Quando nel 2011 si cominciò a parlare di un nuovo libro di J. K. Rowling, il primo romanzo slegato dalla saga di Harry Potter, ricordo la grande curiosità che c’era intorno a questa nuova pubblicazione. La domanda che si ponevano più o meno tutti era: tolti Hogwarts, la magia, i personaggi che tutti abbiamo imparato ad amare, J. K. Rowling è una brava scrittrice o no? Il nuovo romanzo uscì nel 2012 con il titolo Il seggio vacante (The Casual Vacancy) e fu accolto freddamente dalla critica come un romanzo mediocre e prevedibile: secondo il Guardian, il fatto che i libri di Rowling fossero “controllati a vista neanche fossero i gioielli della corona fino al giorno della pubblicazione” (anche se Il diavolo veste Prada ci ha raccontato una storia diversa) aveva in qualche modo creato delle aspettative altissime, deluse poi dall’effettiva qualità del libro, che il quotidiano definì cautamente “non certo un capolavoro, ma nemmeno brutto”, ma di cui sottolineò la banalità della trama e i cliché stilistici.
Il 15 settembre scorso è uscito un nuovo libro di J. K. Rowling, Troubled Blood, edito con lo pseudonimo Robert Galbraith, con il quale la scrittrice ha pubblicato la serie thriller Cormoran Strike, di cui anche quest’ultimo libro fa parte. Con un nom de plume, Rowling sperava di evitare ciò che era successo con Il seggio vacante e di garantirsi più libertà creativa e meno pressioni all’uscita del romanzo. Quindi è abbastanza singolare che con Troubled Blood l’autrice abbia deciso di immergersi a piene mani nella polemica che la riguarda da mesi e cioè l’accusa di sostenere posizioni transfobiche o, per essere gentili, gender-critical, cioè critiche nei confronti delle teorie sull’identità di genere. L’antagonista del romanzo è infatti un serial killer, Dennis Creed, che si traveste da donna per avvicinare le sue vittime. Ed è davvero difficile non pensare al lungo scritto pubblicato sul suo sito con cui Rowling cercò di difendersi dalle accuse di transfobia, e in particolare a questo passaggio: “Quando lasci aperta la porta del bagno o del camerino a ogni uomo che si crede o si sente una donna […] allora lasci aperta la porta a tutti gli uomini che desiderano entrarci”. Come a dire, se basta una parrucca a farti passare per donna, allora un malintenzionato – mettiamo, per pura ipotesi, un serial killer misogino e cross-dresser di nome Dennis Creed – potrebbe approfittarsene.
Sono anni che tra le femministe e gli attivisti LGBTQ+ si discute delle posizioni di J. K. Rowling sulle persone trans. C’è infatti una lunga storia di tweet che la scrittrice ha pubblicato o a cui ha messo like legati agli ambienti femministi trans-escludenti (detti Terf, Trans Exclusionary Radical Feminism), cioè a quelle correnti minoritarie del femminismo che credono che le donne trans non possano essere considerate donne, e pertanto le estromettono da circoli, associazioni, movimenti e altro. Fino a poco tempo fa, Rowling sembrava molto prudente rispetto a queste sue idee: quando mise like a un tweet che parlava delle donne trans come “uomini con la gonna”, i suoi avvocati dissero che era stato messo per sbaglio e che aveva avuto un momento da “donna di mezza età” alle prese con la tecnologia. Ma non si tratta solo di Twitter. Sempre in un romanzo pubblicato con lo pseudonimo di Robert Galbraith (Il baco da seta, del 2014) c’è un passaggio molto problematico in cui una donna trans, Pippa, cerca di accoltellare il protagonista che, dopo averla fermata, allude ai possibili stupri che subirà in prigione “visto che non è operata”. E solo pochi giorni fa, Rowling ha linkato sul suo profilo Twitter un negozio online che vende spillette e tazze con scritte del tipo: “Le donne trans sono uomini” o “L’attivismo trans è misoginia”. Se due indizi non fanno una prova, quando gli indizi cominciano ad accumularsi a questo ritmo qualche sospetto viene.
Se fino a qualche anno fa Rowling riusciva tutto sommato a passare inosservata o a dare la colpa all’età che avanza per le sue “sviste” sulla questione trans, negli ultimi mesi l’autrice ha assunto una posizione sempre più inequivocabile che ha attirato l’attenzione del grande pubblico, che si è subito diviso tra chi ha deciso di fare falò dei suoi libri e chi invece ne fa una paladina della libertà di pensiero. A giugno, infatti, l’autrice ha scritto un tweet in cui prendeva in giro l’espressione “persone che hanno le mestruazioni” usata in un articolo, perché “I’m sure there used to be a word for those people. Someone help me out. Wumben? Wimpund? Woomud?”. Da un po’ di tempo si usa l’espressione “persone che hanno le mestruazioni” per indicare in maniera inclusiva tutte le persone che hanno il ciclo, compresi cioè anche gli uomini trans, ma per Rowling, che crede esclusivamente nella validità del sesso assegnato alla nascita, solo le donne hanno le mestruazioni ed è inammissibile che possa averle anche un uomo. Il tweet in questione ha quindi scatenato le reazioni indignate di molti attivisti, che l’hanno visto come l’ennesimo attacco di Rowling contro la comunità trans, condito anche da un’ironia particolarmente fastidiosa vista la serietà dell’argomento. Persino alcuni attori della saga di Harry Potter hanno preso le distanze da Rowling, che ha pensato che il modo migliore per difendersi fosse pubblicare un lungo testo farcito di notizie false, correlazioni totalmente arbitrarie tra diritti trans e violenza sulle donne e la sua storia personale di violenza domestica come motivo del suo interesse verso “la sicurezza delle nate donne”. Per completare il già desolante quadro, il 7 luglio ha firmato con altri scrittori e intellettuali la lettera di Harper’s contro la cancel culture e contro “la nuova serie di attitudini morali e impegni politici che tendono a indebolire le regole di un dibattito aperto e della tolleranza delle differenze in favore dell’uniformità ideologica”.
Il motivo per cui tutto d’un tratto Rowling ha reso pubblico quello che prima riuscivano a notare solo coloro che si occupavano abitualmente di questioni e diritti trans è che in questi mesi nel Regno Unito si è ridiscussa la legge per la rettifica anagrafica del sesso, il Gender Recognition Act. L’attuale legislazione inglese permette alle persone trans di cambiare il sesso sui documenti solo a fronte di una diagnosi di disforia di genere, come avviene anche in Italia, dove però vengono spesso considerati quali indicatori più determinanti anche dei trattamenti medico-chirurgici. Da molto tempo, la comunità trans spinge per una depatologizzazione delle leggi in materia, per cui nel 2017 la ministra per l’Uguaglianza Justine Greening ha proposto di riformare il Gender Recognition Act dando la possibilità alle persone di autocertificare il proprio genere senza che sia necessaria la diagnosi. Nel Regno Unito, la corrente Terf è molto presente e attiva e ha un’ampia risonanza mediatica, sia sui tabloid che sui giornali più autorevoli e la discussione sulla riforma del Gender Recognition Act l’ha resa ancora più visibile. A dicembre del 2019, non a caso, Rowling difese su Twitter Maya Forstater, ricercatrice notoriamente Terf che lavorava in un think tank sulla povertà e la parità di genere, il cui contratto non era stato rinnovato proprio in seguito alla scoperta del suo attivismo anti-trans.
Come ha ricostruito Vox, il “terfismo” inglese è nato negli ambienti del giornalismo inglese di proprietà di Rupert Murdoch: “Anche una vaga opposizione al pensiero gender-critical nel Regno Unito porta all’accusa di ‘silenziare le donne’ e un articolo sensazionalistico o un editoriale in un quotidiano nazionale inglese”. Anche se le Terf si proclamano “femministe radicali”, spesso sono molto vicine agli ambienti conservatori e di destra, visto che con loro condividono l’insistenza sulla “biologia” (che in realtà dà sempre più riscontro alle teorie di genere) e lo scetticismo verso le scienze sociali. Non credo abbia fatto piacere a una femminista, come dice di essere Rowling, che il senatore repubblicano ultracattolico James Lankford abbia bloccato la legge contro la discriminazione sul lavoro negli Stati Uniti citando una frase del suo luminoso saggio, ma spero che questo episodio l’abbia fatta riflettere su quale tipo di pubblico accoglie i suoi messaggi.
Senza nulla togliere alla storia dolorosa di violenza domestica di Rowling, il suo attivismo – perché così lo dobbiamo chiamare – contro le persone trans non sembra emergere dall’aver vissuto in prima persona la violenza maschile, tra l’altro commessa da un uomo cisgender ed eterosessuale, cioè il suo ex marito. Piuttosto da quell’ambiente conservatore e reazionario, terrorizzato dal cambiamento e aggrappato al proprio privilegio che è il terfismo delle redazioni dei giornali, degli ambienti culturali, degli intellettuali milionari che si sono persi nei meandri delle “guerre culturali” di Twitter e non si accorgono che il Gender Recognition Act o i diritti trans non sono “una nuova serie di attitudini morali”, come scritto sulla lettera di Harper’s. Sono diritti umani. Significa facilitare la vita a chi ogni giorno è alle prese con documenti sbagliati, con l’imbarazzo di dover spiegare a perfetti sconosciuti che si sta facendo un percorso di transizione, in un continuo coming out forzato. Non è ideologia, è la vita quotidiana di milioni di persone.
Una cosa mi ha colpita di quella recensione del Guardian de Il seggio vacante, rileggendola alla luce di tutto quello che è successo negli ultimi due anni: il critico Theo Tait dice chiaramente che Rowling non è in grado di tratteggiare i personaggi delle classi sociali inferiori, che li fa parlare con un linguaggio basso come se fossero usciti da un romanzo di Dickens, in modo caricaturale. Il romanzo, scrive Tait, è “prigioniero delle sue convenzioni”. E forse qui sta il nocciolo di tutta la questione: anche Rowling, incapace di vedere al di là del proprio ambiente sociale, è diventata prigioniera delle sue.