Ricordo bene la prima volta che mi sono vergognata del mio corpo. Ero a una festa di compleanno in piscina, avrò avuto circa dieci anni. Ero seduta in costume con altre bambine, quando, senza che me ne rendessi conto, due ragazze più grandi si misero a parlare dietro di me. Indicavano le mie scapole sporgenti, allora come oggi. Girai la testa abbastanza in fretta per avere la conferma che i loro “che schifo”, “che impressione” erano rivolti a me. Non avevo mai pensato di avere qualcosa che non andasse, ma quelle ragazze e tutta la pressione sociale subita negli anni successivi hanno cambiato le cose senza troppa difficoltà.
Nell’ultimo periodo si è fatto un gran parlare di body shaming, un fenomeno che secondo le statistiche interessa le donne più degli uomini. Si è discusso molto su cosa sia meglio o peggio tra skinny e fat shaming. Molti sostengono che la magrezza sia un privilegio, un indice di particolare “nobiltà”, di sovrumano controllo. Innumerevoli testate americane ne hanno dibattuto a suon di articoli. No, lo skinny shaming non è un problema. Il fat-shaming è molto peggio. No, aspetta, lo skinny shaming è un problema, hai tutto il diritto di lamentarti. No, aspetta, ci ho ripensato, lamentarsi dello skinny shaming è come lamentarsi di aver vinto alla lotteria genetica. Quindi incassa e stai zitta.
Io stessa mi sono incagliata in questo dibattito, su quale sia il male minore, ma credo che sia poco utile, per non dire una perdita di tempo . Perché criticare una persona per il suo peso, che sia troppo alto o troppo basso, fa comunque passare il messaggio che esista uno standard unico ed eterno di corpo accettabile. Uno standard che garantisce al proprietario del suddetto corpo un posto a pieno titolo nell’Olimpo della femminilità. “Le donne vere hanno le curve”, i meme “when did this become hotter than this”, e, dall’altro lato, foto di donne sovrappeso prese in giro per la loro presunta mancanza di autocontrollo e ridotte a esseri deumanizzati, un numero, una manciata di chilogrammi, sull’unica base del loro aspetto fisico. Corpi “troppo” grassi o “troppo” magri che a turno perdono il diritto di rappresentare il prototipo della sessualità femminile.
Non è finita l’era del fat shaming, così come non è iniziata quella dello skinny shaming. Si tratta semplicemente di due volti della stessa medaglia, che da sempre convivono e determinano gran parte del valore di una donna. Certo, l’ideale della magrezza per molti esiste ancora ed è ancora potente. Essere magri porta ancora con sé parecchi privilegi. Ma non è corretto dire che se vengo criticata per il mio peso “troppo” basso dovrei incassare il colpo e ringraziare, perché l’effetto è sempre quello: mi fai sentire sbagliata nel corpo che ho. Non sono contenta di sentirmi dire che “starei meglio se fossi un pochino più in carne”, così come non ringrazio la genetica quando qualcuno mi chiede “ma mangi?”. Stai facendo commenti ad alta voce sul mio corpo, sul mio peso, e nel farlo stai sanzionando il mio valore. Che posizione tu abbia per farlo, di preciso, non si sa.
La gente che leggerà questo pezzo magari penserà che questo sia lo sfogo immeritato di una ragazza che ha avuto la fortuna di essere magra per natura. Non del tutto vero. Essere magra non mi ha protetto dal sentire di dover cambiare per forza la mia fisicità. Questa sensazione di abitare un corpo non mio mi ha portato a pesare 37 chili, nel momento più critico. E, allora come adesso, i commenti sul diametro delle mie cosce non hanno aiutato. Sapevo di essere troppo magra (il non virgolettato qui è voluto), ma allo stesso tempo sentivo che a prescindere dal numero sulla bilancia avrei sempre sentito di avere un fisico sbagliato, non attraente. Volevo ridurre il mio corpo un poco alla volta, così da non dover più pensare a cosa avrebbe detto la gente.
Poi è arrivata la bulimia, e con quella sono diventata finalmente normopeso. Amici e parenti si congratulavano con me per un benessere del tutto presunto, artificiale. La bilancia diceva che ero sana, e i moralizzatori potevano calmarsi per un po’. Io intanto continuavo a sentirmi sbagliata, ma l’indice di massa corporea diceva che stavo bene. Quindi niente commenti. Ora le frecciate sono tornate, il mio corpo ha smesso di rispecchiare un ideale sociale – del tutto arbitrario. Dunque poco importa di come stia io, del fatto che sia finalmente tranquilla. Ho ricominciato a “fare schifo”, “impressione”, di sicuro non mangio. E se non avessi imparato da tutto quello che è successo continuerei a pensare di essere sbagliata.
Non sono l’unica ad aver provato l’effetto di commenti simili. Ho amiche che hanno paura a postare foto sui social in cui sentono di essere “troppo” magre, o che preferiscono non mettersi in costume per evitare i possibili commenti. E tutto questo per piacere a tutti tranne che a loro stesse. O per farli tacere. Poi ci sono i casi più pubblici, come Sarah Hyland, l’attrice di Modern Family. Dopo aver postato una foto in bikini su Instagram, ora cancellata, è stata inondata di commenti sulla falsa riga di “mangiati un panino”, “sembri uno scheletro”, o un più minimal “mangia!!!”. E ha dovuto giustificare la propria immagine di fronte a milioni di sconosciuti. O Keira Knightley, che da anni deve spiegare alla gente di non essere anoressica.
Di recente in Francia è passata una legge secondo cui una modella deve presentare un certificato medico prima di sfilare, e sono convinta che sia una manna dal cielo. Le passerelle da decenni promuovono un modello di bellezza univoco e poco rappresentativo della realtà. Ma so anche che, nei limiti clinici, il peso non è l’unico indice del benessere di una persona. Tutti i commenti sul corpo di un uomo o di una donna, che siano rivolti alla sua magrezza o alla sua grassezza, non solo si fermano alla superficie, ma aggravano il problema. Fanno notare quello che “non va” a una persona che nella maggior parte dei casi ne è fin troppo consapevole. Perpetuano la norma sociale secondo cui c’è un solo tipo di corpo che può essere accettato.
Se la gente ce l’ha con i magri per un diktat del “bello” così sterile e artificioso, lo capisco. Il mio aspetto, o quello di chi è simile a me, ricorda un’imposizione estetica che per anni ha dovuto inghiottire controvoglia. L’eredità della dittatura del magro continua a farsi sentire. Ma sarebbe sbagliato sostituirla con la dittatura di un altro tipo di fisico. Perché coprendo di insulti chi non è normopeso, in un senso o nell’altro, finisce ancora una volta per supportare la narrativa per cui un corpo è giusto, mentre un altro non lo è. Grasso è bello, magro è bello, e poi di nuovo grasso è bello. Un’isterica montagna russa di sanzioni sociali cui la gente fatica a star dietro.
Adeguarsi a queste dinamiche non è obbligatorio, vero. Sarebbe preferibile evitarlo. Ma la sociologia ci ricorda che si è per natura portati a farlo. E cosa si fa a questo punto? Si potrebbe iniziare cercando di non ostracizzare un determinato aspetto e di non glorificarne un altro. Una strategia più brillante di quella adottata finora porterebbe ad accettare che esistono migliaia di corpi diversi, e che la loro bellezza andrebbe misurata in funzione del grado di salute di cui godono. Dove con “salute” non si intende solo quella fisica, ma anche psicologica. Gente a cui sta bene il corpo che ha, per dirla in soldoni.
Perché no, non ho più un disturbo alimentare. Sì, mangio. Sì, quello che mangio resta nel mio stomaco. E se anche così non fosse, un commento non sarebbe certo la soluzione al problema.