Una domanda che penso di non essere l’unica a essermi posta mentre studiavo storia è quella che riguarda i totalitarismi del Novecento e la reazione delle masse. Perché, a un certo punto, la maggioranza del popolo di una nazione decide di affidarsi a un singolo individuo che sta evidentemente misticizzando la sua immagine, spostando l’attenzione attraverso l’uso di un capro espiatorio per esercitare il potere incontrastato? È un interrogativo molto elementare, ma come tutte le domande semplici non ha una risposta altrettanto lineare. Ci sono diversi fattori che influiscono sulla formazione di uno stato dittatoriale, al di là di quelli più politici, partendo proprio da questa forma di sottomissione delle masse, che sembrano abbandonarvisi quasi volontariamente. Mi sorge il dubbio sul perché a un certo punto in Italia, per esempio, non fossero tutti antifascisti e partigiani, viste le condizioni in cui versava il Paese. Su tali quesiti si sono fortunatamente interrogati pensatori, psicologi e filosofi del Novecento che hanno scritto opere sull’analisi dei fenomeni di massa come i fascismi e le dittature. Uno dei personaggi del Ventesimo secolo che hanno cercato di comprendere come sia possibile che a un certo punto della storia dell’uomo ci si sia ritrovati con un continente invaso da regimi autoritari è Wilhelm Reich, psichiatra galiziano allievo di Freud che è passato dallo scrivere testi di assoluta rilevanza e ispirazione per opere successive molto importanti – come il suo saggio più famoso, Psicologia di massa del fascismo – al morire in un carcere degli Stati Uniti negli anni Cinquanta dopo aver detto di essere entrato in contatto con gli alieni.
La biografia di Wilhelm Reich è forse la cosa che rende questo personaggio catalogabile nella sezione “storie strambe” piuttosto che in quella a cui invece appartiene: quella dei pensatori rivoluzionari capaci di intuire fenomeni che ancora oggi ci trasciniamo nel presente, nonostante siano passati quasi ottant’anni dalla fine del fascismo e del nazismo. Fenomeni come la trasformazione del concetto di comunità in quello di proprietà, la ricerca di un leader politico forte che sublimi frustrazioni e paure, la riproposizione di istanze razziste che legittimino un ipotetico diritto di supremazia su un territorio. Ciò che infatti va tenuto in considerazione approcciandosi al pensiero di Reich non è tanto l’epilogo pittoresco della sua vita, che potrebbe in qualche modo screditare tutto il suo lavoro precedente, ma la determinazione con cui questo psichiatra e ricercatore è stato in grado di gettare le basi per studi successivi –per esempio quelli di Marcuse e di Adorno – e, soprattutto, il merito di aver creato un ponte tra il marxismo e la psicologia.
Dopo essere stato allievo di Sigmund Freud ed essersi da lui discostato in seguito a contrasti legati alle rispettive teorie sulla sessualità e sulla funzione del nucleo familiare borghese, Reich militò anche nel Partito Comunista Tedesco a Berlino, fino poi a dover fuggire negli Stati Uniti sia per le sue idee politiche sia per le sue origini ebraiche. Una volta trasferitosi in America, cominciò la fase più delirante ed esoterica della sua ricerca, uno studio sull’”orgone”, ovvero una scarica di energia sessuale che deriverebbe dall’orgasmo e che permeerebbe tutto lo spazio intorno a noi, compreso quello dell’universo. Reich sosteneva di poter curare malattie anche molto gravi attraverso il controllo e la liberazione di tale energia, normalmente repressa, che una volta sprigionata e liberata dalle catene della repressione e della frustrazione orgastica avrebbe risolto una serie di problemi sia di tipo psichico che fisiologico, come il cancro – fino anche gli uragani. Da questi studi al contatto con gli UFO il passo è stato breve, ed è anche facilmente intuibile perché Reich fosse accusato di frode medica, considerato che negli ultimi anni di vita aveva anche sviluppato una certa tendenza alle manie di persecuzione, probabilmente alimentate dal clima anti-comunista americano degli anni del maccartismo.
Mettendo da parte UFO, avvistamenti di navicelle spaziali nei deserti statunitensi e combattimenti a colpi di raggi energetici con extraterrestri responsabili delle siccità (così sosteneva lui), ciò che rimane del lavoro di Wilhelm Reich è ben altro. Come ad esempio la sua indagine sulla formazione del carattere dell’essere umano, sull’influenza della famiglia nella formazione dell’individuo e sulla correlazione tra autorità familiare e tendenza all’assoggettamento all’autorità politica che prevede la ricerca di un leader forte. La restaurazione di mitologie etniche che ha interessato fasi storiche come quelle del fascismo e del nazismo e che ha investito di un ruolo risolutorio un personaggio forte e carismatico è il centro della questione su cui ruota molta della produzione di Reich, il quale fornisce delle risposte piuttosto plausibili a certe tendenze che, sfortunatamente, persino oggi sembrano tornate in auge, seppur con gradazioni e connotazioni diverse. La sua ricerca è volta alla definizione di una vera e propria genealogia del consenso, attraverso un metodo di indagine che riesca a combinare i due grandi capisaldi di fine Ottocento e inizio Novecento, ovvero la teoria materialista di Marx e la teoria psicanalitica di Freud. Entrambe le correnti, infatti, avevano il difetto di aver ignorato rispettivamente l’aspetto psicologico – in favore esclusivamente di quello economico e di classe – e quello sociale e materialista – riducendo le analisi al solo nucleo borghese della famiglia, senza proporre una rottura con questo ma semmai un controllo.
Il testo per eccellenza di Reich che approfondisce questo legame tra la psicologia e la nascita di regimi fascisti è Psicologia di massa del fascismo, uscito nel 1933, proprio all’alba della dittatura nazista. Per lo psichiatra galiziano la repressione sistematica della sessualità è il motivo che spinge la massa alla sottomissione politica: la compressione dell’impulso biologico fondamentale dell’essere umano nasce all’interno dell’educazione che impartisce ai figli la famiglia autoritaria e patriarcale. Il bambino, attraverso l’esercizio dell’autorità rigida, è infatti portato ad aderire acriticamente ai costumi dominanti, ed è spinto a una competizione con i suoi fratelli e sorelle per la conquista dell’affetto della figura prevalente, ovvero il padre. Questo meccanismo secondo Reich si riproduce dunque anche negli atteggiamenti etnocentrici e pregiudiziali tipici del nazifascismo, un’analisi che viene approfondita anche da diversi filosofi della scuola di Francoforte negli anni successivi, come nell’opera di Adorno La personalità autoritaria. In sostanza, il sentimento di competizione che spinge un bambino alla lotta per la supremazia all’interno di un nucleo familiare è lo stesso che porta un uomo adulto a riconoscersi nei valori del nazionalismo aggressivo, motivato dai tre capisaldi dell’autorità: la famiglia patriarcale, la religiosità mistica e la divisione del lavoro.
Come si può allora spezzare questo circolo vizioso che spinge l’uomo a riconoscersi nei regimi autoritari, espressione politica di persone frustrate? La liberazione sessuale, volta a fare sì che l’individuo si distacchi dalle figure di dispotismo interiorizzate negli anni della formazione familiare, per Reich era la chiave di rottura di questo sistema violento e repressivo. Questa doveva passare attraverso una mobilitazione rivoluzionaria giovanile, che lo psichiatra mise in pratica attraverso il progetto avanguardista di un’associazione per la politica sessuale proletaria, la Sex-Pol. La tensione verso una politica reazionaria, che trova la sua massima espressione nel fascismo, manifestazione storica e collettiva dell’inconscio represso, derivava secondo lui proprio dal fatto che questi movimenti autoritari attingevano da quello che Reich definiva “strato medio” della psiche nella sua divisione del carattere umano su tre livelli: l’individuo che non è dotato di un grande potere soggettivo troverebbe la consolazione nell’identificazione in una razza superiore. Non è un caso infatti che le grandi dittature del Novecento si siano palesate in momenti di gravi crisi economiche: è proprio in questi momenti di insicurezza che l’autostima scende, e la ricerca per un leader forte da seguire e in cui ritrovare certezze e autorità si diffonde. Così, se da un lato la rivoluzione politica avrebbe dovuto scardinare questi sistemi di oppressione sociale, dall’altro la rivoluzione sessuale di Reich avrebbe fornito gli strumenti per fare fuori anche il principale generatore di frustrazione e repressione, ovvero la famiglia. Un messaggio dirompente, anche terrificante nel suo estremismo, ma che ha in sé una lucidità di analisi dei sistemi che compongono la nostra società che è impossibile non notare.
L’idea che la psicanalisi non dovesse essere solo una cura ma una vera e propria soluzione, non un’elaborazione del contenimento dei moti pulsionali ma una liberazione degli ostacoli, portava con sé anche l’idea per cui un analista doveva in sostanza puntare a diventare un disoccupato. Se si riescono a smantellare i presupposti psicologici in cui affondano le radici sentimenti reazionari e irrazionali come quello che ci induce a pensare di fare parte di una razza superiore, il medico che ci cura non avrà più bisogno di seguirci perché saremo di fatto liberi. Oggi siamo in una situazione che spesso presenta inquietanti analogie con quella che l’Europa ha vissuto meno di un secolo fa. Stiamo vivendo un momento storico in cui la presenza di leader carismatici, o “capitani” come a qualcuno piace definirsi, che non fanno altro che dare dimostrazione della loro forza, della loro risolutezza – divise di forze dell’ordine, appelli fatti “da padre”, religiosità spicciola sbandierata come vessillo di moralità – determina l’ingigantirsi di sentimenti di frustrazione e risentimento sublimati in un odio incondizionato verso chi è ritenuto un estraneo, e la difesa dei propri spazi e delle proprie barriere come valori sacri da rispettare. Anche oggi la collettività è sempre di più proprietà, da difendere in nome della propria superiorità e del proprio stato di diritto.
Dagli anni Trenta a oggi nella sessualità degli uomini e delle donne sono cambiate molte cose, tanti tabù sono caduti, tanti limiti sono stati superati. Non so come interpreterebbe il mondo di oggi Wilhelm Reich e come inserirebbe nella sua analisi della realtà – un’analisi che ha come obiettivo il cambiamento, non la semplice descrizione – la forma che hanno preso la famiglia e i suoi cambiamenti. Ma l’idea per cui la ricerca di un leader da seguire ciecamente e che ci salvi da crisi sociali derivi da uno stato di repressione attuato attraverso modelli borghesi, sia familiari che politici, che continuiamo a perpetuare mi sembra più che mai attuale. Reich ha avuto la grande intuizione di sottolineare il rapporto decisivo che intercorre tra ideologia e psicologia, in una missione freudo-marxista che per quanto possa essere connotata da sue personali scelte di appartenenza politica continua ad avere a principi universali uguaglianza e pari opportunità. E più che ricordarci di Wilhelm Reich come un pazzo che credeva di litigare con gli alieni, dovremmo ricordarcelo come un pazzo che credeva di poter liberare l’uomo dalle gabbie che si è costruito con le sue stesse mani.