Pochi anni dopo la sua elezione, nel 1431, Papa Eugenio IV chiede un prestito di 25mila fiorini al banchiere Cosimo De Medici, fondatore della dinastia fiorentina. È una grande somma di denaro anche per le possibilità del papato, ma gli servono per concludere lo scontro ideologico e politico con il Concilio di Basilea. Cosimo chiede una garanzia nel caso – plausibile – che Eugenio IV non riesca a onorare il debito. Così il Papa ipoteca Borgo San Sepolcro e tutti i terreni adiacenti. Dieci anni dopo, il Papa non è in grado di restituire i fiorini e il borgo passa di proprietà. Perché la cosa diventi ufficiale bisogna aggiornare le mappe, così romani e fiorentini inviano i loro cartografi con il compito di ridisegnare i confini tra Stato della Chiesa e Repubblica fiorentina usando un fiume, chiamato Rio, che scende dal monte Gurzone. I due gruppi non si incontrano mai perché arrivano in giorni diversi e notano che in un tratto il Rio si biforca. Così i romani considerano confine il fiume più vicino al paese di San Giustino, e i fiorentini quello vicino a Sansepolcro. Con questo equivoco, una striscia di terra larga 500 metri e lunga 2,5 chilometri tra i due fiumi non viene annessa a nessuno dei due Stati. Sarebbe un errore trascurabile, se su quella piccola isola non ci fosse Cospaia, un paesino di 350 contadini analfabeti che appena scoprono l’errore si affrettano a proclamarsi “Repubblica di Cospaia”, il 25 febbraio 1441.
Cospaia diventa uno Stato senza tasse, polizia, prigioni o leggi. Eventuali dispute vengono risolte da un concilio di anziani e i rappresentanti delle maggiori famiglie, oppure nei casi gravi si va da un giudice a Sansepolcro, mentre per farsi curare o macinare il grano c’è San Giustino. Essendo l’unico in grado di leggere e scrivere, il prete di Cospaia diventa ambasciatore della neonata repubblica anarchica. Il Papa e i fiorentini si rendono conto di dover risolvere il problema, ma la delicata situazione politica della della Penisola li persuade che Cospaia non valga il rischio di una nuova guerra. Così decidono di ufficializzare la neonata Repubblica e nel 1441, con una bolla, Cospaia appare nelle mappe custodite negli Annali Camaldolesi. I cospaiesi si fanno una loro bandiera, che viene orgogliosamente esibita alle fiere e nei mercati, dove accorrono sempre più venditori attirati dall’assenza di dazi sui commerci. Il denaro arriva nel piccolo Stato in abbondanza e il benessere delle sue poche centinaia di abitanti cresce per i successivi 133 anni. Poi c’è un colpo di scena.
Con la scoperta dell’America iniziano a arrivare in Europa i primi semi della pianta del tabacco. Per merito di Jean Nicot, ambasciatore di Francia alla corte del sovrano portoghese Francesco II tra il 1559 e il 1661, alcuni semi vengono spediti alla regina francese Caterina de Medici, che inizia a usare il tabacco per curare la sua emicrania, presto imitata dai suoi cortigiani. Si scoprono così le proprietà medicamentose della nicotina, la sostanza contenuta nella pianta del tabacco che prende il nome proprio da Jean Nicot. La moda di sniffare tabacco prende piede in tutta Europa e nel 1574 il cardinale Niccolò Tornabuoni, nunzio apostolico a Parigi, spedisce i semi della pianta come regalo a suo cugino Alfonso Tornabuoni, vescovo di Sansepolcro. Alfonso pianta il tabacco – chiamato allora erba Tornabuona – nel suo giardino, che dista quattro chilometri da Cospaia. In pochi anni lo Stato indipendente diventa un grande coltivatore di tabacco.
Nel 1624 la consuetudine di sniffare e fumare tabacco è talmente diffusa che il Papa Urbino VIII minaccia di scomunica chiunque fumi durante le funzioni nella basilica di San Pietro. I profitti crescono a livelli mostruosi e il tabacco diventa un business. Nel 1655 il Papa Alessandro VII, crea il primo monopolio in Europa per la produzione di tabacco e, nel 1724, Benedetto XIII, per risanare le casse disastrate dello Stato della Chiesa, fa costruire una fabbrica pontificia di tabacco. All’improvviso tutti vogliono coltivarlo a Cospaia, per l’assenza di tasse e la possibilità di contrabbandarlo. Il Papa e il Granduca di Toscana capiscono che è ora di rimediare all’errore dei cartografi di quasi tre secoli prima che gli sono costate milioni di fiorini, ma ora non è più così semplice. Prima Cospaia era solo una striscia di terra che non interessava a nessuno, ora è diventata un piccolo Stato ricco di ettari di tabacco e coltivatori professionisti che fanno gola a entrambi. L’accordo è talmente difficile che i due Stati chiedono al re di Sardegna di fare da arbitro, ma “sopraggiunte vicissitudini d’Italia fecero trascurare la questione”. Anche la rivoluzione francese e le successive guerre napoleoniche non modificano i confini di Cospaia che con la restaurazione successiva al 1815 li vede confermare ancora una volta.
Ma Cospaia non è più lo Stato utopico delle origini retto dal motto Perpetua et firma libertas. Quando la notizia dell’esistenza di una zona franca senza prigioni né polizia si diffonde, cominciano i problemi. Nel corso dei decenni, ricercati e criminali di tutta la penisola ci si trasferiscono, sposano le donne nubili del posto guadagnando cittadinanza e impunità, mentre gli abitanti dei paesi vicini gli rubano il bestiame, gli bruciano i campi o li rapinano. A metà Settecento una festa di paese degenera in rissa, e per la prima volta in secoli risuonano colpi di moschetto che lasciano a terra tre morti. L’aria è cambiata, non solo tra gli abitanti. Gli Stati confinanti iniziano a imporre dazi a Cospaia, fino a quando, tra il 1797 e il 1799, la Repubblica Romana (ex stato pontificio) smette di considerare quella collina come territorio neutrale e la accorpa alla giurisdizione di Città di Castello, obbligandola a pagare le tasse per 18 mesi. Con la fine del dominio napoleonico, Papa Pio VII restaura l’antico assetto statale riportando Cospaia alla sua anarchia, ma ormai il mondo è cambiato. Nel 1825, in paese, arrivano i primi delegati di Roma e Firenze. Vanno a casa di Francesco Mori e si accordano per spartirsi il territorio, del quale gran parte va allo Stato Pontificio nel 1826. Per festeggiare, il Papa ordina che vengano sparati 200 colpi di mortaio che decretano la fine dei 385 anni di anarchia nata per un errore topografico.
La storia viene dimenticata, ma nei paraggi, quando si vuole esprimere una gran confusione, si usa il detto “è peggio della Repubblica di Cospaia”. Ancora oggi, se ci si passa per visitare il museo del tabacco, vicino al tricolore sventola la loro bandiera.