra il bisogno di spostarsi in città e la volontà che queste diventino luoghi in cui sia sano (e piacevole) vivere.
La bicicletta è oggi il mezzo di trasporto più efficiente quanto a rapporto tra distanza percorsa e energia bruciata e il più veloce per gli spostamenti urbani inferiori a 7,5 km (equivalenti a 30 minuti o meno di pedalata), ideale per andare incontro alle necessità di un cittadino italiano, i cui spostamenti medi sono di 4,2 km. Ma c’è un problema sul piano culturale: chi si sposta in bici deve quotidianamente affrontare non solo i rischi legati al traffico, ma anche la possibilità di essere insultato, o peggio, da parte degli automobilisti: una vera e propria disumanizzazione dei ciclisti – a cui ci hanno abituato decenni di protagonismo dell’auto – rende più probabile l’aggressione e l’insulto nei loro confronti. Qualcuno suggerisce di usare termini diversi per distinguere il vero ciclista (che lo fa per sport) da chi usa la bicicletta come mezzo di trasporto quotidiano.
Un altro grosso problema riguarda il bike sharing, ampiamente diffuso e apprezzato anche in Italia: il servizio reso ai cittadini deve scontrarsi con atti di vandalismo tali da aver indotto la compagnia con sede a Hong Kong GoBee a lasciare l’Europa nel 2018, quando il 60% dei loro mezzi erano stati vandalizzati dopo pochi mesi di presenza a Torino, Milano e Firenze. È successo anche a Manchester alle bici della compagnia cinese Mobike. Si tratta di un servizio gestito dagli utenti tramite mobile, per pochi centesimi all’ora e in free floating: una buona opportunità per la nostra mobilità urbana, che deve fare i conti con un nodo culturale che porta a vandalizzare per passatempo ciò che appartiene alla comunità, che molti interpretano ancora come qualcosa che “non è di nessuno”.
Tra i nodi da sciogliere ci sono innanzitutto i numeri, che in Italia sono ancora scarsi. Se è vero che negli ultimi anni è in crescita il numero delle piste ciclabili sul territorio, con percentuali di spostamenti in bici tra l’1 e il 5% sul totale della mobilità urbana, il nostro Paese è ancora lontano dalle vette di Paesi Bassi e Germania. D’altra parte il boom del cicloturismo, secondo il Rapporto di Isnart-Unioncamere con Legambiente e Legambici, nel 2018 ha portato 77,6 milioni di persone a scegliere la bici per le loro vacanze in Italia, divise tra coloro che la considerano parte integrante del viaggio e chi la usa per le escursioni. L’Italia segue una tendenza che ha già avuto riscontri molto positivi in tutto il mondo. A Copenaghen, le infrastrutture e le decisioni delle amministrazioni spingono i cittadini a cambiare abitudini: grazie al Cykelslangen – un ponte ciclabile sopraelevato presso il trafficato porto della città – aperto nel 2014 e i crescenti spazi cittadini dedicati, la bici è sempre di più il mezzo preferito dai locali, che fanno a loro volta pressioni sull’amministrazione per ampliare i percorsi ciclabili, in un circolo virtuoso. Ma anche Siviglia, ben lontana dalla realtà danese, in pochi anni ha moltiplicato il numero di ciclisti grazie alle iniziative dell’amministrazione, come piste ciclabili separate dalla strada, integrazione con il trasporto pubblico, bici a noleggio gratuite per una giornata e biciclette prestate agli studenti per l’anno accademico. A Davis, in California, grazie ai collegamenti extraurbani con il treno, all’autobus gratuito per studenti e impiegati dell’università e al divieto per gli studenti universitari di usare e parcheggiare l’auto nel campus, è possibile – contrariamente al resto degli Stati Uniti – vivere senz’automobile e preferirle la bicicletta.
Per migliorare l’approccio italiano alla bici, ancora lontano dal suo potenziale, è quindi auspicabile e necessario l’impiego dei 361 milioni di euro stanziati dal governo fino al 2024 per interventi per la sicurezza della circolazione ciclabile cittadina e le ciclovie turistiche, messe in bilancio nella scorsa legislatura e confermate con l’attuale. Nel piano di investimento rientrano i 45 chilometri del Grab (Grande raccordo anulare delle bici) di Roma e altri 5.690 chilometri complessivi di nuovi itinerari: dalla Ven-To alla Ciclovia dell’Acqua da Caposele ad Avellino, quella di Santa Maria di Leuca a Lecce, la Ciclovia del Garda e quella della Magna Grecia.
La bici porta anche ricchezza, misurata con il Pib (Prodotto interno bici), ossia la stima degli effetti economici diretti e indiretti degli spostamenti sulle due ruote. L’attuale Pib italiano ammonta a oltre sei miliardi di euro, somma della produzione di bici e accessori, delle “ciclovacanze” e dell’insieme delle esternalità positive generate dai riders (risparmio di carburante, benefit sanitari o riduzione di emissioni nocive), con una cifra pari al valore dell’export del nostro settore vinicolo. E questo considerando che la bici è oggi usata come mezzo di trasporto solo dal 3,6% della popolazione, secondo i dati Legambiente. La cifra complessiva, inoltre, non tiene conto di misurazioni più difficili da rilevare come la diminuzione dei tempi di percorrenza, il calo della congestione del traffico e il valore aggiunto generato da una migliore qualità della vita percepita dai cittadini.
A Bi Ci, il secondo Rapporto Legambici sull’economia della bici in Italia, ha incrociato il Pib con la percentuale di territorio ciclabile nelle regioni italiane per stimare la “cicloricchezza” del Paese: la somma di risparmio di carburante, benefici sanitari, contenimento dei costi ambientali e sociali dei gas serra, riduzione di smog e rumore, abbattimento dei costi delle infrastrutture e dell’artificializzazione del territorio determina un bonus ambientale e sanitario pro capite l’anno pari a 179,5 euro in Veneto, 190 euro in Trentino-Alto Adige e quasi 200 euro in Emilia-Romagna. Complessivamente il valore supera il costo delle infrastrutture necessarie: se in tutte le città italiane con più di 50mila abitanti si pedalasse come a Bolzano – dove ogni chilometro di strada ciclabile produce un Pib di oltre un milione di euro l’anno – Pesaro o Ferrara (tra le 12 città italiane che hanno numeri paragonabili alle città del Centro e del Nord Europa), il Pib italiano supererebbe i 18 miliardi e garantirebbe oltre 86mila nuovi posti di lavoro, con la produzione di bici, la loro manutenzione e servizi logistici.
Poco costosa (almeno nella sua versione base), la bici è democratica perché accessibile a tutti e questo l’ha resa anche un emblema di emancipazione. Forse anche per questo a fine Ottocento era considerata una causa di follia, specialmente per le donne, che per usarla agevolmente dovevano vestirsi in modo più pratico rispetto alla moda dell’epoca. Ancora oggi, in alcuni Paesi non è scontato vedere una donna che pedala. Ma se la portata simbolica e l’aspetto “verde” delle due ruote non bastassero, la bici conviene economicamente ed è efficiente: sono gli ingredienti per far sì che un numero sempre maggiore di persone compia scelte più verdi nella vita di tutti i giorni. Pedalare fa risparmiare sulla palestra da un lato e dall’altro sulle spese per carburante, manutenzione e assicurazione dell’auto. Ma è anche un aggregante sociale e fa bene alle comunità locali: in un’aria più pulita e in un contesto più sicuro, pedonalizzare le città può, tra le altre cose, offrire ai bambini aree di gioco all’aria aperta dopo la scuola e supportare teatri, bar e negozi. Non da ultimo, chi attraversa un centro abitato in bici fa più acquisti nei negozi locali, creando un beneficio per l’intera comunità.
In Italia sono ancora pochi gli esempi di integrazione dei trasporti, con scarse agevolazioni per gli utenti di interscambio e ridotte possibilità di trasporto bici su treni e mezzi pubblici locali. Il rapporto Isfort sulla mobilità sottolinea l’urgenza di un piano nazionale per la mobilità urbana che la renda efficiente e integrata su tutto il territorio, anche con incentivi economici ai comuni virtuosi. Il documento consiglia di puntare anche sulla tecnologia e non temere le iniziative di pricing e interdizione al traffico. Le azioni a favore delle bici possono essere impopolari, ma pagano sul lungo periodo. È quel che è successo negli anni Settanta a Groningen, in Olanda, dove l’amministrazione, per arrivare al tasso del 61% degli spostamenti urbani via bici, si è scontrata con i negozianti del centro che temevano una diminuzione degli avventori (che non avvenne). E se la stessa Amsterdam non è sempre stata la capitale delle due ruote che è oggi, ma lo è diventata con iniziative dal basso avvallate dall’amministrazione, allora tutti possono farcela. Per il momento il nostro Paese promuove la mobilità ciclistica con un provvedimento entrato in vigore nel 2018 che prevede, tra l’altro, l’istituzione di Piani regionali per la mobilità ciclistica e la nascita di Bicitalia, una rete ciclabile nazionale integrata nell’europea EuroVelo. Le premesse ci sono: adesso è ora di pedalare.