Simone de Beauvoir ha sempre obbedito a se stessa - THE VISION

Simone de Beauvoir ha segnato irrimediabilmente il Novecento attraverso le proprie teorie, una rara libertà di pensiero e la forza, a ogni costo, di essere se stessa. Punto di riferimento per il femminismo e le sue rivendicazioni, pur senza essersi considerata inizialmente una femminista né una filosofa, si è schierata in molte battaglie importanti ed è stata una delle figure chiave dell’esistenzialismo, accanto al compagno di una vita, Jean-Paul Sartre. “Non voglio in vita mia obbedire a nessun altro che a me stessa,” scriveva Simone de Beauvoir nel proprio diario quando aveva appena 19 anni. In effetti, in piena filosofia esistenzialista, la propria vita l’ha costruita da sé. E se è vero che ci sono epoche in cui nascere donna è più difficile che in altre, Simone de Beauvoir avrebbe detto che “donne non si nasce, ma si diventa”.

Simone de Beauvoir

Simone de Beauvoir impara molto presto a doversi rimboccare le maniche: nata nel 1908 a Parigi in una famiglia alto-borghese, cresce inizialmente nell’agio, ma vede questo modello di vita crollare in seguito alla bancarotta del nonno materno. La sua particolare forza di volontà, che sviluppa insieme a una grande disciplina, si esprime durante gli anni dell’adolescenza soprattutto nello studio, facendone un’allieva modello.

Simone de Beauvoir incontra anche il dolore in giovane età: perde la migliore amica Elisabeth Mabille, detta Zaza, e soffre molto per il suo primo amore, che vede sposare un’altra donna. Queste circostanze e la voglia di staccarsi dalla  famiglia suscitano in lei un’irrefrenabile desiderio di indipendenza. La sua vocazione ribelle viene alimentata infatti dalle costrizioni imposte da una madre che porta avanti un’educazione e una morale rigide e tradizionali e che contrastano con la realtà che fin da piccola Simone incontra sui libri, sperimenta nell’amicizia con Zaza e con cui si confronta anche all’università. Simone si convince allora che concludere il percorso di studi e cominciare a lavorare per mantenersi possa essere il primo vero passo per l’emancipazione e fa di tutto per terminare l’università con un anno di anticipo rispetto ai suoi colleghi. Un’impresa molto difficile all’epoca, soprattutto per una studentessa della Sorbona di Parigi, che aveva scelto con l’obiettivo di diventare un’insegnante e dove aveva l’occasione di confrontarsi con gli intellettuali di punta dell’epoca, da Merleau-Ponty a Lévi-Strauss.

Tenendo fede alle promesse fatte a se stessa, Simone completa in breve tempo il percorso di studi e accede all’esame di Agrégation, l’idoneità all’insegnamento riservata ai migliori studenti. Per la prova finale si prepara insieme a Jean-Paul Sartre, poco più vecchio di lei. Da sempre estremamente consapevole della propria intelligenza, la ragazza è disposta a riconoscergli una superiorità intellettuale che non avrebbe concesso a nessun altro. Si incontrano alla Sorbona e per mesi non si rivolgono la parola, finché è Sartre a chiedere di lei, tramite un compagno di corso. Dopo lunghi pomeriggi di studio nella stanza di lui, in cui nemmeno si sfiorano, discutono insieme la tesi: Sartre viene dichiarato lo studente migliore, forse perché più vecchio e già al secondo tentativo, ma tanti poi ammetteranno che dei due la vera filosofa è lei. Dal momento in cui si conoscono, in quel 1929, e nonostante le prevedibili proteste dei genitori di Simone, i due rimangono legati per il resto della vita. Non si sposano, scelgono di non andare mai a vivere insieme, continuano a darsi del vous e mantengono la propria relazione aperta, in nome di una libertà centrale nel pensiero filosofico che portano avanti.

Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir

Quella disciplina e quella cura che Simone de Beauvoir metteva nello studio si riflette sulla sua successiva attività di scrittrice e di filosofa: per terminare un libro impiega dai due ai tre anni. Lavora lentamente, per almeno sei ore al giorno, riscrive pagina per pagina, capitolo per capitolo. Chiede consigli a Sartre e lui si fa consigliare da lei. “Ogni giorno in cui non scrivo sa di cenere,” dice. Nel 1943 abbandona il mestiere di insegnante per dedicarsi completamente alla scrittura e pubblica L’Invitata, il suo primo romanzo, in cui comincia a indagare il tema dell’altro, narrando una relazione d’amore aperta a una terza persona, che ricalca quella con Sartre. I romanzi di de Beauvoir sono infatti profondamente autobiografici e derivano dall’osservazione diretta di quanto accade nella sua vita: la realtà, per lei, sarà sempre più gratificante “dei miraggi dell’immaginazione” e scriverne sarà il suo modo di riflettere su di essa.

Il vero fulcro del suo pensiero non possono che essere dunque la donna e la sua libertà: per de Beauvoir le donne devono essere vere e sincere con se stesse e non guardarsi mai riflesse attraverso gli occhi maschili. Il secondo sesso, la sua opera più importante, pubblicata nel 1949, rompe irrimediabilmente con le comuni concezioni dell’epoca che vedevano la donna in un rapporto subordinato rispetto all’uomo. Alla sua uscita, in una sola settimana vende più di 20mila copie e diventa il testo fondamentale del femminismo moderno, grazie al superamento della visione paternalistica della donna, debole e vittima, e alla sua esaltazione come soggetto autonomo, con un ruolo attivo e non passivo nella società. Messo al bando dal Vaticano per il capitolo relativo all’aborto, Il secondo sesso arriva in Italia con oltre dieci anni di ritardo, e da subito riceve numerose critiche. “Camus era furioso,” racconterà lei qualche anno dopo, ripensando all’accoglienza ricevuta da quel libro. “Reagì con il tipico machismo mediterraneo, dicendo che avevo messo in ridicolo il maschio francese. I professori lanciavano i libri nelle classi. Le persone mi ridevano in faccia nei ristoranti. Il fatto che avessi parlato di sessualità femminile era assolutamente scandaloso per l’epoca. Gli uomini continuarono a portare l’attenzione sulla volgarità del libro, essenzialmente perché erano furiosi per il messaggio che il libro suggeriva: l’uguaglianza tra sessi.”

Simone de Beauvoir, Jean Paul Sartre e Che Guevara.

Il suo ruolo nel movimento di emancipazione della donna si esprime anche in altre occasioni: nel 1971, per supportare le rivendicazioni francesi della libertà di aborto e di accesso ai metodi anticoncezionali, aderisce a Les manifestes des 343, pubblicato da Le Nouvelle Observateur, in cui 343 donne dichiarano di aver abortito, contro le leggi vigenti. Qualche anno dopo nasce l’associazione Choisir, che si occupa di difendere in modo gratuito chiunque venga accusato di aborto o di complicità con la pratica. Simone dà il suo contributo anche nella battaglia per il divorzio: firma la prefazione del libro Divorce en France di Claire Cayon, una critica alla legge che secondo l’autrice andava assolutamente modificata, poiché non prevedeva un uguale trattamento per l’uomo e per la donna; dal 1974 presiede la Lega dei diritti delle donne, che l’anno successivo istituisce un Tribunale internazionale dei crimini contro le donne. Sostiene le madri nubili attraverso la rivista J’Accuse, e denuncia ogni forma di sessismo in una rubrica intitolata “Le sexisme ordinarie” su Les Temps Modernes, il giornale da lei fondato fondato insieme a Jean Paulhan e altri amici intellettuali nel 1945.

Convinta marxista in gioventù, anche se non aderisce mai formalmente al Partito Comunista, non ha paura di ammettere di aver cambiato idea sul valore di quelle teorie, delusa nelle sue aspettative, genuinamente rivoluzionarie, dall’insuccesso dei modelli dell’Unione Sovietica o di Cuba. Accanto a Sartre si schiera in prima linea anche in molte battaglie di tipo politico e nelle cause più importanti dell’epoca: aderiscono agli ideali della resistenza antinazista durante la seconda guerra mondiale; condannano il ruolo degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam e le repressioni degli studenti da parte della polizia durante il maggio francese; nel 1970 vengono arrestati per aver venduto un giornale Maoista che era stato vietato – e che avevano venduto non tanto perché credessero in quelle idee, ma per il semplice fatto che era proibito. Entrambi contestatori, entrambi capaci di mettersi in discussione, nutriti da un continuo confronto aperto, fino alla morte. Quando Sartre scompare, il 15 aprile del 1980, de Beauvoir dedica un’opera agli ultimi dieci anni di vita trascorsi insieme, La cerimonia degli addii; viene stroncata da una polmonite sei anni dopo, un giorno prima dell’anniversario della morte di Sartre, e viene seppellita accanto a lui nel cimitero di Montparnasse, a Parigi. “La sua morte ci separa,” aveva scritto, in sintonia con il proprio ateismo, “La mia morte non ci riunirà. È così; è già bello che le nostre vite abbiano potuto essere in sintonia così a lungo”.

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