Nell’ormai lontano 2000, a vent’anni di distanza dalla pubblicazione de Il nome della rosa, esce per la casa editrice Bompiani Baudolino, il quarto romanzo di Umberto Eco. Dopo il successo mondiale di quel suo esordio narrativo Eco ritorna ad ambientare una vicenda nel Medioevo. In questo caso si tratta però del Medioevo fantastico dei miti e delle leggende, raffigurato un po’ in stile ariostesco per il modo in cui, molto più che in un normale romanzo storico, la realtà dei fatti documentati si protende verso una dimensione fiabesca e onirica. Un’altra differenza sta poi nel linguaggio adottato, come sottolinea lo stesso Eco in un’intervista di un anno successiva alla pubblicazione del romanzo: “La Rosa è colto, questo è popolare. La Rosa è in stile alto, questo è in stile basso. Il linguaggio è quello dei contadini dell’epoca, o degli studenti parigini che parlano come i ladri. Niente latino, salvo qualche parola”. Ma oltre alla prosa che lo caratterizza, ciò per cui vale la pena riscoprire questo bellissimo romanzo è il personaggio principale, assimilabile a quella figura presente in molte mitologie e in inglese nota come Trickster God, “un furfantello”, scaltro e disinvolto mentitore, figura dall’indole eclettica che si caratterizza per una spiccata abilità nell’imbroglio e nella manipolazione creativa della realtà, nonché per la capacità di immaginare ogni genere di espediente o stratagemma.
Questo romanzo picaresco, dunque, racconta le avventure di Baudolino, un campagnolo fantasioso e bugiardo che viene adottato dall’imperatore Federico Barbarossa quando ha solo tredici anni e partecipa con lui ai principali eventi storici di quel periodo, tra cui la battaglia di Legnano e gli scontri tra impero e comuni. Già la scelta di far raccontare i fatti a Baudolino, cioè di affidarsi a un narratore per costituzione inattendibile, rivela la natura giocosa dell’ispirazione di Eco e ci invita a godere della lettura come di un’esperienza di arricchimento e insieme di diletto.
La storia comincia nella campagna piemontese, in quella zona in cui nel 1168 sorgerà Alessandria, la città natale di Eco (il cui santo patrono presta il nome al suo personaggio), dove fin da piccolo Baudolino rivela un enorme talento per le menzogne, talento che lo studio della retorica finanziato in seguito da Federico, per forza di cose, non farà che accrescere e sviluppare. Baudolino vive, si innamora, va a studiare alla Sorbona di Parigi dove però non si laurea mai, si diverte con i suoi amici di bisboccia, gli stessi che lo accompagneranno poi nel resto del suo viaggio e che come lui faranno dell’immaginazione il fulcro della loro esistenza fondata sulle bugie.
L’immaginazione come stimolo vitale è proprio il tema centrale del libro, che dietro l’ironia ci ricorda la differenza tra le comuni bugie, che tutti sono bravi a inventare, e le utopie, che invece sono il frutto della fantasia dei poeti e della loro capacità di immaginare mondi diversi da quello in cui viviamo. Per questo “il mondo condanna i bugiardi che non fanno altro che mentire, anche sulle cose infime, e premia i poeti, che mentono soltanto sulle cose grandissime”. Baudolino mente, imbroglia, falsifica documenti e reliquie, crea miti, scombina le carte, e come per magia quello che inventa diventa storia fatta: tutti ci credono, dunque è tutto vero. “Entra in scena come un bugiardo, un bugiardo matricolato”, racconta un sorridente Eco in un’altra intervista, “eppure è un bugiardo che crede talmente alle cose che inventa che ci dedica una vita. Quando a una grande bugia si dedica una vita non è più una bugia, è un’utopia”. E tutto il romanzo è giocato proprio su questo rovesciamento surreale per cui non è il desiderio dei protagonisti ad adattarsi alla realtà esterna, ma il contrario: è la realtà che si lascia plasmare dal soffio inquieto del desiderio che li anima, attivando una dimensione utopica in cui l’impossibile diventa possibile.
Questa dimensione Baudolino non si limita a immaginarla, ma decide a un certo punto di metterla nero su bianco, spinto dapprima dalle sue inquietudini amorose per poi trovare sempre più gusto nella mistificazione della scrittura. Così inventa insieme ai suoi amici una favola destinata ad alimentare la fantasia dell’Occidente per molti anni a venire: la lettera del Prete Giovanni, un documento realmente circolante nell’Europa di quel tempo, in cui si favoleggiava di una regione dell’estremo Oriente governata da un sovrano cristiano, immaginata come un regno perfetto in cui, tre le altre meraviglie, la menzogna non esisteva e tutti gli uomini vivevano in concordia e sincerità totali.
Baudolino e i suoi amici convincono così Barbarossa a partire verso Oriente con il pretesto di una crociata. E anche se durante la spedizione Federico troverà la morte in circostanze misteriose, Baudolino sarà ormai tanto proiettato nel suo sogno che gli risulterà impossibile pensare di rinunciarci, vuole dedicargli la sua vita intera. Da questo momento in poi la bravura dell’autore si scatena nelle fantasiose descrizioni di terre immaginarie e delle creature mostruose che le abitano, tratte dalle leggende sull’Oriente e dai bestiari del Medioevo, che ci fanno divertire e sognare per la loro straordinaria varietà: esseri con un piede solo, enorme, che usano come una specie di ombrello per ripararsi dal sole, oppure con la testa posizionata tra il ventre e il torace, giganti, satiri, esseri le cui orecchie sono talmente grandi che ci possono dormire dentro, altri dal corpo d’uomo e la testa di cane, creature metà donne e metà capre chiamate ipazie, di una della quali Baudolino si innamora follemente, e così via.
Con questa ricca metafora il romanzo esalta la dimensione del mito e dell’utopia, nonché la capacità umana di generare sogni, quelle “grandi invenzioni che muovono il mondo”. Un’intuizione che si ha leggendo è che il personaggio di Baudolino possa raffigurare il narratore, o più in generale l’artista, cioè colui che esercitando la fantasia costruisce con le parole dei mondi che non esistono, irreali, ipotetici, “virtuali”, ma che proprio per questa loro caratteristica ci costringono a liberarci dei paraocchi e a guardare la realtà con occhi nuovi, per poter godere di quella che il filosofo Ortega y Gasset definiva “la deliziosa frode dell’arte”. Se compito del narratore (e dell’artista) è provocare emozioni, accendere la sfera del possibile, gli si passerà qualche manipolazione (piccola o grande che sia) in stile Baudolino, soprattutto se questo permette di smuovere il nostro punto di vista e aprire prospettive diverse sul mondo. Perché forse, come dirà lui stesso, “ad immaginare altri mondi, si finisce per cambiare anche questo”, che è esattamente ciò in cui consiste la magia. D’altronde, come ha scritto anche Somerset Maugham nel 1908, ne Il mago, “La magia non è altro che l’arte di impiegare consapevolmente mezzi invisibili per produrre effetti visibili. Volontà, amore, immaginazione sono poteri magici che chiunque possiede; chi sa come svilupparli appieno è un mago” – o un poeta, o un artista, possiamo aggiungere noi.
Perché alla fine sta a noi decidere se Baudolino sia un mago, un artista, un furfante, o se piuttosto non incarni una sintesi di tutte queste tre figure. O meglio ancora se non sia Eco stesso sotto mentite spoglie, che con il suo incredibile talento di narratore evoca una magia capace di sorprenderci a ogni pagina. Pur essendo il suo intento perlopiù ludico, infatti, Eco non si limita a farci sorridere, ma ci fa intravedere riflessioni destinate a non esaurirsi con la lettura del libro, a diventare parte di un più ampio percorso intellettuale e creativo. Ma il più grande regalo che ci fa con questo è probabilmente la rivendicazione del diritto incommensurabile a fare della fantasia non solo una pratica oziosa o una fuga dalla realtà, ma uno stile di vita, un esercizio e un impegno quotidiano, un modo di stare al mondo, grazia al quale poter sentire nuovi mondi, respirare insieme a loro, toccarli, e traghettarli nel nostro.
Perché l’incanto della fantasia consiste nell’essere un po’ come un profumo, qualcosa di impalpabile e allo stesso tempo molto potente, capace di suscitare attrazioni, di stimolare reazioni concrete nelle persone che lo sentono. L’immaginazione è questo profumo che smuove il mondo, risvegliandoci e sollevando la realtà dal suo torpore, perché il visibile – come diceva Maugham – non è altro che la misura dell’invisibile.