A fine ottobre il Mar Glaciale Artico non si è ancora ghiacciato, è un pessimo segnale per il clima - THE VISION
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Quando dobbiamo pensare a un posto davvero freddo, con distese di ghiaccio a perdita d’occhio, il pensiero corre subito al Polo Nord, quello che nell’immaginario collettivo è una landa ghiacciata dove domina il bianco accecante della neve compattata. Questa immagine potrebbe diventare presto un ricordo. A fine ottobre, infatti, il mare di Laptev – la principale fonte di ghiaccio di tutto l’Artico, situato a nord delle coste della Siberia orientale – non si è ancora ghiacciato. È la prima volta, da quando si tiene traccia di questi dati, che a questo punto dell’anno sul mare di Laptev non si è ancora formato il consueto strato di ghiaccio. Le temperature dell’oceano in quell’area sono di 5 gradi sopra la media, un record, e i grafici che mostrano l’andamento dei ghiacci artici – che in questo periodo dell’anno dovrebbero segnare un’impennata a rappresentare il veloce congelamento delle acque dopo una quota fisiologica di scioglimento durante l’estate – quest’anno mostrano una linea quasi dritta.

Si tratta del proseguimento di un trend che negli ultimi 14 anni ha fatto segnare una costante riduzione del ghiaccio, iniziata però con fasi alterne sin dal 1979, anno dell’inizio di questo tipo di rilevazioni. A sottolinearlo è Walt Meier, ricercatore del US National Snow and Ice Data Center – specializzato nello studio delle banchise e del climate change nelle regioni artiche –, per il quale buona parte del ghiaccio di antica formazione nell’Artico sta scomparendo; a ogni stagione, infatti, lo strato che si forma è sempre più sottile, tanto che complessivamente lo spessore medio del ghiaccio artico è la metà di quanto era negli anni Ottanta. A partire da quel decennio, quando il ghiaccio più antico copriva oltre due milioni di chilometri quadrati dell’Oceano Artico, i ghiacci in questa regione sono diventati sempre più sottili, mentre hanno cominciato a sciogliersi anche quelli più antichi. L’estensione del ghiaccio più vecchio di quattro anni di età segue un trend in discesa che procede al ritmo di 70mila chilometri quadrati all’anno, equivalenti a un declino di oltre il 6% annuo in più rispetto alla media registrata nel del periodo 1984-2020. La cosa ancora più preoccupante è che la tendenza non mostra segnali di rallentamento e le proiezioni indicano che, tra il 2030 e il 2050, l’Artico registrerà la sua prima estate senza ghiaccio. Nel peggiore dei casi, nel giro di un decennio dovremo iniziare ad abituarci a vedere il Polo Nord semplicemente come un mare.

Il ritardato congelamento che si sta verificando quest’anno nel Mare di Laptev – così chiamato dal nome degli esploratori russi Dmitrij e Chariton Laptev che nel Diciottesimo secolo esplorarono la zona – è in parte causato dalla prolungata estate nel nord della Russia: proprio sul lato eurasiatico dell’Artico, infatti, quest’anno si sono segnati diversi record, con la temperatura dell’aria che ha toccato gli 8 gradi sopra la media nelle regioni costiere che affacciano sul Mare di Laptev e una mitezza anomala in Siberia, dove l’estate quest’anno è stata particolarmente lunga. Dopo un maggio già precocemente caldo, inoltre, giugno è stato il secondo più caldo dopo quello del 2005, e a questo si è aggiunto anche l’agosto più caldo dall’inizio delle rilevazioni per la regione artica nel 1979.

A interferire con la formazione del ghiaccio artico, oltre alla temperatura dell’acqua contribuisce anche la rottura degli equilibri tra le correnti oceaniche. Una maggiore estensione di mare aperto (quindi senza banchise) significa anche più turbolenze, a causa dell’assenza di ghiaccio a fermare le onde: questo facilita il mescolarsi degli strati di acqua “tiepida” dei fondali provenienti dall’Atlantico con quelli di acqua gelida degli strati più superficiali dell’Artico, interferendo così con la formazione dello strato di ghiaccio. A spiegarlo sono gli scienziati climatici, preoccupati per i possibili effetti a catena in tutta la regione polare. Tra loro c’è Lars Kaleschke dell’Alfred Wegener Institute di Bremerhaven, in Germania, che sottolinea: “Quest’anno, dopo un’estate calda, la quantità di ghiaccio attuale è al secondo posto più in basso dall’inizio delle rilevazioni. Osserviamo un ritardo nella formazione del ghiaccio in quest’area, dove abbiamo ora quattro milioni di chilometri quadrati in meno di copertura glaciale rispetto a quanto atteso dagli anni Ottanta a oggi, un’area pari all’estensione della Germania intera”. Nel complesso, a settembre l’estensione media del ghiaccio artico è stata di 3,92 milioni di chilometri quadrati, il secondo livello più basso in oltre 40 anni di misurazioni, dietro solo ai livelli record del 2012. E siamo a quasi 2,50 milioni di chilometri quadrati sotto il livello medio mantenuto tra 1981 e 2010. Il leggendario Passaggio a Nord Ovest – leggendario proprio per la difficoltà, quando non impossibilità, di attraversamento a causa dell’ingombro dei ghiacci e della durezza delle condizioni climatiche – a fine settembre era ancora sgombro e percorribile. Questo significa che il tasso medio di perdita della copertura di ghiaccio nell’Oceano Artico è del 13% per decennio.

Sono diverse le ragioni per cui questo dato deve allarmare e non solo per quanto riguarda le condizioni di vita (e l’imminente estinzione) degli orsi bianchi e di altre creature che abitano l’area, ma anche per le conseguenze ambientali che coinvolgono tutto il Pianeta. Da un lato, infatti, una minore copertura di ghiaccio significa anche una ridotta capacità di riflettere i raggi del sole – compito svolto dalle ampie superfici bianche dei ghiacci artici – con il risultato di favorire ulteriormente il surriscaldamento globale e l’accelerazione del riscaldamento proprio del Polo Nord, area in cui il climate change prosegue a velocità quasi doppia rispetto al resto del mondo. Il ghiaccio del Mare di Laptev, inoltre, dopo essersi formato all’inizio della stagione invernale, nei mesi successivi si sposta verso ovest portando nutrienti attraverso l’Oceano Artico, prima di spaccarsi e frammentarsi durante la primavera tra la Groenlandia e le isole Svalbard, a nord della Norvegia. Se il ghiaccio nel mare di Laptev si forma più tardi, quando raggiunge quest’area sarà più sottile e quindi in buona parte sciolto, portando con sé meno plankton. Questo non solo impoverisce l’Artico di fonti di cibo per diversi animali marini, ma determina anche una minore capacità di abbattere la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera: il plankton  è infatti in grado di assorbire il biossido di carbonio e di aumentare le proprie capacità di assorbimento in funzione di una maggiore presenza di anidride carbonica.

La sopravvivenza dei ghiacci dei Poli è indispensabile per la stabilità del Pianeta, dato che le conseguenze dell’emergenza climatica in queste regioni si ripercuotono sulla vita di tutte le specie della Terra. L’Oceano Artico è un campanello d’allarme che risuona particolarmente forte in questi giorni, perché proprio in quest’area tanto il surriscaldamento climatico quanto l’acidificazione dell’oceano procedono a velocità record, avvicinandoci al punto di non ritorno. Un’analisi del Grantham Institute dell’Imperial College di Londra evidenziò già nel 2015 che, se lo stesso aumento della temperatura registrato dalla superficie degli oceani tra il 1955 e il 2010 si fosse verificato nei  10 chilometri più bassi di atmosfera, oggi le temperature medie terrestri sarebbero aumentate di 36 gradi. Gli oceani sono un preziosissimo fattore protettivo per la Terra, come dimostra il fatto che più del 93% dell’aumento delle temperature causato dalle attività antropiche dagli anni Cinquanta a oggi è stato assorbito dagli oceani. Ma questa capacità non li rende meno fragili né in grado di salvarci in eterno. L’Artico non ancora ghiacciato a fine ottobre ce lo ricorda in modo spietato.

Dall’assottigliarsi dello strato di ghiaccio alle emissioni di metano che fuoriescono dal suolo a causa dello scioglimento del permafrost, tutto quel che avviene al Polo Nord e nelle regioni limitrofe è conseguenza di una crisi climatica che ci stiamo dimostrando incapaci di gestire. Questo innesca un circolo vizioso con ripercussioni sempre più gravi in tutto il Pianeta, dall’innalzamento del livello dei mari all’estinzione di interi ecosistemi e habitat, con conseguenze drammatiche per la vita di tante popolazioni. Purtroppo, però, un Artico sgombro dai ghiacci apre anche nuove vie di commercio e possibilità di sfruttamento di risorse naturali che fanno gola a multinazionali e governi. Ancora una volta, la crisi climatica non è altro che una delle conseguenze dell’egoismo e interessi di pochi a danno di tutta l’umanità, oltre che del Pianeta. Proprio per questo dobbiamo unire le forze a livello internazionale: gli oceani, compreso quello Artico, hanno confini solo sulle mappe tracciate sul Planisfero, ma possono essere protetti solo da uno sforzo di tutto il mondo, prima che il poco tempo a nostra disposizione si esaurisca del tutto.

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