Il giorno in cui a casa del mio ragazzo è arrivato un pacco regalo con dentro il purificatore d’aria di un noto brand di aspirapolveri costosissime non ho capito bene cosa fosse. Mi sembrava un monolite nero inutile, da tenere lì in un angolo e all’occasione dover anche spolverare, in una situazione di pigrizia giovanile in cui già lo sforzo per tenere pulita una stanzetta singola sembrava sovrumano. Era qualche anno fa, Milano era inquinata quanto oggi – o forse leggermente di più, direbbe il sindaco Beppe Sala – ma ingenuamente non ho visto una vera utilità in quell’aggeggio fino ad ora, quando è scattato il panico generalizzato per lo smog in Pianura Padana.
L’allarme inquinamento che ha mandato tutti in tilt a febbraio 2024 è partito proprio dalla segnalazione di iQAir, azienda Svizzera che, tra le altre cose, vende purificatori d’aria di lusso – intelligenti, per grandi ambienti, per diversi agenti chimici – e mascherine FFP2 di altissima fascia che promettono di proteggere da tutto: virus, batteri, fumo di incendio selvaggio e polveri sottili. Segnalare che Milano fosse tra le città più inquinate del mondo è stata forse una trovata di marketing a dir poco geniale per i vicini svizzeri, che godono di un’aria paradisiaca se paragonata a quella dell’inferno padano, eppure producono sofisticate macchine per purificarla ulteriormente. Del resto, per quanto i media italiani abbiano specificato che IQAir “si avvale di un indicatore differente, l’americano Air Quality Index” e che “non tutte le città sono incluse nella sua classifica”, l’azienda non ha fatto altro che richiamare l’attenzione sulla triste realtà: la qualità dell’aria in alcune zone dell’Italia, soprattutto al nord, è molto problematica.
In quei giorni, dopo settimane di valori esponenzialmente sopra la soglia, le raccomandazioni mediche comunicate dall’infosfera erano allarmanti: evitare l’esercizio fisico all’aperto, chiudere le finestre per non far entrare in casa l’aria, indossare una mascherina all’aperto e, ovviamente, procurarsi un purificatore. È stato esattamente in quei momenti che il monolite nero polveroso all’angolo della stanza da anni, come un magico Pinocchio, si è traformato in un elettrodomestico. Da allora io e il mio ragazzo, che nel frattempo siamo diventati genitori, lo accendiamo quasi tutti i giorni. Ci piace vedere la linea del piccolo grafico sul suo schermo spostarsi dall’area gialla – qualità dell’aria in casa così così – a quella verde – qualità dell’aria OK – in una quotidiana gamification, in cui in gioco c’è la salute a lungo termine di tutta la famiglia.
I dati sulle ripercussioni di una cattiva qualità dell’aria sono, come sappiamo, disastrosi. L’Italia è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti umani, proprio per l’inazione legata ai valori di inquinanti sopra la soglia. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, nel 2020 più di 300 mila persone sono morte prematuramente nell’UE a causa dell’esposizione al PM2,5, ozono e biossido di azoto. Oltre ad accorciare la durata media della vita di circa 2-3 anni, l’inquinamento atmosferico causa problemi di salute cronici, comportando costi significativi per il settore sanitario – il che crea problemi di bilancio pubblico, però, soltanto se il servizio sanitario funziona. La questione economica, quando si parla di transizione ecologica, giustizia climatica e ambiente in generale, è sempre l’altra faccia della stessa medaglia, da qualsiasi angolatura la si guardi. Secondo il buonsenso e diversi studiosi – tra cui il Premio Nobel per l’economia del 2018, William Nordhaus, che ha teorizzato in tempi meno sospetti la necessità di imporre una carbon tax – investire pubblicamente, tutti insieme, per risolvere i problemi ambientali è molto meno oneroso, sul lungo termine, che far finta di niente. Lo si vede molto bene, banalmente, con i disastri provocati dagli eventi meteorologici estremi. Eppure, di recente, la regione Lombardia ha ottenuto una deroga di dieci anni dall’UE per continuare a non rispettare i parametri di qualità dell’aria. Motivo addotto: condizioni geografiche e orografiche “particolari”.
L’immobilismo, quindi, che si parli di aria o di temperature record, è ancora l’approccio dominante. Una pandemia globale non è bastata a farci capire quanto le nostre vite siano interconnesse – forse perché non lo sono poi così tanto. Nemmeno l’aria che respiriamo, infatti, è democratica come sembra. Tra gli abitanti delle città c’è chi può permettersi di installare in casa raffinati impianti di depurazione, puntuali e precisi come orologi svizzeri, chi passa le lunghe vacanze un po’ in montagna un po’ al mare. E chi no. Un’indagine condotta dall’Agenzia per la tutela della salute di Milano pubblicata recentemente sulla rivista “Epidemiologia&Prevenzione” dimostra che nei quartieri di periferia in cui le case costano meno – dove passano le tangenziali, c’è meno verde, maggiore densità abitativa e un’età media più alta – il tasso di decessi per biossido di azoto e polveri sottili può aumentare di molto rispetto a quello registrato nelle aree limitrofe al centro, dove ci sono più alberi e il traffico è soggetto a limitazioni.
In un recente articolo su The New Republic, Shayla Love ricorda l’estate 2023, quando i fumi degli incendi in Canada hanno reso New York la città più inquinata del mondo. Le attività all’aperto erano state cancellate, le scuole chiuse e i depuratori d’aria erano andati a ruba in tutti i negozi di quartiere. Ma se in strada l’aria fumosa era pessima per tutti, nei condomini di fascia alta di Manhattan, perfettamente isolati, si respirava come in alta montagna. In un particolare complesso di lusso visitato dalla giornalista, ogni unità abitativa era dotata “di un proprio sistema di ventilazione di ingegneria svizzera”, controllato da una app. In ciascun appartamento l’aria non era mai condivisa con quella degli altri, mentre quella esterna veniva filtrata e trattata ogni ora con una luce ultravioletta-C che uccide il 99,9% degli agenti patogeni. Le finestre a triplo vetro, a prova di spifferi, venivano aperte solo ogni tanto per essere pulite.
Anche in California, dove c’è un annoso problema di incendi, il mercato immobiliare dell’aria purissima è realtà già da qualche anno. Nel 2020, il Los Angeles Times raccontava di un costruttore con sede a San Francisco che vendeva la purezza dell’aria all’interno di proprietà milionarie come se si trattasse di una palestra, un giardino o un garage. L’agente descriveva sistemi di depurazione molto sofisticati che, nel complesso, potevano arrivare a costare anche 200mila dollari: non solo, infatti, si filtra l’aria dall’esterno ma anche quella di zone della casa particolarmente soggette a emissioni “tossiche” come le lavanderie, i bidoni dell’immondizia, il lavandino della cucina. Un solo depuratore, per quanto sofisticato, infatti, non potrà mai eguagliare il lavoro certosino di un vero e proprio impianto capillare.
La stessa tendenza c’è anche in altre aree del mondo in cui la qualità dell’aria e le disuguaglianze sono notoriamente un grande problema. In India, per esempio, scrive Akanksha Singh su Wired, tra i residenti più abbienti i purificatori d’aria sono diventati un argomento di conversazione comune – mentre il 60% dei 1,3 miliardi di abitanti del paese vive con meno di 3 dollari al giorno. “Le persone che possono permetterselo si spostano dalle case con aria purificata a negozi e centri commerciali con aria purificata, viaggiando in auto con aria purificata,” riporta Singh. I brand di purificatori – un mercato che, secondo le stime, solo in India crescerà del 35% annuo raggiungendo i 597 milioni entro il 2027 – per le pubblicità arruolano ormai stelle del cricket e celebrità di Bollywood.
In Italia la fissa per l’aria di lusso nel settore immobiliare non sembra aver ancora preso particolarmente piede – anche se, googlando “purificatori d’aria” e “City Life”, qualcosa viene già fuori. Ma a giudicare dal numero di articoli in italiano delle ultime settimane, anche nel nostro Paese quello dei purificatori, più o meno di lusso e più o meno funzionanti, sarà un mercato in espansione – una situazione da manuale per la nuova economia dell’ansia. Sulla loro efficacia, comunque, non esistono dati derivanti da studi affidabili, e molto dipende dal modello acquistato e da come lo si usa. Se quelli all’ozono sono ampiamente sconsigliati, perché l’ozono stesso è dannoso per la salute, i migliori sembrano essere quelli dotati di filtro HEPA – High Efficiency Particulate Air. Nell’attesa di studi più approfonditi, dicono gli esperti, il tentativo di comprarne uno si può fare, ma non bisogna aspettarsi miracoli.
L’idea che l’aria possa essere una forza democratizzante, che affligge tutti allo stesso modo, è però evidentemente fuori dal tempo. La tendenza che si sta manifestando in USA e in India, dove le disuguaglianze sono notoriamente molto profonde, potrebbe riguardare presto anche noi. La speranza che la preoccupazione per la qualità dell’aria possa contribuire a dare una spinta alle persone più privilegiate per migliorare la situazione, infatti, si scontra con la realtà di un mercato emergente del lusso – fatto non solo di depuratori, ma anche di bunker, gated communities, aerei privati e yacht. Man mano che l’ambiente diventa meno abitabile, la risposta dei ricchi è quella di isolarsi dai suoi aspetti peggiori, di scappare, piuttosto che riversare risorse ed energie in un qualche miglioramento che si possa rivelare utile alla comunità. Agli altri poveri mortali restano le associazioni e le class action, nella speranza che, prima o dopo, qualcosa si smuova.