Il pensiero critico è l’unico antidoto all’ottusa mediocrità che ci circonda
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Nel 1784 il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse il famoso per quanto breve trattato intitolato Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in cui scriveva: “L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità quale è da imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto, senza la guida di un altro”. Queste parole sono poi diventate il motto di un’intera epoca storica, e aleggiano ancora come un invito alle generazioni attuali e future. Con “minorità” Kant intendeva uno stato infantile, in cui l’uomo si adagia e si aspetta di essere guidato da qualcuno superiore a lui. Kant, invece, col suo motto sapere aude (“Abbi il coraggio di usare la tua intelligenza”), invita gli uomini a usare la propria ragione, a essere autonomi, e responsabili della propria libertà. La condizione di minorità è infatti imputabile a se stessi, dato che è l’uomo che si rifiuta di pensare da sé.

Non si tratta però soltanto di una condizione intima e personale, in cui gli esseri umani coltivano le proprie capacità e conoscenze, quello di Kant è un invito politico e pubblico. La libertà dell’uso della propria ragione è anzitutto un vantaggio sociale, perché sapere e mettere a disposizione le proprie conoscenze significa garantire il progresso non solo della società attuale, ma anche alle generazioni future. Si tratta perciò non solo di una priorità personale, ma anche collettiva.

Ritratto di Immanuel Kant

Nell’abbondanza di informazioni che possediamo oggi, abbiamo scambiato la libera circolazione di notizie per un progresso sociale di per sé. Tuttavia, oggi si hanno delle grandi difficoltà a comprendere le informazioni, e di conseguenza a usarle per vivere meglio. È proprio qui la differenza fra conoscenza e possesso di informazioni. La conoscenza è la selezione e l’uso di saperi che ci consentono di vivere meglio secondo diversi aspetti, psicologico, emotivo, economico, personale; il possesso di informazioni è una quantità di notizie e fatti, tolti dal proprio contesto e non utilizzabili. La conoscenza ha a che vedere con l’imparare, e dunque saper agire al meglio; il possesso di informazioni con l’avere, ma nulla di più. Siamo di fatto una società che crede di non aver bisogno di “usare” il proprio pensiero, perché ha molte, troppe informazioni a disposizione di tutti.

Nel suo libro Figli di un io minore. Dalla società aperta alla società ottusa, Paolo Ercolani scrive che “il problema è che la nostra è l’epoca dell’assalto frontale al pensiero. La società è organizzata e improntata secondo una modalità radicalmente e scientificamente contraria alla ragione, alla riflessione, al dialogo pensante che dovrebbe accomunare gli individui uniti nel consesso sociale”. Di fatto, se Kant sperava in un sistema politico in cui prevalesse l’autonomia del cittadino, perché ognuno fosse capace di usare il proprio pensiero, Paolo Ercolani descrive la nostra società come una “società ottusa”. Per società ottusa si intende “un duplice senso: indicando qualcosa di estraneo alla ragione e alla conoscenza (quindi stupida); rimandando alla chiusura rispetto a codici, meccanismi e valori che non siano quelli asettici e impersonali del profitto economico e del progresso tecnologico (quindi disumana)”. Quindi non solo una società in cui le persone hanno rinunciato a qualcosa che le renda umane, ma in cui la gestione delle vite è destinata alla guida della logica del mercato e della tecnologia. Esattamente il contrario di quanto intendeva Kant.

Guidati completamente dalla crescita di mercato e dal progresso, abbiamo accantonato il nostro pensiero critico; ma è solo attraverso di esso che possiamo modificare la realtà in cui viviamo. “Solo il pensiero consente l’interpretazione, quindi la critica e possibilmente un’azione in grado di modificare i fatti stessi, in quanto permette un’azione in grado di modificare i fatti stessi, in quando permette di immaginare, concepire e provare a costruire una realtà diversa”, continua Ercolani.

Paolo Ercolani

L’emergenza del COVID-19 sta ormai svelando il volto della società ottusa, con tutti i suoi limiti. L’epidemia ha messo in risalto gli effetti di una politica che ha preferito incrementare il profitto economico, anche attraverso tagli alla sanità pubblica e alla cultura, piuttosto che porre al centro i cittadini. L’epidemia sta inoltre dimostrando il fatto che la popolazione non sia effettivamente in grado di gestire l’enorme flusso di informazioni che riceve. Non solo molti non sono stati e non sono in grado di distinguere il vero dal falso (lo dimostra l’enorme diffusione di fake news legate alla malattia sui social e i canali di comunicazione come whatsapp), ma nemmeno di interpretare quanto è stato detto, cioè di comprendere profondamente le informazioni in un contesto determinato e agire di conseguenza (cosa che ha portato e porta ancora a comportamenti irresponsabili e scorretti).

Questo accade sia a causa dell’analfabetismo funzionale, in cui rientra un’altra percentuale della nostra popolazione, sia perché stiamo scontando l’abitudine a farci guidare da sistemi impersonali e astratti. A questo proposito Ercolani sottolinea come, in questa epoca, la diffusione delle notizie segua in primis le norme della velocità e della superficialità. “Se la velocità non lascia all’uomo il tempo di cogliere le informazioni con cui viene in contatto, né elaborare e tradurle in conoscenza autonoma […], la superficialità con cui vengono trasmesse non gli fornisce lo spazio per andare in profondità e dunque di appropriarsene”.

Manifestazione dei gilet arancioni, giugno 2020

Se non si ha il tempo di elaborare le informazioni che si ricevono e distinguerle fra loro, come si può agire di conseguenza? Ci si è invece fatti guidare dalla paura e dal panico, e questo è stato testimoniato dalle centinaia di italiani che dalla Lombardia hanno assaltato i treni per tornare al Sud, rischiando di diffondere ancora di più il virus. Non si è stati in grado di porre delle priorità, preferendo farsi guidare dai propri istinti e dal proprio tornaconto. “L’uomo non è soltanto ragione, ma anche un contenitore di volontà e desideri in nome dei quali è disposto sovente a sacrificare la ragione stessa”, dice ancora Ercolani.

In Lezioni di meraviglia, Andrea Colamedici e Maura Gancitano provando a spiegare come si è giunti alla costruzione di una società di questo tipo scrivono che “siamo drogati di stimolazioni che ci tengono in sospeso tra risveglio e morte per paura di vivere e morire, di non discendere nell’ignoto che abita entrambe le condizioni, e galleggiamo in quella terra disperata e scintillante chiamata benessere”. Nella società ottusa si è perso di vista che cosa debba intendersi davvero con il termine “benessere”, e non si tratta di un’abbondanza di informazioni, meccanismi economici e dati che ci informino, ma di avere la possibilità di essere persone responsabili di se stesse e di essere quindi considerate dalla politica in quanto tali. Incapaci di trovare risposte perché disabituati a porci domande, affidando quasi completamente la nostra vita a ingranaggi in cui la cosa più importante è essere funzionanti  e performanti, abbiamo dimenticato come si pensa in modo critico, cioè come si parla con se stessi, con gli altri e con il mondo che ci circonda.

La soluzione per uscire dalla società ottusa la dava già Kant. Bisogna avere il coraggio di pensare da sé, di condividere le conoscenze e le idee, imparare a riconoscere il vero dal falso. Ercolani sottolinea che le due istituzioni che possono contrastare la società ottusa sono la scuola e la politica, se si troverà il modo di far sì che esse stesse non ne siano inglobate. Se la scuola cesserà di essere intesa come un’azienda che plasma funzionari, ma tornerà al suo ruolo di educare e guidare diverse personalità, e se la politica smetterà di curarsi più dei meccanismi finanziari, ma ritornerà alle sue origini, cioè alla ricerca del bene morale e sociale, che è prendersi cura degli uomini, allora la società ottusa forse piano piano cesserà di esistere.

In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui la sensazione preponderante è quella di impotenza, è importante rendersi conto che la società ottusa non ci è piombata addosso all’improvviso, ma l’abbiamo eretta noi, mattone dopo mattone. Abbiamo permesso che crescesse sempre di più, accantonando il pensiero libero, l’unico che possa renderci adulti, “maggiorenni”, indipendenti. Il pensiero critico, la conoscenza libera e continua sono le nostre armi più forti contro la società ottusa, fatta di minorenni del pensiero.

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