Per anni il rosé è stato vittima di pregiudizi. Oggi la Puglia ci permette di riscoprirne il valore. - THE VISION

C’è voglia di leggerezza, oggi che i tempi sembrano sempre più asfittici e controllati ancora di più. La capacità di trovarla e curarla per alcuni è innata, mentre altre persone per coltivarla hanno bisogno di circondarsi di un’atmosfera che richiami  costantemente nell’arco delle giornate quell’energia. Dalla musica che ci fa da colonna sonora, passando per i colori che scegliamo di indossare, fino a ciò di cui ci nutriamo, dal cibo al vino. L’atmosfera ha un’influenza importantissima su di noi e al tempo stesso possiamo imparare a plasmarla.

Per definizione l’atmosfera è qualcosa di vago ed evanescente, pressoché indefinibile eppure tangibile attraverso i nostri sensi e in particolare al gusto. Il vino è forse la cosa che più di tutte ci si offre come strumento in questo viaggio, grazie alla sua capacità di stimolarci e di ispirarci attraverso il gusto e il profumo, che evoca una ricca dimensione in cui la mente può avventurarsi. Più i contorni dell’oggetto di cui godiamo diventano imprecisi mescolandosi in noi, più cala sulla nostra percezione un fascino discreto. È infatti nell’indeterminato che si può sognare, vagheggiare, che si aprono infinite possibilità, desideri e fantasie, e si abbandona per un attimo la sponda di ciò che è sempre stato, che deve essere e con cui siamo tenuti a confrontarci. Eppure per quanto ne sappiamo la nostra mente per restare in armonia ha bisogno di spaziare, di distrarsi, di fantasticare. 

Dopo tanti mesi di incertezza e norme severe a cui attenerci abbiamo voglia di avvolgerci in un immaginario che permetta alla nostra identità e alle nostre emozioni di riverberare, una sorta di ambientazione onirica in cui lasciarci cullare, senza obblighi, doveri e rigidità. Abbiamo voglia di ritrovare una dimensione spensierata, fluida, acquatica, che non si prenda troppo sul serio e che ci inviti a guardare alla vita con uno sguardo meno severo.  Forse è per questo che negli ultimi tempi si è registrato un sorprendente cambio di rotta rispetto ai pregiudizi legati al vino rosé. Fino a pochi anni fa, infatti, il rosé era ingiustamente considerato da tanti un vino non pregiato, un prodotto nato da mescite poco ponderate, una volta mi sentii pure dire che era un vino da “femminucce” – probabilmente, udite udite, perché rosa. Come se questo colore portasse in sé il germe simbolico di una paura profondamente radicata in tutti i livelli della società: quella di non essere abbastanza maschi.

Per fortuna questi stereotipi tossici stanno cadendo uno dopo l’altro e anche se può sembrare solo un piccolo dettaglio di costume il fatto che tantissime persone tra le generazioni più giovani dimostrino il loro grande apprezzamento per il rosé, rivela molto di più di un gusto personale. Questo fenomeno è esploso inizialmente negli Stati Uniti, è stato subito raccolto dai francesi, in particolare in Provenza, ed è arrivato poi in Italia, essendo d’ispirazione alla Puglia in particolare. Il Calafuria – nato da un’intuizione del marchese Antinori – è un blend a base Negroamaro, che attinge poi a selezioni di varietali provenienti dal Salento, espressioni vocate dei grandi vitigni di Puglia. Prodotto in una tenuta di Tormaresca – Masseria Maime in San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi – il Calafuria è stato il primo vino italiano a cavalcare quest’onda e a riproporre senza paura l’idea di una vita in rosa, come cantava la grande Édith Piaf, che vive chi non ha paura di essere felice, di abbandonarsi, di sognare, di credere all’impossibile, senza zavorre. Perché le parole d’amore sono in realtà parole di tutti i giorni.

Piero Antinori

A metà tra i vini fermi e gli champagne il rosé è perfetto per celebrare i momenti di spensieratezza e il fatto che sia tanto apprezzato dai giovani ha fatto sì che intorno a questo vino si creasse una vera e propria comunità di creativi, aperta, curiosa, in grado di apprezzare la cultura e riunirsi intorno a essa, motivo per cui sono stati realizzati festival musicali e di fotografia, illustrazione e bottiglie d’artista, come quella ideata dal designer Matteo Cibic, tutte forme di arte pop elevata, che arricchiscono l’esperienza e al tempo stesso sono in grado di raggiungere tutti, così come i rosé, che sono vini comprensibili, freschi, piacevoli e portano con sé l’allegria del colore, mentre un tempo i rosé italiani erano molto più carichi, scuri, impegnativi da bere, cercando forse di essere qualcosa che non erano, motivo per cui probabilmente non gli veniva resa giustizia. Il rosé pugliese, invece, si offre per ciò che è, in tutta la sua levità, chiaro, pallido come i rosé francesi, eppure con un gusto dalla forte identità pugliese, fruttato e floreale, sapido, che trova una perfetta armonia tra morbidezza e acidità, capace di portare con sé anche in inverno le brezze dell’Adriatico e l’atmosfera dell’estate pugliese. Caratteristiche che parlano direttamente alla nostra fantasia e gli permettono di essere un vino versatile, adatto ad accompagnare tante occasioni, grazie a una sorta di atmosfera incantata che suscita.

Per realizzare questo progetto dedicato al rosé si è subito pensato alla Puglia. L’uva di Negroamaro, infatti, si presta perfettamente alla scelta di una vinificazione ‘in rosa’ e la Masseria Maìme è stata subito designata come la tenuta migliore per dare vita a questa idea. Essendo una terrazza che si affaccia sul mare, infatti, beneficia da un lato dell’esposizione e dall’altra dei venti che arrivano dall’Adriatico: due elementi fondamentali per realizzare un rosé raffinato ma al contempo vivace.

Il vino è uno dei prodotti più affascinanti che otteniamo dalla terra, la sua antichissima storia, passando attraverso i nostri sensi, ci connette direttamente all’alba dei tempi. Le prime testimonianze archeologiche registrate della vitis vinifera risalgono infatti al 7.000 a.C. circa – nei territori dell’attuale Cina, della Georgia, dell’Iran, della Grecia e della Sicilia. La prima traccia di vinificazione e conservazione del vino, invece, è stata trovata in Armenia, e risale circa al 4.100 a.C. Questo prodotto affonda le sue radici nella terra e negli elementi che gli permettono di svilupparsi, rievoca un passato originario e affascinante, i culti di Dioniso e di Bacco, le religioni, un’esistenza fatta di misteriosi rituali e danze degli opposti, che fecero sì che questa bevanda divenne oggetto di studio anche degli alchimisti. Il vino è da sempre stato una parte fondamentale della società, strettamente legato all’economia e alla cultura popolare e tradizionale, simbolo di festa, libertà, allegria, non stupisce quindi se Calafuria, in tutti gli artisti che lo hanno bevuto, ispira l’idea del sogno, una magia onirica da cui lasciarsi avvolgere e ispirare, in grado di nutrire la nostra fantasia.


Questo articolo nasce in collaborazione con Tormaresca, azienda pugliese con tre tenute nelle aree vinicole più vocate della regione: Salento, Castel del monte e Manduria. Con il rosé pugliese Calafuria, per l’annata 2021 disponibile in un’edizione limitata curata dall’artista e designer di fama internazionale Matteo Cibic, Tormaresca racconta l’affermazione della Puglia vitivinicola, racchiudendone nel gusto l’eleganza e la personalità.

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