Nel 2001, Olivier Assayas, regista e critico francese figlio di Rémy Assayas – in arte Jacques Rémy – ritrovò alcune fotografie e, a poco a poco, scoprì che quegli scatti testimoniavano la vita a bordo di una nave di cui lui non sapeva quasi nulla. Il piroscafo si chiamava Capitaine Paul Lemerle, mentre l’autrice di quegli scatti era un’amica di famiglia che Assayas figlio ricordava dalla sua adolescenza: Germaine Krull.
Krull era stata una grande fotografa e attivista politica, per lungo tempo quasi dimenticata. Era stata espulsa da Monaco di Baviera, dove aveva studiato, e nel 1921 processata in Russia perché sospettata di essere “nemica del leninismo”. Con l’avvento del nazismo, divenne poi una strenua oppositrice di Hitler e in generale di tutte le dittature che brutalizzarono il mondo in quegli anni. Proprio queste sue posizioni critiche la obbligarono a salire a bordo della Capitaine Paul Lemerle, insieme all’amico Jacques Rémy e ad altri intellettuali e artisti che, per ragioni diverse, furono costretti a scappare dall’Europa, ormai in mano ai totalitarismi.
Nella foto più famosa di quel viaggio, si riconoscono il romanziere e rivoluzionario Victor Serge, il padre del surrealismo André Breton e la moglie di quest’ultimo: la pittrice Jacqueline Lamba. Sulla stessa barca c’erano anche l’antropologo Claude Lévi-Strauss, il pittore cubano Wilfredo Lam, la scrittrice tedesca Anna Seghers e più di trecento altre persone, tutte con un buon motivo per andarsene dal vecchio continente. Sulla Capitaine Paul Lemerle trovavano posto ebrei, repubblicani spagnoli, comunisti, socialisti e un cospicuo numero di intellettuali sgraditi ai regimi. Seghers, in particolare, stava fuggendo dalla Germania verso il Messico a causa delle sue radici ebraiche e delle proprie convinzioni comuniste. “Ognuno di noi”, scrisse, “aveva una ragione particolarmente persuasiva per non cadere nelle mani dei tedeschi”.
Partirono il 25 marzo del 1941 da Marsiglia, dopo aver fatto l’impossibile per salire su quella barca scomoda e pericolante: chi aveva legami politici, come Anna Seghers e Victor Serge, li sfruttò per riuscire a procurarsi un visto mentre chi aveva già uno status riconosciuto (ad esempio Breton e Lévi-Strauss) chiese l’appoggio di università e organizzazioni come l’Emergency Rescue Committee. Il comitato era nato negli Stati Uniti dopo Vichy. Lo aveva creato un gruppo di intellettuali liberali americani insieme ad alcuni antifascisti tedeschi di base negli USA. Il loro obiettivo era quello di far fuggire dalla Francia il prima possibile le personalità di spicco maggiormente in pericolo, prima che la Gestapo mettesse le mani su di loro o che le autorità francesi gliele consegnassero.
Non tutti riuscirono però a imbarcarsi. Sul molo, ad osservare la nave partire, c’era anche la filosofa Simone Weil, allora trentaduenne ma con già tante esperienze alle spalle: dalla guerra civile in Spagna, all’incontro con Trockij fino alla scelta di abbracciare l’anarchia e poi il pacifismo. Avrebbe riprovato la traversata più avanti, sempre senza riuscirci. E così morì solo due anni dopo. Nel suo diario, il romanziere russo Victor Serge ce la descrive persa tra le persone in attesa di salire.
Nel suo libro Los árboles portátiles, lo scrittore e saggista basco Jon Juaristi paragona Serge al personaggio del cospiratore internazionale Victor Laszlo di Casablanca: dopo aver partecipato alla rivoluzione russa, lo scrittore era stato tra i primi a denunciare la deriva totalitarista di Stalin e i crimini da lui perpetrati. Per questo si trovava su quella nave con la sua famiglia. La sua amica Susan Sontag dirà che, col tempo, Serge avrebbe probabilmente definito la rivoluzione di cui era stato artefice una grande delusione. Però non ne ebbe il tempo: morì solo qualche anno dopo la traversata in Messico. Il suo diario, però, rimane oggi una delle testimonianze più ampie di quell’impresa: fu lui a definire la Capitaine Paul Lemerle un “campo di concentramento galleggiante” ed effettivamente la situazione a bordo per i rifugiati era molto difficile.
In Tristi tropici, Lévi-Strauss racconta di uno scenario che appariva complicato già il giorno della partenza: “Finalmente ho ottenuto il mio biglietto per la Capitaine Paul Lemerle, ma non ho iniziato a capire la gravità della situazione fino al momento in cui siamo saliti a bordo. La polizia ha isolato la banchina, impedendo ogni contatto tra i passeggeri, i loro parenti o gli amici che erano venuti a salutarli e ha interrotto i congedi con spintoni e insulti. Lungi dall’essere un’avventura solitaria, era più simile alla deportazione dei detenuti. Ciò che mi ha stupito ancora di più del modo in cui siamo stati trattati è stato il numero di passeggeri. Circa 350 persone erano ammassate su un piccolo piroscafo che – come ho scoperto subito – vantava solo due cabine con, in tutto, sette cuccette. Una delle cabine era stata assegnata a tre donne e l’altra doveva essere condivisa da quattro uomini, tra cui io. […] Il resto dei miei compagni, uomini, donne e bambini, furono radunati nella stiva, senza aria né luce, dove i carpentieri della nave si erano affrettati a montare letti a castello e materassi di paglia”.
Al già stimato antropologo francese era stato comunque concesso il lusso di poter trascorrere il viaggio in una delle cabine, da dividere con degli ufficiali che già aveva conosciuto in viaggi precedenti. Gli appartenenti alle diverse classi sociali, durante la prima parte del viaggio, non si incrociarono mai: più o meno autonomamente, ciascuno decise inizialmente di stare con coloro che considerava più affini. La nave venne così separata in diverse zone, cui vennero dati i nomi dei quartieri parigini.
Questa divisione in compartimenti stagni durò poco. in un’intervista del 1984, il figlio di Victor Serge, Vlady, raccontò di un ammutinamento che avvenne solo pochi giorni dopo. A seguito della ribellione, anche ai più poveri venne distribuito gratuitamente il pane e uno degli animali che era stato imbarcato venne ucciso e cucinato per tutti. Nell’area denominata Montparnasse, al tramonto si iniziò a tenere una sorta di università popolare. Sul ponte di prua, si assistette a dibattiti spontanei che riunivano tedeschi nemici del Reich, spagnoli e baschi repubblicani, russi di opposizione e comunisti polacchi. Si trattava di uomini molto diversi ma tutti preoccupati da quanto accadeva in Europa.
Lo scrittore francese Adrien Bosc ha dedicato a questa storia un libro che romanza l’accaduto, intitolato La traversata, ed evidenzia come quel viaggio collettivo abbia rappresentato un “momento di irrealtà” , che riunì personalità inaspettate. Non tutti gli incontri furono tuttavia indimenticabili: Breton ebbe contrasti con Serge, scrittore di quei romanzi di cui lui stesso aveva pronosticato la morte, mentre andò meglio con Lévi-Strauss, in grado di andare d’accordo con entrambi. Breton e il padre dell’antropologia moderna scoprirono infatti di essere sulla stessa barca solo molto tempo dopo essere salpati, per caso, mentre erano in coda per fare uno scalo a Casablanca. A volte i passeggeri con passaporto francese potevano sbarcare: gli altri rimanevano parcheggiati nelle poche decine di centimetri quadrati disponibili per ciascuno. L’incontro diede così vita a un carteggio sull’arte che porrà le basi per lo sviluppo dello strutturalismo in arte. La nave diventò un vero e proprio microcosmo in cui convivevano idee e sensibilità diverse. Un mondo a parte in cui anche un socialista basco autodidatta come Toribio Echeverría poteva discutere di politica con chi aveva partecipato a guerre e rivoluzioni.
Dopo un mese, però, la libertà cui tutti aspiravano sembrava un miraggio: l’approdo in Martinica si rivelò un nuovo esilio forzato. Molti vennero internati in un campo di prigionia a Lazaret, senza neanche poter fare una passeggiata. Per tutti c’era la difficoltà di dover gestire i pochi soldi rimasti in una situazione di emergenza. Gradualmente arrivò anche una sorta di Fase 2, con tanto di permessi, ma non fu che un contentino fatto più per far fare affari a chi sull’isola gonfiava i prezzi dei beni di prima necessità per gli stranieri. In attesa di poter tornare a essere quei pensatori scomodi che tanto facevano paura ai regimi, i passeggeri della Capitaine continuarono a fraternizzare tra loro: il cubano Wilfredo Lam scoprì grazie a Lévi-Strauss e Breton il valore della sua pittura oscura, ispirata dalle tradizioni afroamericane. E Breton fece da mentore anche al poeta martinicano Aimé Césaire, da lui conosciuto attraverso Tropiques, la rivista che quest’ultimo aveva fondato con altri intellettuali del luogo. Sull’isola, anche Serge iniziò a confrontarsi con Lévi-Strauss creando un legame duraturo.
Come fa notare Juaristi, questi incontri si sarebbero rivelati di capitale importanza per la nascita dei fenomeni culturali che influenzarono l’Europa nella seconda metà del Novecento. Secondo lo scrittore, gli scambi avvenuti durante la traversata ebbero tre principali conseguenze: “In primo luogo, la comparsa di nuove avanguardie artistiche legate a movimenti anticoloniali e identitari. Inoltre, Breton e Lévi-Strauss discutendo dell’esistenza di una struttura razionale all’interno del discorso irrazionale, finiscono per porre le basi dello strutturalismo. Il terzo aspetto è la nascita di una nuova sinistra: in un ambiente dove si fronteggiano almeno cinquanta luxemburghisti e trotzkisti tedeschi, in maggioranza ebrei, viene forgiata l’idea di un comunismo adattabile al nuovo mondo americano. Tutto questo, l’avanguardia, la nuova sinistra e lo strutturalismo, sarà ciò che ritornerà in Europa negli anni Sessanta sotto forma di controcultura.”
Nel maggio del 1941, i confini di Vichy furono legalmente chiusi a tutti gli emigranti. La Paul Lemerle fu l’ultimo trasporto verso i Caraibi autorizzato da un governo francese sempre più controllato dai nazisti. Daniel Hillion ha scritto che le barche sono come gli uomini: alcune, per quanto belle, sono condannate a restare anonime. Ad altre, apparentemente più modeste, viene invece regalato un destino favoloso. La sgangherata Capitaine Paul Lemerle appartiene a questa seconda categoria. I suoi passeggeri raggiunsero alla fine gli Stati Uniti, per poi prendere ognuno una strada diversa. Tutti ricordarono però, nelle loro menti e nelle loro opere, quell’esperienza: un doloroso esilio condiviso con più di trecento sconosciuti che ci ricorda ancora oggi i sacrifici che a volte è necessario non solo per salvarsi la vita ma per poter essere liberi.
In copertina: United States Holocaust Memorial Museum, courtesy of Dyno Lowenstein