Quando ti chiedono di dove sei e dici “Roma”, la battuta successiva è sempre “Ah, e di che quartiere?”. Anche se a Roma non ci sei nato ma ti ci sei solo trasferito per studiare o lavorare, dire che si abita genericamente nella Capitale non vuol dire nulla, bisogna specificare la zona. Questo perché la città eterna – come accade spesso nelle grandi metropoli – non lascia spazio alle generalizzazioni, ogni quartiere ha un suo spirito d’appartenenza, una sua squadra, una sua cifra caratteristica, una sua classe sociale e dire in che punto esatto vivi equivale anche a una piccola dichiarazione di identità. Tanto che hanno anche pensato di farci una serie televisiva – Romolo+Giuly: La guerra mondiale italiana – basata sulla conflittualità generata dalle varie fazioni, Roma Nord contro Roma Sud, tanto per cavalcare l’onda dello stereotipo. San Lorenzo, noto perlopiù per la sua vicinanza con la prima università di Roma e non troppo distante dalla stazione Termini, di recente è tornato a far parlare di sé per via di una vicenda molto brutta, quella di Desirée Mariottini, ed è uno di quei luoghi romani che potrebbero essere veri e propri borghi inglobati in una città, più che quartieri.
Nei giorni che hanno seguito l’omicidio di questa ragazza, frotte di giornalisti armati di microfoni e spirito d’avventura si sono fiondate sul luogo incriminato per scavare in quell’inferno in terra che il pubblico voyeur di cronaca nera non vede l’ora di scrutare. Nell’addentrarsi nel degrado di uno stabile occupato, ben diverso come atmosfera da tutti gli altri luoghi autogestiti della zona che ora vengono minacciati di chiusura, c’è chi definisce San Lorenzo un quartiere “periferico”, e in effetti lo è, se vogliamo servirci delle mappe del XIX secolo. Alla fine dell’Ottocento, infatti, quella zona di Roma era decisamente periferia: dopo il Risorgimento e la sua annessione al Regno d’Italia, la città cominciò a crescere e a riempire tutti quegli spazi fino a quel punto rimasti campagna al di là delle Mura aureliane. San Lorenzo nasce proprio in quel punto di confine tra città e zone ancora non urbanizzate, prendendo il nome dall’omonima basilica detta appunto “fuori le mura”. Era un quartiere povero, composto perlopiù da operai e ferrovieri, e probabilmente proprio queste sue origini proletarie lo spinsero nel 1922 a opporsi nientedimeno che alla Marcia su Roma, dando supporto agli Arditi del Popolo, un’organizzazione paramilitare che si opponeva al fascismo e che ospitava al suo interno esponenti di correnti diverse, dagli anarchici ai comunisti.
Questo episodio eroico di opposizione e resistenza costò al quartiere una rappresaglia guidata dal famoso generale Italo Balbo, proprio quello che bisogna ripetere fino alla nausea durante le interrogazioni di storia alle superiori. In quell’occasione ci furono tredici morti, ma le disgrazie per San Lorenzo non erano finite, visto che durante la seconda guerra mondiale venne preso di mira dagli anglo-americani per i bombardamenti nonostante la storica disposizione di lasciare “Roma città aperta” e proteggerla dagli ordigni. Fu la zona più colpita dalle bombe, e tutt’ora passeggiando per le sue vie si vedono chiare le mutilazioni architettoniche che hanno lasciato. E c’è anche chi come Gaetano Bordoni, un barbiere morto pochi anni fa, ha continuato per una vita ad alimentare la memoria di quegli anni e in particolare di quei giorni infernali con foto e racconti, diventando un punto di riferimento per il quartiere, uno di quei personaggi che sembrano essere stati partoriti dalla mente di qualche regista neorealista. Ma la guerra e il fascismo a San Lorenzo hanno lasciato anche qualcos’altro oltre alle cicatrici, ovvero l’anima rossa e popolare che si è fatta strada nella storia del quartiere nonostante tutti i suoi molteplici cambiamenti fino a oggi, seppur ormai indebolita da questo presente nebuloso e confuso.
Dopo la guerra, San Lorenzo mantiene la sua inclinazione rossa, ma a contribuire a questa tendenza, oltre che alla storia e alla composizione umana di questo quartiere, agiscono altri fattori, ovvero quelli legati a ciò che gli stava attorno. Accanto a San Lorenzo, infatti, c’è il cimitero del Verano, anche questo pesantemente colpito dai bombardamenti, ma nonostante i danni rimasto in piedi e a oggi uno dei posti più belli da visitare a Roma. Capisco che non a tutti possa entusiasmare l’atmosfera macabra di una distesa di tombe e fiori, ma il Verano è decisamente molto più che un dormitorio per sonni eterni, è una sorta di museo a cielo aperto, un’altra città dentro la città. Attorno San Lorenzo si trovano così molte botteghe storiche di artigiani del marmo che espongono lapidi fantasiose in vetrina, proprio per questa vicinanza con il cimitero. Ma il luogo che ha davvero cambiato la storia di San Lorenzo per la sua prossimità è un altro: La Sapienza. L’università statale di Roma, una delle più antiche del mondo nonché la più grande d’Europa, è ciò che a portato questo quartiere dall’essere uno dei tanti luoghi pasoliniani di Roma a un punto nevralgico della città. Si tratta di un complesso universitario progettato dall’architetto e urbanista simbolo del monumentalismo fascista, Marcello Piacentini, che ha dato vita a un posto davvero incredibile. Si può disprezzare l’architettura fascista per il suo valore simbolico, ma non si può non riconoscere a Piacentini la straordinarietà della sua opera. La sede centrale della Sapienza è una vera e propria città, dentro la quale non è difficile perdersi tra edifici in travertino con enormi scritte squadrate, algide, inquietanti. Di solito è un luogo molto affollato, per non dire un vero e proprio casino – se si pensa che conta più di centomila iscritti, senza considerare tutti i funzionari che ci lavorano – come tutta Roma, ma se si ha la fortuna di trovarcisi dentro in un giorno in cui è deserta diventa un quadro surrealista di Giorgio De Chirico.
Chi come me ha messo piede nel quartiere universitario per la prima volta da studente, sa bene qual è l’aspetto di San Lorenzo oggi e quanto questo sia inevitabilmente correlato alla presenza dell’ateneo, tanto da renderlo spesso ai limiti del sopportabile. La nascita della città universitaria se da un lato ha dato la possibilità all’area circostante di diventare un punto di riferimento giovanile, dall’altro ha fatto sì che negli anni i costi si alzassero non per un miglioramento della vita dei suoi abitanti storici, ma per una sostituzione di questi con un ceto più abbiente, cioè quello di chi si può permettere di cercarsi una casa da studente, e di chi ha la possibilità di studiare. Un fenomeno che ha inevitabilmente portato il mercato immobiliare del quartiere a una ridefinizione all’insegna della speculazione, che negli ultimi anni, dopo la grande espansione dei decenni precedenti, ha invece visto una battuta d’arresto, proprio a causa della deriva degradata della zona.
Ma non è solo una questione legata alla gestione sregolata e poco lungimirante della ridistribuzione degli abitanti di San Lorenzo, che vede protagonisti affitti in nero e altre tragedie – come case in condizioni pessime a prezzi decisamente alti – da fuori sede simili: attorno al polo universitario si è creato una sorta di parco giochi per matricole a caccia di chupiti a un euro e serate Erasmus. Da luogo di aggregazione studentesca negli anni Sessanta e Settanta durante le proteste giovanili, punto di riferimento anche per la sinistra extra-parlamentare, San Lorenzo ha subito la conseguenza dell’espansione universitaria della Sapienza attraverso una trasformazione veloce, incontrollata, una rincorsa al profitto facile che possa sfruttare tutta la voglia matta di divertimento di uno studente diciannovenne che è appena scappato dal paese di duemila abitanti nell’entroterra calabro in cui è nato. Questa linea espansionistica di attività correlate all’irrefrenabile divertimento studentesco che facilmente si adatta a modelli scadenti e piuttosto superficiali di intrattenimento ha creato quell’atmosfera di degrado che oggi segna il carattere dominante del quartiere. Quando la povertà di un luogo si incontra con la speculazione e con uno sviluppo insostenibile e poco lungimirante viene fuori quel posto dannato che i telegiornali hanno descritto dopo l’omicidio della sedicenne di Cisterna Latina.
Ma San Lorenzo non è solo questo, e la povertà non genera solo malavita e degrado ma anche esigenza di riscatto, tradotta in realtà di cooperazione e solidarietà, gli elementi che di solito sanno fare da base alle iniziative di autogestione che si pongono come obiettivo quello di andare a colmare i vuoti istituzionali di posti simili. Non ci sono solo spacciatori e locali che servono shot di rum e pera, a San Lorenzo ci sono sempre state attività culturali genuine, luoghi d’aggregazione sani, baretti rimasti ancorati all’idea di socialità pubblica e condivisa. Diverse librerie, come quella di un altro personaggio fondamentale per la storia del quartiere, Valerio Marchi, sociologo e scrittore, che tra le altre cose ha saputo descrivere molto bene l’anima composita di San Lorenzo. Il Nuovo Cinema Palazzo, che nel 2011 ha impedito l’apertura di un casinò negli stabili del vecchio cinema dando vita a un progetto autogestito fatto di iniziative culturali, tutt’altro che affiliate a quei pregiudizi che buttano fango sull’idea di spazi occupati, rappresentandoli come roccaforti di illegalità e nullafacenza. C’è anche la Radio Onda Rossa, nata nel 1977 dal fermento intellettuale e politico degli anni delle grandi contestazioni, con la storica sede di Via dei Volsci. A San Lorenzo, insomma, la vita non è mai mancata, e le manifestazioni concrete del suo carattere e del suo schieramento neppure, sia quando si è trattato di opporsi al regime fascista sia quando si è voluto mettere in pratica lo spirito che l’ha animata negli anni.
Oggi non è strano sentirne parlare in termini disfattisti e apocalittici, perché è vero che il degrado c’è, e i pericoli anche. Ma è davvero disarmante rendersi conto che di quella natura comunitaria, disgraziata ma anche autentica e combattiva rimane sempre meno, mentre si fanno largo idee di repressione e autorità, come se queste misure fossero l’antidoto a ogni disastro. C’è chi ancora popola quel quartiere con l’idea di farne un posto a misura d’uomo, e non di azienda, né di casinò o gentrificazione modaiola e sconsiderata, ma non è così facile in questo momento storico credere alle idee. Una forma di resistenza che San Lorenzo dovrebbe di nuovo mettere in atto, adesso, è quella di non cadere nel baratro della violenza e dell’intolleranza che animano il discorso politico attuale, ma di chiedere un piano di riqualificazione concreto, un progetto a lungo termine come doveva essere quello del famoso “Progetto Urbano San Lorenzo”. Ma mi rendo conto anche delle difficoltà e della stanchezza di chi si trova a convivere con una situazione che sembra essere il frutto di un abbandono istituzionale: bisogna prendersela con chi si dimentica degli ultimi, non con gli altri dimenticati. San Lorenzo è una delle tante anime che compongono Roma, contraddittorie e sbilenche, ma ha una storia forte e un carattere combattivo, che non merita di essere fagocitato dalla rabbia, né da qualche scellerata misura autoritaria che finirebbe semplicemente per distruggerne l’anima più autentica.