La storia dimenticata di come Topolino divenne un mezzo di propaganda fascista - THE VISION
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Nel 1938, da un giorno all’altro, i bambini italiani si ritrovarono senza i loro eroi preferiti. La stretta del Ministero della cultura popolare (MinCulPop) sulle opere straniere toccò infatti anche i fumetti, all’epoca chiamati “avventure illustrate”: sparirono così Flash Gordon, Mandrake e tutti quei personaggi americani che non potevano più essere tollerati dal regime.

Già negli anni precedenti c’era stata una progressiva italianizzazione dell’arte, a partire dalla lingua, tanto che quando nel 1935 il celebre trombettista Louis Armstrong fece il suo tour in Italia venne presentato come Luigi Fortebraccio. Il fascismo, però, passò in fretta a una vera e propria censura. Vennero banditi i libri scritti da autori ebrei o scomodi per il regime. L’Italia fascista, ad esempio,  non vide mai le opere di Ernest Hemingway, se non attraverso traduzioni clandestine – e Fernanda Pivano venne infatti arrestata per aver tradotto Addio alle armi. Rispetto ai fumetti in particolare fu rilevante l’intervento del padre del futurismo Filippo Tommaso Marinetti che, al Convegno Nazionale per la Letteratura Infantile e Giovanile da lui presieduto in quello stesso anno, indicò la necessità di bandire le opere straniere e sostituirle con storie italiane improntate sulla propaganda fascista. Così fu. Sparirono tutti, con una sola eccezione: Topolino.

Filippo Tommaso Marinetti

Per anni gli storici si sono interrogati su questa curiosa decisione, chiedendosi come mai il fumetto basato sulle avventure del personaggio di Walt Disney non avesse avuto lo stesso destino delle altre opere straniere per bambini e ragazzi, e la risposta può essere trovata nei suoi retroscena editoriali. La prima striscia in italiano di Topolino venne pubblicata nel 1930 ne L’illustrazione del Popolo, supplemento domenicale del quotidiano torinese La gazzetta del Popolo. Fu però l’editore Giuseppe Nerbini, nel 1932, a dedicare un intero giornalino alla creatura disneyana. Quando arrivò in edicola, Topolino aveva il formato di un giornale ed era composto da otto pagine, di cui solo la prima a colori. L’inaspettato successo fece partire una guerra di diritti, con i più importanti editori italiani pronti a sottrarre a Nerbini la pubblicazione di Topolino. Arnoldo Mondadori ebbe la meglio per due motivi: incontrò personalmente Walt Disney nel 1935, convincendolo a cederne i diritti per l’Italia, e aveva già intessuto stretti rapporti con i vertici del partito fascista e con lo stesso Mussolini. Mondadori aveva infatti pubblicato la biografia Dux, approvata dal regime, e aveva ottenuto dei privilegi nell’editoria scolastica, acquisendo con gli anni il controllo sulla produzione dei libri unici per gli studenti. Già negli anni Venti Mondadori era riuscito a ottenere la pubblicazione di tutte le opere di Gabriele D’Annunzio. Nerbini fu quindi costretto nel 1935 a cedergli i diritti di Topolino.

Ernest Hemingway e Arnoldo Mondadori. Meina, 1948

Il 1935 fu anche l’anno del viaggio di Walt Disney in Europa, con una tappa in Italia. Al cinema Barberini di Roma venne organizzata una serata in suo onore, dove presenziarono tra gli altri anche Galeazzo Ciano ed Edda Mussolini. Girano diverse leggende sugli incontri di Disney con il Duce – che secondo alcuni non avvennero mai – esasperate anche dalle amicizie “particolari” di Walt, come quella con l’aviatore Charles Lindbergh, simpatizzante della politica di Hitler, ma la testimonianza più diretta è sicuramente quella del figlio Romano Mussolini, che nel 1995 concesse un’intervista alla rivista fumettistica If in cui dichiarò che Disney e il padre si incontrarono inizialmente a Palazzo Venezia, poi, in modo informale, nella residenza di Villa Torlonia. Disney regalò a Romano e alla sorella Anna Maria un modello di legno di Topolino e passò il pomeriggio a parlare con il Duce dei suoi personaggi, oltre che del passaggio dei diritti tra Nerbini e Mondadori. Insieme a Walt Disney era presente anche il fratello Roy, che in diverse interviste rilasciate negli anni Sessanta raccontò di quell’incontro. Disse che Mussolini aveva un ufficio enorme e che si vantò con loro dell’efficienza dei treni italiani: “Ora potete viaggiare sicuri sui treni. Prima capitava che venissero fermati e assaliti dai rapinatori, adesso non succede più”, quella famosa ossessione che ha creato il luogo comune – purtroppo ancora in uso – che con lui i treni arrivavano in orario.

Walt Disney

Quando a casa Mussolini iniziò a girare la voce delle future censure anche tra i figli, Romano, allora undicenne, fu il primo a intristirsi. Contattò direttamente Ferdinando Mezzasoma, direttore del MinCulPop, e gli chiese: “Per favore, risparmia la musica jazz e Topolino”. A Villa Torlonia la passione per Disney era intanto cresciuta a dismisura. Mussolini girava per casa fischiettando il motivo de I tre porcellini e rimase impressionato dalla visione di Biancaneve e i sette nani, che rivide più volte. In realtà non fu soltanto la pressione dei suoi figli a salvare Topolino dalla censura, ma i rapporti con Mondadori e la possibilità di usare il giornalino come mezzo di propaganda. Dal 1938 comparvero infatti su Topolino diverse rubriche in cui si passava dall’esaltazione della razza italiana alle lodi a Mussolini, descritto come salvatore della pace mondiale per l’accordo di Monaco del 1938.

Benito Mussolini con la moglie Rachele Guidi e i figli, Edda, Vittorio, Bruno, Romano e Anna Maria, 1930

Il fascismo con Topolino fece quello che già da anni stava attuando con altre opere per bambini. Per tutto il Ventennio Pinocchio fu infatti usato come portavoce delle camicie nere, come ricorda l’opera Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista, con una raccapricciante copertina in cui il burattino era vestito da balilla e faceva bere olio di ricino a un comunista. È stato ormai quindi ridimensionato il mito del Duce dal cuore tenero che risparmia Topolino dall’embargo per far contenti i figli, essendoci dietro accordi commerciali e strategie di propaganda.

 In un numero di Topolino del 1939 venne pubblicato un disegno intitolato “Casa di campagna” con la didascalia: “Siamo fieri di presentare in questa pagina il disegno qui riprodotto inviato dalla piccola Anna Maria Mussolini, figliuola del nostro Duce”. Venne inoltre pubblicata una lettera di Romano, che intanto si era abbonato ricevendo la tessera ufficiale di Topolino. La pubblicazione resistette fino al dicembre del 1941, quando l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale spostò gli equilibri editoriali, con il regime che costrinse dapprima la rivista a mettere in copertina le bandiere italiane, giapponesi e della Germania nazista per supportare le potenze dell’Asse, poi a cancellare del tutto nel 1942 le strisce di Topolino. Mondadori si arrese all’astio verso gli americani e alle decisioni del regime, ma tentò ugualmente di non far naufragare il progetto. Decise dunque di italianizzare Topolino trasformandolo in “Tuffolino”, un Mickey Mouse in versione ragazzo con evidenti rimandi al personaggio di Disney, disegnato dal fumettista Pier Lorenzo De Vita. Anche gli altri personaggi cambiarono forma e nome: Minnie divenne Mimma, Clarabella Clara. I lettori, però, rimasero disorientati di fronte a questo cambiamento e Tuffolino non ebbe successo. Nel 1943 la pubblicazione del giornalino fu sospesa e riprese soltanto nel 1945 a guerra finita, tornando a essere il solito amato Topolino.

Tuffolino

 Ciò che resta è la testimonianza di un periodo in cui il fascismo riusciva a distruggere e a snaturare ogni forma d’arte non allineata al regime, e quella che restava veniva sfruttata come megafono per i propri fini. Non bisogna sottovalutare la portata dei fumetti, perché negli anni Trenta vendevano due milioni di copie a settimana e questo fa capire l’importanza del medium come veicolo di propaganda. Se Flash Gordon e Mandrake avevano tratti e connotati marcatamente americani, Topolino poteva invece contare su un’universalità utile a trasmettere qualsiasi tipo di messaggio e così il regime lo risparmiò dalla mannaia del 1938. I bambini, sotto il fascismo, non dovevano leggere per svago o evasione, dovevano essere educati secondo i dogmi dell’ideologia, per tale motivo ogni opera veniva sistematicamente passata al vaglio e rimodellata per instaurare la mentalità balilla fin dalla giovane età ai cittadini, in seguito, far attecchire idee come la purezza della razza. Topolino continua a essere pubblicato ancora oggi e ad avere grande successo, per fortuna senza la mano di un dittatore a deciderne le sorti e a trasformarlo in uno strumento di propaganda.

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