Palombella rossa, uscito nel 1989, rappresenta per Nanni Moretti la fine di un’era. Non soltanto è il congedo di Michele Apicella, personaggio che ha interpretato in cinque dei suoi primi sei film – con l’unica eccezione di La messa è finita – ma è la fine di una stagione politica, degli ideali per cui la sua generazione aveva combattuto e che facevano da scudo identitario per sentirsi rappresentati nel mondo. A settembre di quell’anno, dopo le prime proiezioni dell’opera, un critico cinematografico comunista stroncò Palombella rossa considerandolo “un film vecchio, un film sul Pci di Natta, non su quello attuale di Occhetto, che non ha certo problemi di identità”. Non si capacitava di questa narrazione piena di oscuri presagi sulla sinistra, di un ritratto così nichilista dello smarrimento di un comunista e di un uomo; accusava Moretti di essere troppo pessimista e visionario. Due mesi dopo crollò il muro di Berlino, il sogno del Pci svanirà nel nulla e milioni di italiani si ritroveranno nella condizione di smarrimento già percepita da Moretti.
Palombella rossa racconta la storia di un funzionario del Pci che, in seguito a un piccolo incidente automobilistico, perde la memoria. L’amnesia diventa la metafora dell’identità perduta del suo partito, sempre più frammentato e alla ricerca di una nuova direzione già dalla morte di Berlinguer. Nella pallanuoto la “palombella” è una parabola arcuata, un pallonetto che resta parecchio in aria creando una sospensione tra il momento del tiro e il quello in cui la palla giunge a destinazione. Quella sospensione è il fulcro del film di Moretti. Prima ancora della Svolta della Bolognina, il regista si chiede che cosa significhi essere comunisti oggi, nel 1989. All’alba di una crisi irreversibile di un mondo, di cui già da tempo si percepivano i sintomi, di un universo sospeso tra il sogno e la condanna all’anacronismo, tra la costruzione e la disgregazione.
Michele Apicella per Moretti è l’alter ego che contiene le sue paure e le sue manie; è il Nathan Zuckerman di Philip Roth, ma con i dolci al posto della carne kosher. Come lo fu Moretti in passato, Apicella è un pallanuotista: e nonostante la perdita di memoria parte con la sua squadra, allenata da Silvio Orlando, per un’importante partita ad Acireale. La piscina di Acireale diventa un campo non soltanto politico, ma esistenziale. Le interruzioni servono per riempire i contorni e riacquisire la memoria perduta attraverso frammenti delle gioie o dei mostri del passato. C’è la televisione del bar che trasmette Il dottor Živago; c’è il ricordo del brodo di pollo della madre, che non tornerà più; c’è la scena iconica con l’intervistatrice dal lessico fastidioso, rimproverata da Apicella perché “chi parla male, pensa male e vive male, bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti”. Ci si chiede se la militanza sia stata una sconfitta, e intanto in squadra manca un mancino, un “sinistro”, da mettere in acqua.
La scelta di giocare in trasferta è necessaria per il senso di isolamento provato dal protagonista: per Moretti era necessario che il suo personaggio avesse il pubblico contro, che restasse solo, a mollo nell’acqua durante il rigore più importante della sua vita, senza sapere se scegliere il lato destro o il sinistro, con i tifosi che nel frattempo lo insultano pesantemente. Nella scena, sembra non arrivare mai il momento del tiro, con alcuni ricordi che riaffiorano e con “E ti vengo a cercare” di Franco Battiato perché il secolo è “oramai alla fine, saturo di parassiti senza dignità”. Alla fine Apicella tira a sinistra, e sbaglia. La squadra perderà 8 a 9: la sconfitta dell’89, un anno che segnerà per sempre la storia di un secolo, e di quello successivo.
La capacità di leggere il presente è l’arma di Moretti per affrontare il futuro, anticipandolo. Se Paolo Sorrentino ha raccontato l’epopea di Berlusconi in Loro quando già il berlusconismo era morto, Moretti ne ha anticipato la caduta nella pellicola Il caimano, tracciando in modo impeccabile le dinamiche giudiziarie (azzeccando perfino la stessa condanna) prima che questa avvenisse. In Habemus Papam viene raccontata la storia di un pontefice che rinuncia al suo ruolo, il tutto due anni prima delle “dimissioni” di Ratzinger. Anche fuori dalle sue opere, Moretti ha sempre guardato oltre il presente. Nel 2002, durante un comizio in Piazza Navona del centrosinistra, salì sul palco pronunciando un discorso durissimo: “Anche questa serata è stata inutile. Il problema del centrosinistra è che per vincere bisogna saltare tre o quattro generazioni. I vertici non sanno parlare alla testa e all’anima delle persone, con questi dirigenti non vinceremo mai”. All’epoca fu criticato per queste frasi, che furono considerate un assist a Berlusconi. Qualcuno in piazza addirittura lo fischiò, ma diciotto anni dopo il centrosinistra è ancora impantanato in quella fanghiglia descritta da Moretti, le facce sono prevalentemente le stesse e i vertici non hanno ancora imparato a parlare al loro elettorato.
L’importanza di Palombella rossa risiede proprio nella valenza storica, nell’analisi che non contempla esclusivamente la fine di qualcosa, cioè dell’utopia comunista, ma guarda al futuro e alle frammentazioni che poi sono puntualmente avvenute. Molte sequenze sono così attuali da poter descrivere la realtà politica odierna. Ci sono i due proto-grillini che seguono ossessivamente Apicella con toni violenti e qualunquismo, chiedendo di denunciare alcuni deputati del suo partito. C’è quel mantra ripetuto all’infinito – “Siamo uguali, ma siamo diversi” – che penetra nel dibattito politico e aggiunge un punto interrogativo ai dubbi sull’appartenenza a una corrente, a un’ideologia, e ai relativi sforzi per distaccarsi dalle altre, senza però spostarsi troppo più in là. In qualche modo è anche l’anticamera de La cosa, documentario girato da Moretti subito dopo Palombella in cui vengono raccolte le testimonianze dei militanti comunisti nel periodo più difficile della loro storia, per un’autoanalisi collettiva: dei militanti, del regista stesso e del pubblico. D’altronde la caduta del comunismo è stata, per chi l’ha vissuta dopo anni di sostegno, un vero e proprio lutto, un trauma, una ferita che non poteva cicatrizzarsi in fretta. E che probabilmente non è ancora guarita, a distanza di trentuno anni.
Il tema della memoria in Palombella rossa riporta alle difficoltà nell’avere un’intima coscienza del presente, quando le illusioni del passato pressano sul proprio essere. La domanda che viene posta in modo sadico al protagonista – “Ti ricordi?” – appare come un’esortazione a rifiutare l’oblio, ma per Moretti suona quasi come un invito ad abbracciarlo. È la nemesi dell’amarcord, quando tutte le certezze della vita – pubblica e privata, politica e familiare – impongono un momento di stasi dove la sinistra è ancora solida, il pubblico non ti insulta e ha ancora un senso rifugiarsi in un’ideologia. È una fase di passaggio per Moretti e per il mondo intero, e il regista la vive attraverso due passioni abbandonate, la pallanuoto così come il comunismo. Il suo rimando a un tempo perduto. Non a caso in Germania il film è stato presentato proprio con il titolo Wasserball und Kommunismus (“pallanuoto e Comunismo”).
Vedere o rivedere oggi Palombella rossa è utile per studiare un periodo storico che non abbiamo ancora smaltito. La crisi della sinistra non ha rappresentato un episodio acuto, si è trasformata in un fenomeno cronico nel momento in cui l’amnesia ha causato l’incursione in territori inediti e destabilizzanti. In Italia si è tentato l’avvicinamento alla scuola britannica di Tony Blair, poi a quella a stelle e strisce di Obama. Si è strizzato l’occhio a un neoliberismo nemico della propria storia, ma nessuna ricetta è servita a unire gli smarriti di allora: Michele Apicella è stato dimenticato nella sua vasca, e quelli che all’epoca non erano ancora nati non si sono mai sentiti rappresentati. Per questo Palombella rossa ci piace tanto, e per molti è stato più utile dell’ascolto di un vecchio comizio di Occhetto, o di uno di Zingaretti dei nostri tempi, per capire la parabola della sinistra in Italia.