25 anni dopo, Iñarritu rilegge il suo capolavoro “Amores perros” perché ha ancora molto da dirci - THE VISION
Membership

Il cinema non è solo la vita senza le parti noiose, come diceva Hitchcock. In ogni opera cinematografica esiste una distanza tra ciò che vediamo e tutto ciò che ne è stato escluso. È una distanza strutturale, che definisce l’opera stessa: ogni film è fatto di scelte, e ogni scelta implica uno scarto, ancor più che nella vita. La riflessione sul punto di vista, sulla selezione e sulla natura del materiale non utilizzato in un momento in cui l’immagine digitale tende a ridurre e a smaterializzare la fisicità del processo creativo è oggi più che mai centrale. È proprio su questa presa di coscienza che si sviluppa “Suenõ Perro: Instalación Celuloide de Alejandro Iñárritu”, l’installazione realizzata dal regista messicano premio Oscar Alejandro Iñárritu al piano terra del Podium di Fondazione Prada, a Milano, in occasione dei 25 anni del suo primo incredibile film, Amores perros.

“Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu”, ph. DSL Studio – Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave, Courtesy Fondazione Prada

Tutto nasce da una rilettura degli outtakes, la “placenta” del film, come l’ha definita Iñarritu. Centinaia di chilometri di pellicola in celluloide impressa, tagliata e dimenticata per anni negli archivi dell’Universidad Nacional Autónoma de México (la UNAM). Qualcosa di simile alle ciocche di capelli che lasciamo tutto intorno al nostro corpo nel salone di un parrucchiere. Amabili resti. Qualcosa che è stato parte di noi, ma che non serve più, che può non servire, che non è essenziale, eppure è. Così Iñarritu, come in una sorta di rito catartico ha ricominciato a guardare, con occhi per forza di cosa nuovi, diversi, queste immagini, per certi aspetti stranianti, perché raccontano le stesse scene da punti di vista diversi, che non sono quelli che abbiamo lasciato sedimentare nella nostra memoria. Questo tema torna ciclicamente nella storia del cinema, e ancor più dell’architettura, che così tanti punti in comune ha col progetto narrativo attraverso le immagini, ma negli ultimi anni ha assunto un valore quasi politico: ciò che viene tagliato rivela tanto quanto ciò che viene scelto il modo in cui guardiamo il mondo.

Amores Perros di Alejandro González Iñárritu, 2000

Uno dei modi più semplici per comprendere questa dinamica viene dalla pratica del disegno: rappresentare un oggetto significa scegliere una sola tra le infinite prospettive possibili, creare una gerarchia delle forme, delle visuali, dei punti di fuga. Ma ciò che non entra nel foglio non è meno vero, né meno significativo, è la sua matrice, il possibile complementare. Questo principio elementare – selezionare un’inquadratura, rinunciare alle altre – è il fondamento stesso del cinema. La cinepresa è una macchina che delimita, che taglia via tutto ciò che non rientra nel suo campo visivo. È un atto di autorità, ma anche di vulnerabilità. Per questo gli scarti, lungi dall’essere “avanzi”, diventano documenti preziosi per capire come un’opera sia stata costruita.

Amores Perros di Alejandro González Iñárritu, 2000

In “Sueño Perro”, il materiale escluso non viene presentato come un mero dietro le quinte, o making of, ma come una vera e propria opera autonoma, realtà a sé stante, che pure a chi ha visto il film parla sottovoce come un ricordo, un presente alternativo. Il gesto critico di ricontestualizzare il non-montato consente di riflettere su una domanda fondamentale: che cosa resta del cinema quando lo si priva della sua forma narrativa tradizionale? Resta la sua affascinante fragilità come esperienza materiale, analogica, il corpo oltre l’immagine e la luce. L’installazione mette in scena una condizione paradossale: la pellicola, concepita per essere invisibile mentre scorre nel proiettore, diventa qui protagonista assoluta. I fasci di luce, le macchine analogiche, il suono del meccanismo che trascina il nastro, così come le atmosfere sonore composte ad hoc per il progetto, convergono nel rendere tangibile ciò che il cinema digitale ha reso sempre più astratto, immateriale e rarefatto. Questa scelta sposta l’attenzione dalla storia in sé e per sé di Amores perros al corpo stesso del film, alla sua materia. Rimettere in funzione proiettori che quasi nessuno sa più usare – recuperati grazie al Festival di Locarno – è un atto che rivela, di per sé, la fragilità della memoria audiovisiva, nella sua dimensione più corporea.

“Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu”, ph. DSL Studio – Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave, Courtesy Fondazione Prada

Il percorso espositivo alterna dimensione sensoriale e dimensione concettuale. Al piano terra, la “materia fantasma” assume una qualità ipnotica: le immagini scorrono senza suono, senza continuità, senza finalità narrativa. È la forma-immagine allo stato puro, priva di quel processo di selezione che l’avrebbe resa racconto, eppure si fa comunque storia. Al piano superiore, invece, la mostra fotografica “Mexico 2000: That Moment That Exploded” offre una chiave interpretativa più ampia: il paesaggio urbano come corpo ferito, la città come organismo che accumula traumi, tensioni, contraddizioni. Le caratteristiche e le trasformazioni sociali del Messico negli ultimi decenni del Novecento, fino a oggi. Ciò che resta dalla creazione dell’opera e la realtà che le ha dato origine creano una sorta di calco, un’esperienza dell’opera d’arte per litote. La relazione tra i due livelli crea un cortocircuito che interroga il visitatore sul rapporto tra cinema e mondo.

“Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu”, “Mexico 2000: The Moment That Exploded”, ph. DSL Studio – Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave, Courtesy Fondazione Prada

Iñárritu afferma ripetutamente che l’intento dell’installazione non è commemorativo. L’opera non vuole “celebrare” Amores perros, ma osservarlo alla luce del presente, consci che le forze che ingloba sono tuttora vive, feroci, tangibili, perché sono le forze che da sempre spingono l’umano. Questa postura permette di cogliere una dinamica più ampia: con l’età, la percezione si fa più complessa, più stratificata, non guardiamo più il reale “così com’è”, e soprattutto non lo guardiamo con la pretesa di farlo e di saperlo fare, ma attraverso una distanza che si fa via via sempre più grande, uno spazio interpretativo che si dilata. La mostra rende visibile proprio questo: la distanza tra passato e presente, tra ciò che pensavamo di aver visto e ciò che vediamo ora, tra ciò che credevamo di essere e ciò che siamo ora, e la percezione di questo iato, questa fessura tra noi e il mondo, e tra le figure che compongono il nostro dirci noi stessi. È il motivo per cui “Sueno Perro” evoca una sensazione quasi onirica: il passato ci appare familiare eppure irrimediabilmente mutato. È la definizione stessa di Unheimlich: riconoscere qualcosa che non riusciamo più a collocare nel nostro habitus.

“Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu”, ph. DSL Studio – Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave, Courtesy Fondazione Prada

In un’epoca che tende a ridurre le opere alla loro versione “finale”, chiamandole prodotti, l’installazione di Iñárritu ci ricorda che ogni film è anche ciò che non abbiamo visto. Il materiale non montato, ricontestualizzato, diventa un archivio del possibile ma che non è stato, mostra i sentieri abbandonati, le immagini che avrebbero potuto generare un altro film, un’altra narrazione, uno sguardo diverso, e allo stesso tempo la forza brutale della scelta, il colpo di forbici necessario al montaggio. “Sueño Perro” non è un omaggio nostalgico, ma un esercizio di analisi sul linguaggio cinematografico e sulle sue trasformazioni, e anche – si intuisce – una parentesi di autoriflessione dell’autore, del demiurgo, su se stesso. Mostra che lo sguardo è sempre selezione, ma che negli scarti si conserva una parte essenziale del processo creativo: forse la sua memoria più sincera, quella non filtrata, che ancora non ha trovato una forma definitiva, quella in fieri, che tradisce l’essere continuum della vita, un mutare incessante di forme.

Membership
Segui Lucia su The Vision | Facebook