L’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile ha stimato che dall’inizio della pandemia di COVID-19 il numero di voli nel mondo si è ridotto di circa il 70%, con un calo che in alcuni Paesi europei ha toccato il 90% e perdite a livelle globale stimate in 250 miliardi di dollari. Come spesso accade durante crisi simili, le compagnie aeree hanno chiesto ai rispettivi governi di avviare procedure di bailout per “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”. Un caso paradigmatico è quello di EasyJet: la compagnia ha ottenuto dal governo britannico un bailout di 600 milioni di sterline, mentre nel frattempo obbliga i propri dipendenti a prendere giorni di ferie e distribuisce ai suoi azionisti utili che ammontano a 170 milioni di sterline (di cui 60 ricevute dal fondatore della compagnia).
Non tutti sostengono questa soluzione: all’inizio di aprile più di 302 gruppi e associazioni della società civile di 25 Paesi differenti hanno pubblicato una lettera aperta, sollecitando i governi a respingere le richieste di bailout, insieme a una petizione già firmata da quasi 100mila persone. Parte di questa resistenza popolare contro il settore dell’aviazione è alimentata dai molti aiuti fiscali che gli sono stati concessi negli ultimi decenni, sia come sussidi (per esempio per la costruzione o espansione di aeroporti) che come esenzioni fiscali (per esempio sull’Iva dei biglietti aerei e sul kerosene). Nella sola Unione europea le perdite erariali derivanti da tali trattamenti di favore sono state calcolate nel 2018 in 30-40 miliardi di euro l’anno.
Ma ancora più problematico è il fatto che il settore dell’aviazione è una delle fonti di emissioni climalteranti che cresce più velocemente. Mentre le compagnie aeree ripetono che solo il 2% delle emissioni è loro responsabilità, la verità è che se prendiamo in considerazione altri tipi di gas serra oltre la CO2 (per esempio scie di condensazione, ossidi di azoto, e monossido di carbonio), il settore dell’aviazione è responsabile per il 5-8% delle emissioni climalteranti a livello mondiale. Le compagnie aeree assicurano che i miglioramenti di efficienza incrementeranno la sostenibilità del settore, ma anche in questo caso gli aerei finirebbero comunque per consumare il 12% del budget di carbonio che ci resta per mantenere il riscaldamento climatico sotto la soglia di un grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Ancora più preoccupante è il fatto che alcuni studi scientifici calcolano che l’aviazione potrebbe finire per consumarne il 27% da qui al 2050. Tutto questo senza considerare le emissioni climalteranti e gli altri danni ambientali causati dai 1.200 aeroporti che al momento sono in fase di costruzione o ampliamento in tutto il mondo.
L’impatto è aggravato dalla disuguaglianza alla base del mercato dell’aviazione: nel 2018 solo il 5% della popolazione mondiale ha volato almeno una volta e la metà di questi passeggeri erano nordamericani ed europei. Un’ingiustizia più evidente se si pensa che un singolo volo Roma-Londra emette 234 chili di CO2, ossia più di quanto faccia il cittadino medio della maggior parte dei Paesi dell’Africa subsahariana nel corso di un intero anno. La situazione è però polarizzata anche all’interno dei Paesi ricchi: nel 2018 in Inghilterra l’1% dei cittadini ha riempito il 20% dei voli internazionali, mentre il 48% non ha preso neanche un volo internazionale nel corso dell’anno. La responsabilità per le emissioni generate dall’aviazione varia anche a seconda delle classi in cui si vola: business o first class generano sei volte più emissioni che l’economy class, poiché i sedili più grandi occupano maggior spazio e riducono così il numero totale dei passeggeri a bordo.
Ma quali sono le prospettive di decarbonizzazione del settore dell’aviazione? Nel dicembre scorso, per la prima volta nella storia, un aereo commerciale completamente elettrico ha solcato i cieli. L’apparecchio in questione era però un idrovolante in grado di trasportare solo sei passeggeri ed è rimasto in volo per appena 15 minuti, dimostrando quanto questa tecnologia non sia ancora pronta per una diffusione su scala industriale. L’improbabilità di riuscire a sviluppare nel futuro prossimo aerei di linea o cargo alimentati da batterie elettriche è confermata anche da gran parte della comunità tecnica e scientifica, a causa del peso che queste dovrebbero avere per fornire al velivolo sufficiente energia per percorrere lunghe tratte.
In luce di queste prospettive di elettrificazione, le compagnie aeree scommettono tutto sui miglioramenti di prestazioni e sui biocombustibili. In effetti l’efficienza nell’uso di kerosene negli aerei incrementa di circa l’1.5% all’anno, ma non è sufficiente per controbilanciare una prospettata crescita annua del traffico aereo del 5% per i prossimi 15 anni. Inoltre, gli aerei rimangono in servizio in media per 25 anni, e quindi un velivolo prodotto nel 2020 resterà comunque in servizio fino al 2045, anche nel caso di introduzione di grandi innovazioni tecnologiche.
Dal 2011, anno in cui sono stati approvati, si sta scommettendo sui biocombustibili. Tuttavia al momento i biocombustibili ammontano a solo lo 0,01% del totale del combustibile utilizzato dal settore dell’aviazione, e l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile crede che questa quota salirà a solo il 2% entro il 2025. Ma già all’attuale livello di produzione di biocombustibili non si possono ignorare gli impatti socio-ecologici a livello mondiale: deforestazione, espansione delle monocolture, land grabbing, perdita di sovranità alimentare e incremento dei prezzi del cibo sui mercati mondiali. Inoltre, se si prendono in considerazione le emissioni necessarie per produrre i fertilizzanti e pesticidi usati nelle piantagioni di biocombustibili e l’energia consumata per trasportare a trasformare le piante in combustibile, questa fonte energetica si rivela altamente insostenibile a livello ambientale. Uno studio della Commissione europea è giunto alla conclusione che i biocombustibili prodotti da olio di palma emettono tre volte più emissioni per unità di energia di quanto succede bruciando direttamente il kerosene. L’ultima soluzione trovata è quella di utilizzare biocombustibili derivati da alghe. Il problema è che per sostituire tutto il kerosene utilizzato ogni anno nella sola Unione europea sarebbe necessario mettere a coltura un’area uguale all’estensione del Portogallo, con un grave impatto sugli ecosistemi marini.
Non ci resta che ripensare alla radice il nostro rapporto con l’aereo come mezzo di trasporto. Nel 2011 uno studio della Commissione europea ha affermato che “non possiamo più pensare di mantenere attive delle tratte aeree tra destinazioni che offrono un’alternativa ferroviaria ad alta velocità”. Tale osservazione deriva dal fatto che le emissioni medie per passeggero per chilometro percorso variano in modo massiccio tra mezzi di trasporto: mentre un aereo emette in media 394.5 grammi di CO2 per passeggero per chilometro, una macchina ne rilascia 146.6, un autobus 43.2, e un treno 5.4. Uno studio ha rivelato che in Germania 200mila voli ogni anno (ossia due terzi di tutti i voli domestici) potrebbero essere sostituiti da viaggi in treno di meno di 4 ore su tratte ferroviarie già esistenti. Tali considerazioni cominciano a essere fatte anche in Francia, dove il governo ha costretto la compagnia di bandiera Air France a ridurre le tratte interne in cambio dell’erogazione di aiuti di Stato.
All’azione di alcuni governi segue anche quella dei movimenti di sensibilizzazione sul tema dell’insostenibilità del settore aereo fioriti negli ultimi anni. Il più noto è il flygskam lanciato da Greta Thunberg nel 2019. L’impatto sociale di questi gruppi di opinione sembra già molto profondo: un sondaggio di fine 2019 ha rilevato che tra le 6mila persone intervistate in Germania, Francia, Regno Unito, e Stati Uniti il 21% ha deciso di abbandonare l’utilizzo dell’aereo il più possibile. La nuova sensibilità comune e gli effetti della pandemia da COVID-19 stanno aprendo una prospettiva che sembrava impossibile appena un decennio fa: il nostro futuro carbon free potrebbe davvero realizzarsi con un cielo quasi del tutto sgombro da aerei.